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La feroce ma fragile campagna allarmistica contro Syriza

I giornali per bene si scagliano contro Tsipras, che rischia di vincere le elezioni in Grecia, con argomentazioni affinate e ammantate di presunta tecnicalità finanziaria. Ma sono frottole. Ecco perché

di Alfonso Gianni

kalimera

Mancano tre settimane alle elezioni politiche anticipate in Grecia e, come era facilmente prevedibile, si è scatenata la campagna allarmistica nei confronti dell’opinione pubblica internazionale verso le possibili conseguenze che avrebbe la probabile vittoria nelle urne di Syriza. Naturalmente non si tratta di una rozza propaganda di stampo berlusconiano. L’anticomunismo puro qui non serve. Lo stesso programma di Syriza, reso noto recentemente in quel di Salonicco, non fornisce appigli in questo senso. Così le argomentazioni sono un poco più raffinate e ammantate di presunta tecnicalità finanziaria.

Fortunatamente questa campagna non spadroneggia incontrastata nemmeno negli ambiti del pensiero economico mainstream. Basta guardare agli articoli del Financial Times, dove si possono leggere tanto reazioni irritate e allarmistiche dopo l’incontro alla City di alcuni esponenti di Syriza con l’Intellighentia finanziaria, quanto i solidi argomenti di Wolfgang Munchau, tra i principali editorialisti, che non da oggi avverte l’Europa che senza una politica di solidarietà l’euro non può sopravvivere.

Terrorismo psicologico contro i cittadini di tutta Europa

Ma, senza varcare la Manica, ci si può accontentare della stampa nostrana. Nello stesso giorno, il 31 dicembre, sono comparsi sui maggiori quotidiani italiani in grande evidenza articoli tutti dedicati allo stesso tema: cosa succederà dopo la vittoria di Syiriza in Grecia e in Europa. Ma i toni e i contenuti non erano affatto uguali. Thomas Piketty sulla Repubblica si scaglia contro le ipocrisie dell’Europa e sul fatto che con il famigerato Fiscal Compact “si sono condannate le economie più deboli a ripagare i debiti fino all’ultimo euro malgrado la devastante crisi” in corso. Il giorno prima sul Manifesto era comparsa una bella intervista di Yanis Varoufakis che denunciava il “terrorismo psicologico nei confronti dell’elettorato greco”, contro il quale è stato redatto anche un appello firmato da oltre 150 personalità italiane di grande rilievo (vedi www.cambialagreciacambialeuropa.eu).

I difensori della trappola del debito

Invece la musica sul Corriere della Sera e sulla Stampa dell’ultimo dell’anno è stata di tutt’altro tenore. Gli articolisti in questione, rispettivamente Lorenzo Bini Smaghi (di cui si chiacchiera a proposito della poltrona di ministro dell’economia qualora Pier Carlo Padoan dovesse succedere a Napolitano: una doppia iattura) e Stefano Lepri insistono entrambi su un unico argomento, che evidentemente sarà il leit-motiv da qui ai prossimi mesi: la ristrutturazione del debito annunciata da Syriza peserà sulle tasche dei cittadini europei e in particolare degli italiani. Un argomento fasullo, nelle proporzioni con cui è presentato, dal punto di vista fattuale, disastroso dal punto di vista pratico, reazionario da quello ideale.

Andiamo con ordine. In sostanza Bini Smaghi e Lepri scrivono che il debito greco appartiene agli stati, più che alle istituzioni finanziarie, banche e fondi vari. Quindi i cittadini ci rimetterebbero di tasca propria, poiché un taglio del debito greco farebbe aumentare il debito netto dei singoli stati. L’argomento non sta in piedi perché l’incremento del debito dei singoli stati non comporta necessariamente un esborso diretto di soldi da parte dei cittadini o un equivalente taglio alla spesa pubblica. Questi dipendono invece dalle politiche economiche che i governi seguono. E’ ovvio che se continuasse una politica del cieco rigore tutto, non tanto la solidarietà alla Grecia, si ripercuoterebbe sulle spalle dei singoli cittadini. Il punto è quindi cambiare tali politiche.

