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La Mondazzoli e il caso Ferrante

Aspettando la fusione Mondadori-Rizzoli, si discute del sesso degli angeli al premio Strega

di Maurizio Zuccari

Nathan Altman, ritratto a Anna Achmatova, 1918, da Elena Ferrante, La frantumaglia, E/o
Nathan Altman, ritratto a Anna Achmatova, 1918, da Elena Ferrante, La frantumaglia, E/o

Sarà perché è un autore Einaudi, oltre che un fine costituzionalista, ma è caustico Gustavo Zagrebelsky: «Qualcuno ha avuto l’idea del partito della Nazione, qualcun altro vuol fare la casa editrice della Nazione». Moderatamente benedetta dalla Borsa, la ventilata fusione – più che un’ipotesi, in realtà – della Rcs con Mondadori offre la stura alle tribù letterarie italiote per scendere in campo l’une contro l’altre schierate, contro l’ipotesi di una mega casa editrice che raccoglierebbe il 40% del mercato librario italiano (assai miserello, in verità). La proposta di acquisizione della divisione libri Rizzoli dovrebbe essere discussa nel consiglio di amministrazione della Rcs il 2 marzo, forte del placet del presidente Angelo Provasoli (consulente di parte per Fininvest nella causa sul lodo Mondadori del 2009), dell’ad Pietro Scott Jovane e dei rappresentanti della Fiat, azionista di maggioranza, e porterebbe al colosso di Segrate i marchi Bompiani e Adelphi, parte della galassia Rizzoli. E proprio all’Adelphi vedono i sorci verdi in queste ore, con la probabilità che Roberto Calasso e gli altri soci di minoranza della casa editrice milanese, di cui la Rcs detiene poco oltre il 50%, si sfilino dall’operazione pur di non finire nel calderone berlusconiano. «Molto preoccupato» si dice il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, come pure preoccupata appare Elisabetta Sgarbi, editrice editoriale e anima della Bompiani, riguardo all’autonomia autoriale che conserverebbe la casa editrice, mentre è più possibilista il fratello Vittorio, tra gli autori di punta: «Non vedo problemi rispetto a possibili ingerenze – dichiara il critico d’arte – Berlusconi è il miglior editore che si possa avere perché non ha velleità culturali. Quando andavo a casa sua, trovavo i libri regolarmente nel cellophane. Il problema è altrove: l’operazione è sbagliata: limita la concorrenza e penalizza gli autori». Se l’operazione andasse in porto, la Mondadori – che ha tra i marchi controllati Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer, oltre a Education ed Electa – non avrebbe di fatto rivali in Italia, eccetto Feltrinelli e il gruppo Gems, su quote di mercato assai più ridotte, a una cifra che può dirsi di realizzo: dai 180 milioni di euro ventilati prima del distacco di Skira da Rcs l’affare si chiuderebbe con una cinquantina di milioni di meno. Se non sono saldi poco ci manca. Saldi e preoccupazioni a parte, i mediologi sottolineano come quello delle concentrazioni editoriali sia l’unico modo di fare fronte alla crisi generale dell’editoria e alle nuove sfide che i giganti hitech della distribuzione (e produzione di contenuti) online, quali Amazon e Google, pongono a un mercato oligopolistico, dove i signori della carta si contano sulle dita di una mano: Simon & Schuster e Harper Collins, a stelle e strisce, la francese Hachette, Penguin Random House e Macmillan, anglotedesche. Ai “big five” si aggiunge Bertelsmann, la multinazionale tedesca che sta creando la più grande concentrazione editoriale della storia, con l’occhio puntato ai paesi emergenti – anche da un punto di vista librario – in America Latina e Asia, quali il Brasile e la Cina. Grandi, grandissimi numeri sul mercato mondiale dell’editoria libraria. E proprio una joint venture con Bertelsmann – partner di Mondadori nei periodici Focus e Geo tramite la controllata Gruner+Jahr – appariva come una possibile alternativa ai piani alti di Segrate, prima che il matrimonio con Rcs prendesse quota, motivato dalla comune sopravvivenza più che dalla sentita passione. E mentre il premio Strega Sandro Veronesi parla al riguardo addirittura di «un’unione insana» e sul Risiko della grande carta si muovono i pezzi, a “smargine” della vicenda una querelle letteraria prende corpo nel Belpaese. Tra oculata operazione di marketing letterario e insincero