In libreria “Gli eroi imperfetti”, l’esordio letterario di Stefano Sgambati, una delle prose più promettenti del panorama letterario italiano.
di Marta Scandorza
È uscito per Minimum Fax l’esordio letterario di Stefano Sgambati, un agile romanzo intitolato Gli eroi imperfetti. Lo chiamiamo esordio, anche se non è propriamente così, perché l’autore non è nuovo alla scrittura: ha già pubblicato racconti in riviste e antologie letterarie, e ha dato alle stampe due saggi e una raccolta di racconti (Il paese bello – Intermezzi Editore). Gli eroi imperfetti segna l’ascesa del giovane Sgambati all’olimpo della narrazione lunga.
Classe 1980, napoletano di origini ma romano d’adozione ed emigrato milanese, la sua è una delle prose più promettenti del panorama letterario contemporaneo italiano: uno stile intenso e levigato, una scrittura al tempo stesso colta e scorrevole, una profonda capacità di mixare il dettaglio descrittivo al flusso di coscienza joyciano, per un romanzo, che si fa serbatoio onnivoro di diverse anime.
Gli eroi imperfetti cela in sottofondo una storia gialla dalle tinte un po’ noir, anche se il mistero in sé passa in secondo piano, per lasciare spazio allo scandaglio accurato e introspettivo dei caratteri dei personaggi che agiscono nel reticolo letterario del romanzo. Contiene, poi, una forte critica all’informazione di massa e alla spettacolarizzazione del crimine operata da un certo tipo di stampa-spazzatura; ci parla di Roma nord (che torna anche in alcuni altri scritti) con tutte le sue contraddizioni, insozzata dai lucchetti di Moccia e ingentilita da un caffè-libreria in cui ci si sente a casa; ed è, infine, il racconto di tutta una serie di cadute e di rinascite, quelle appunto degli eroi imperfetti che rivivono nel titolo ossimorico fortemente evocativo e che popolano le vicende del romanzo.
I cinque personaggi che la storia vede interagire tra di loro sono diversissimi eppure legati da uno o più fili, in un gioco costante di richiami: il vinaio Corrado, individuo metodico e privo di aspirazioni, e la moglie Carmen, donna senza spessore e reale capacità di azione; il misterioso e affascinante Gaspare, elegante artigiano single, che muove le fila della narrazione e si fa trade d’union privilegiato, aleggiando da un luogo all’altro quasi fosse spirito più che persona in carne ed ossa; sua figlia Irene, sesso e alcool dipendente, splendido prototipo della femme fatale dall’anima persa e tormentata; e infine Matteo, libraio nel caffè-libreria a Ponte Milvio (Sgambati si è ispirato al vero Caffè-libreria Pallotta), fatalista e romantico nella sua accezione più terribile e distruttiva.
Partendo dall’incontro tra Gaspare e Corrado, e dal disvelamento di un terribile segreto che sconvolge la vita monotona dei due coniugi, Sgambati si allontana man mano dal baricentro tematico del romanzo, per poi tornarvi molte pagine più avanti, e poi allontanarsi ancora, in un gioco narrativo sinusoidale, che tende ad indagare in modo fortemente profondo, più che la storia in sé, la natura di diversi rapporti umani: quello genitori/figli, nel suo aspetto; quello uomo/donna; quello marito/moglie.
Il mistero che muove le fila della narrazione, alla fine, con gaddiana ed elegante elusione non viene svelato, perché quello che il romanzo vuole fare, ce ne rendiamo conto a lettura terminata, è narrare l’eroicità del quotidiano, che si svela con e nonostante gli umani limiti e contraddizioni, e negli errori che si possono commettere se si vuole disperatamente vivere.
…trade d’union?