Di cosa parliamo quando parliamo del debito greco

Del resto il quadro della composizione del debito greco può essere così riassunto: I 330 miliardi di euro di debito greco sono ripartiti in questo modo: il 72% sono da considerarsi “officials loans”, ovvero prestiti ufficiali stanziati da UE (60%) e Fmi (12%); 5% sono altri prestiti; l’8% è a carico della BCE; il restante 15% sono marketable debt, ovvero debiti commerciabili sul mercato secondario, come bond (11%) e prestiti a breve termine (4%).
Dal momento che è l’UE, attraverso l’Esm a detenere la quota maggiore di debito greco, sarebbero gli Stati europei che contribuiscono al Fondo Europeo Salva Stati – Germania in primis – a perdere in percentuale maggiore, se il debito greco fosse ristrutturato. In particolare è la Germania l’azionista di maggioranza dell’Esm, dal momento che detiene il 27% del fondo, seguita da Francia (20%) e Italia (18%).

Questo riassunto mette in luce due elementi. Da un lato l’esiguità dell’entità del debito greco rispetto al bilancio europeo, a dimostrazione che si sta facendo della Grecia una cavia delle politiche di austerità senza che ve ne sia alcun bisogno sotto il profilo strettamente finanziario. Dall’altro lato è che la ristrutturazione pesa soprattutto sulla Germania. Il che non solo è ovvio, ma anche giusto visto che questo paese è quello che più si è arricchito sulla debolezza dei paesi mediterranei ed è quello che dopo la seconda guerra mondiale vide decurtare il proprio debito di ben oltre l’80%.

Il secondo argomento è di una fragilità evidente. Qui non si tratta di togliere un po’ di grasso da un corpo sano, ma di salvare la baracca. In altre parole se non si ristruttura il debito greco quel paese andrebbe incontro a un default selvaggio, non controllato, e questo avrebbe sicuri effetti di contagio assai disastrosi sui paesi più deboli, come l’Italia.

Stampa e Corsera, house organ di Merkel

Infine: sia Bini Smaghi che Lepri usano gli stessi argomenti della Merkel. La ristrutturazione del debito spaventa i risparmiatori tedeschi; potrebbe essere considerato un aiuto indebito agli stati e quindi perseguito sulla base del Trattato di Maastricht; minerebbe le attuali istituzioni finanziarie europee; renderebbe inutile il quantitative easing voluto da Draghi e via dicendo. Come vedete una fila di argomenti triti e ritriti, già portati avanti dall’ala più oltranzista tedesca, capitanata dalla Bundesbank, dove non si rinuncia a lanciare stoccate anche contro le misure adottate e adottande da parte del Presidente della Bce. I due articolisti in sostanza non solo vogliono continuare a bastonare la Grecia, che sarebbe la sola responsabile della sua situazione debitoria e non chi ci ha mangiato sopra, banche europee in primis, ma uccidere l’idea stessa di solidarietà, senza la quale l’Europa non può sopravvivere.

L’effetto Syriza è già iniziato

Al contrario il solo annuncio delle elezioni greche sta dando una scossa positiva all’Europa. Quella stessa paura sparsa a piene mani in articoli come quelli citati si rivolge nei confronti di chi la propala. Con il risultato che ora tutti, ad eccezione naturalmente della Germania e della sua Banca centrale, spingono affinchè Mario Draghi rompa gli indugi e quindi proceda all’acquisto dei titoli di Stato almeno per 500 miliardi (che comunque sarebbero insufficienti, ma come inizio non un segnale da poco). Una tale decisione fornirebbe comunque all’euro una rete di sicurezza che gli è indispensabile ben al di là delle vicende greche. La riunione della Bce per assumere questa decisione è prevista tre giorni prima della data in cui si terranno, il 25 gennaio, le elezioni in Grecia. Vedremo se l’ampia maggioranza favorevole a questa mossa, spinta anche dai timori infondati da essa stessa suscitata per impedire la vittoria di Syriza in Grecia, riuscirà finalmente a piegare l’opposizione della Bundesbank (confidenzialmente chiamata Buba). Sarebbe una divertente eterogenesi dei fini.

grecia-voto

 

 

 

 

 

5 COMMENTI

  1. E’ vero che lo schieramento padronale vede Siryza come fumo negli occhi. Ma vi siete chiesti chi risarcirà le 100 mila famiglie italiane (per parlare solo di quelle italiane) derubate con la passata ristrutturazione del debito greco? Tsipras non si pone neppure il problema. Purtroppo è da questo che bisogna giudicare. Non dagli ordini di scuderia.

    • La ristrutturazione del debito greco non l’ha imposta Tsipras ne tantomeno Siryza, quindi le famiglie italiane che avevano investito/speculato nei titoli greci dovrebbero rivolgersi a chi ha creato i presupposti per il default del debito greco e la conseguente sua ristrutturazione.

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