desiderio di sparigliare le carte, Elena Ferrante parteciperà al più importante premio del salotto buono letterario, ormai declassato a mobile tarlato, che Marino Sinibaldi vorrebbe intitolare alle sale stampa degli editori, più che ai libri. Patrocinato da Roberto Saviano (con una lettera aperta su Repubblica) e Serena Dandini, il fantasma letterario italiano che da vent’anni miete successi in patria e all’estero – Foreign Policy l’ha messa tra le cento personalità più influenti al mondo per la sua «capacità di raccontare storie vere e oneste», l’Economist l’ha definita «il migliore scrittore contemporaneo», e pure i critici del New Yorker la vedono di buon occhio – ha detto sì alle sirene streghiste. Quest’anno sarà lei a rivitalizzare la kermesse ideata dalla buonanima della Bellonci, forte di vendite e d’un nome che mantiene il fascino dell’anonimato, pur se i beninformati dicono che la signora altri non sarebbe che Anita Raja. «Lo sanno anche i sassi», afferma Roberto d’Agostino sul suo sito, «che la scrittrice che fa impazzire i letterati di New York è la 62enne traduttrice napoletana, creatrice della collana E/o in cui apparve il primo romanzo della Ferrante stessa, nonché consorte dello scrittore Domenico Starnone».  E Pazienza se altri indicano nello stesso Starnone, o in Fofi, o vattelapesca, l’autrice di chiara fama e belle lettere. La Ferrante che mette in lizza per la E/o l’ultima nata della quadrilogia dell’Amica geniale, Storia della bambina perduta, venne già candidata allo Strega nel ’92 con l’Amore molesto, da cui Martone trasse l’omonimo film (idem per I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza, un decennio dopo). Ma la signora, o chi era, al suo esordio non se la filò nessuno e tutto finì lì. Ora, più di vent’anni dopo – misteri della vita e della letteratura – la stessa Ferrante, ormai caso letterario, con la sua candidatura sarebbe in grado di ridare un senso allo Strega, e ai sacri destini della letteratura, come lei stessa con grande senso del proprio ruolo concede, sempre per missiva, a Repubblica: «Se L’amica non entrerà in cinquina si potrà dire definitivamente, senza ombra di dubbio, che lo Strega così com’è è irriformabile e che quindi va buttato per aria». Pleonanismi e sicumere a parte, che pure in uno scrittore hanno il loro peso, la questione ovviamente appassiona le medesime famiglie di cui sopra, al punto che lo stesso Veronesi minaccia d’abbandonare il robusto club degli Amici se il fantasma non si materializzasse al premio. Laddove il vincitore dello scorso anno, con quel manifesto letterario del renzismo che è il Desiderio di essere come tutti, impegnato nella sceneggiatura della quadrilogia della Ferrante per la tv, ne sarebbe entusiasta. Come quelli di Wired e tutti i partigiani del nuovo che bello e di quanti non sanno più che inventarsi per dare pepe a un premio gestito da un trentennio dal duopolio Mondadori-Rizzoli che l’arcibuonanima della Rimoaldi a fatica frenava. Che la scrittrice napoletana – o chiunque sia – entri nella cinquina che sarà decisa nella ex casa Bellonci il 10 giugno (e, prima, nella dozzina che salterà fuori il 16 aprile), è probabile. Tanto più che questa per la prima volta ha cambiato le regole, con la possibilità degli Amici di mettere tre preferenze, e la cosiddetta clausola di salvaguardia della bibliodiversità (sic) per cui se nella medesima non entrasse un autore medio-piccolo, questo si aggiungerebbe agli altri determinando una sestina (o più, in caso di ex aequo). Quanto che la sua eventuale vittoria possa riformare il premio più riformato di sempre, è questione a cui solo le anime belle possono credere, nel digrignar di denti delle volpi del marketing letterario.  Ché quel duopolio, e tutto torna, con la neo Mondazzoli è già monopolio, con buona pace di quanti amano un mercato truccato sì, ma non truccatissimo, e il politicamente corretto. Così, discettare se uno scrittore – un artista – debba avere, come tutti, una faccia e una vita, prima ancora che il diritto a nascondersi o a celare la propria identità, appare come quel sereno discettare del sesso degli angeli a Bisanzio, coi Turchi alle porte. www.mauriziozuccari.net

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