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Ferrulli, processo da rifare. Il pm va in appello

Il pm fa ricorso contro la sentenza che ha assolto i 4 agenti accusati dell’omicidio di Michele Ferrulli. La figlia Domenica: «Perché la sentenza getta fango su di noi?»

di Checchino Antonini

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Ci sarà un processo d’appello per l’omicidio di Michele Ferrulli da parte di quattro agenti intervenuti per un banale caso di schiamazzi la sera del 29 giugno di tre anni, a Milano. In un passaggio del ricorso in Appello, il pm chiede di ribaltare la sentenza  che lo scorso luglio ha mandato assolti quattro poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale per la morte del manovale avvenuta mentre gli agenti lo stavano ammanettando a terra.

La sentenza ha ricalcato i luoghi comuni di casi come questo, di malapolizia, secondo il pm e le parti civili, ossia ha ribaltato la situazione, mettendo sul banco degli imputati la vittima e la sua famiglia. Quello che avviene anche in molti processi per stupro, come hanno scritto i pm che indagarono sulla scuola Diaz a Genova 2001.

Nell’appello appena depositato oggi il pm, Gaetano Ruta, spiega che “soltanto grazie a una criticabilissima ricostruzione della intera vicenda (…) la Corte giunge ad affermare la piena correttezza dell’operato dei quattro imputati”. “Dalla motivazione” dei giudici di primo grado “traspare un giudizio molto severo (…) nei confronti della persona offesa dal reato”, e “dei suoi familiari”.  L’indagine processuale, secondo il pm, “deve sempre essere incentrata sul fatto di cui si assume l’illiceità: occorre, in altre parole, avere riguardo al rapporto vittima/autore del reato rispetto alla fase di sviluppo del fatto (…) oggetto del giudizio”.

“In questo processo si è andati molto oltre, e la motivazione ne è lo specchio deformato: dal fatto reato della imputazione si è trasmodato nei reati commessi da Michele Ferrulli” che però “era un incensurato”, e “nè risulta” che per gli episodi “a cui la Corte d’Assise nei suoi motivi di assoluzione ha dedicato” un intero capitolo (…) assemblando fatti del passato” (come l’occupazione abusiva di un immobile Aler nel 1991 o resistenza e diverbi con poliziotti nel 2007), “sia mai stato processato”.

Per il pm è “una asserzione priva di fondamento” il giudizio “fortemente negativo” formulato dalla Corte sulla “attendibiltà” di molti testimoni per via del supposto condizionamento che i familiari di Ferrulli “avrebbero esercitato”. “Nel corpo della motivazione la Corte denuncia la inattendibilità di alcuni testimoni e la irrilevanza di altri. Si tratta di una operazione interpretativa inquinata anzitutto dal pregiudizio di fondo di un condizionamento dei testi, e sostenuta poi da una non corretta lettura del materiale probatorio ricavabile dalle varie perizie disposte nel processo, utilizzato come riscontro delle testimonianze stesse”.”La sentenza merita una critica più radicale: si è assistito nelle valutazione delle testimonianze ad un doppio registro valutativo. Le ragioni logiche e giuridiche che hanno portato alla demolizione di talune testimonianze – si legge negli stralci del ricorso a disposizione – sono state abbandonate quando si è trattato di valutarne altre. Ne è derivato un quadro incoerente in cui le regole di giudizio hanno trovato applicazione frammentaria, valide in un modo per alcuni (…) e in un modo diverso per altri”. Per esempio la Corte “invece di attribuire (…) la rilevanza che merita (…), formula inspiegabilmente una valutazione negativa sulla attendibilità« delle parole di due donne rom, che «a distanza ravvicinata» hanno osservato la scena e i cui commenti sulla «violenza perpetrata davanti ai loro occhi» sono stati registrati nella parte audio dei filmati girati quella notte da un cittadino e tra gli atti di inchiesta e poi del processo.

«Ci sarà un processo d’appello per la morte di mio padre, sono soddisfatta – scrive Domenica Ferrrulli – altri giudici dovranno dirci se quell’intervento era legittimo oppure no, altri giudici dovranno dirci se quella violenza era giustificata nei confronti di mio padre inerme, disarmato che invocava aiuto ai quattro agenti che io (e non solo io) ritengo responsabili della sua morte.

Rispetto quella sentenza e fino ad oggi questo è stato dimostrato da me e dalla mia famiglia. I gradi di giudizio sono tre, e io ho pazienza. Ma leggendo la sentenza di primo grado mi domando: un giudice che ha assolto in pieno tutti e quattro gli agenti, per motivare la sentenza aveva bisogno di buttare fango addosso ai miei avvocati, addosso alla mia famiglia e soprattutto aveva bisogno di gettare fango sulla procura di Milano che ha semplicemente fatto il proprio lavoro in maniera onesta?

Avendo assolto tutti e quattro gli imputati aveva già messo in discussione l’operato di tutti. Che necessità c’era da parte di chi ha scritto la sentenza di accanirsi così contro chi la pensava diversamente? Tutto questo mi lascia dei dubbi. Oggi apprendo di non essere l’unica ad avere dei dubbi e ad essere critica nei confronti di quella decisione e di quella motivazione, che a me sembra troppo piena di ansia nell’affermare che su mio padre è stato fatto un perfetto intervento di polizia. Io a questo non credo e non crederò mai: e sinceramente penso che nel percorso della giustizia il modo in cui è morto mio padre debba essere di nuovo e giustamente rivalutato. Ci sarà l’appello per la morte di mio padre, nonostante tutto siamo fiduciosi: mio padre avrà giustizia e fino alla fine non ci arrenderemo».

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