Nelle motivazioni della prima sentenza Cucchi, le ombre sui Carabinieri che La Russa aveva assolto prima dalle indagini
di Checchino Antonini*
Sono parecchi gli appunti delle motivazioni sul cono d’ombra di un’inchiesta controversa che ha teso prima, a escludere dall’inizio un ruolo degli elementi dell’Arma coinvolti nelle operazioni di arresto, custodia e traduzione di Stefano. E poi è riuscita anche ad assolvere l’altra polizia, quella penitenziaria, derubricando il caso a una più banale colpa medica.
A porre un diktat sulla Benemerita fu La Russa in persona: «il Ministro della Difesa aveva rivendicato la correttezza del comportamento dei Carabinieri; inoltre vi erano state dichiarazioni di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, il tutto veicolato da Radio Radicale, ( emittente nazionale), con la trasmissione “Radio Carcere”, molto popolare tra i detenuti», si legge nella sentenza.
E poi ci sono i “pasticci” delle carte che accompagnano il detenuto all’udienza di convalida, da cui risultava essere un albanese più anziano e senza fissa dimora così da precludergli i domiciliari. Oppure il “giallo” dell’avvocato: Cucchi ne aveva nominato uno ma l’Arma non l’ha cercato. E le dichiarazioni dei militari cozzano spesso tra loro.
Sempre quello che ha ricordato Giovanni Cucchi, il padre, «quando Stefano si era seduto sulla panca e si era visto avvicinare dall’avvocato di ufficio, appunto l’avvocato Rocca, si era arrabbiato con i carabinieri ai quali aveva detto: “ma come, non avete chiamato l’avvocato Maranella? Ma come, vi avevo detto ieri sera di chiamarlo, mannaggia”, al che un carabiniere, “cadendo dalle nuvole”, gli aveva risposto: “Maranella … Maranello, bah!”». «C’era un battibecco continuo nei confronti dei Carabinieri … si sentiva, verso la fine dell’aula un … battibecco che comunque non era consono all’aula”, “lui era molto risentito per … per l’arresto, secondo lui era un fatto totalmente inaccettabile».
Ma andiamo con ordine.
«E’ legittimo il dubbio che il Cucchi, arrestato con gli occhi lividi, (perché molto magro e tossicodipendente secondo la interpretazione di Mandolini) e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri». Così a pagina 39 delle motivazioni, 187 pagine diffuse ieri, della sentenza sulla morte di Stefano Cucchi. «Non è certamente compito della Corte – si legge ancora – indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui, e tuttavia sono le stesse dichiarazioni dei carabinieri che non escludono la possibilità di prospettare una ricostruzione dei fatti diversa da quella esternata da Samura Yaya (il teste chiave, ndr). Né si può dire che il Cucchi avesse esagerato con Colicchio (un altro carabiniere, ndr) le sue problematiche di salute fingendo di sentirsi peggio di come in realtà si sentisse, in quanto l’intervento dell’ambulanza non era partito da una sua richiesta, (ma da un’iniziativa di Colicchio) e quando questa era arrivata egli si era dapprima rifiutato di farsi visitare e infine si era rifiutato di recarsi al Pronto Soccorso, come lo sollecitava l’infermiere Ponzo». Le stranezze sono due: che con tutti questi dubbi la Corte non ha rinviato gli atti per una nuova indagine e che i carabinieri non si preoccuparono di stabilire le reali condizioni di salute dell’arrestato: « all’atto della presa in carico di un detenuto – ricorda il giudice – è regola di prudenza per chi lo riceve, al fine di non incorrere in indebite responsabilità, farlo sottoporre a visita medica affinchè vengano certificate le condizioni fisiche o comunque di salute nelle quali lo stesso si trovi, se queste non siano normali e si possano sospettare atti di violenza. E allora occorre ricordare che, per quanto riguarda Cucchi, il primo che aveva preso in considerazione in maniera quanto meno problematica le sue condizioni fisiche era stato proprio quel carabiniere Colicchio, piantone della Caserma dei Carabinieri di Roma-Tor Sapienza, cui il malcapitato era stato affidato per la notte dai Carabinieri della Stazione di Roma-Appia».
Più avanti si legge che «talune dichiarazioni rese da alcuni carabinieri e dall’infermiere Ponzo che dimostrerebbero che il giovane aveva subito delle violenze prima di giungere nelle celle di piazzale Clodio».
«L’arrestato veniva dunque prelevato dalla pattuglia mobile di zona Casilina, composta dai carabinieri Schirone Pietro e Mollica Stefano. Il carabiniere Schirone riferiva circostanze contrastanti con quelle riportate dal carabiniere Di Sano».
Schirone, che lo andò a prendere in cella, riferisce di un collega piantone che gli disse che «il detenuto, durante la notte aveva creato … aveva creato qualche fastidio dando, a suo dire, delle testate ai muri nella cella di sicurezza (…) scesi nelle celle con … con il collega e appunto aprii la cella del. .. del Cucchi. Stefano Cucchi era sotto le coperte, infatti quando siamo arrivati … quando siamo arrivati dormiva. A quel punto lo … lo svegliammo e si alzò. Si alzò e notai che comunque aveva sul viso … aveva il viso gonfio, aveva delle macchie sotto agli occhi, al che chiesi appunto al collega e gli dissi: “ma avete chiamato un’autoambulanza, qualcuno? “, e disse: “sì, abbiamo chiamato un’ autoambulanza, però non si è fatto … refertare “(…) A quel punto svegliato … svegliato il Cucchi, lo guardai un attimo e dissi: “ma … ma che hai fatto?” e lo stesso mi disse: “no no, amici miei, amici miei”, basta. Poi mi disse … ha aggiunto inoltre che dovevamo assumere una compressa perché era … era epilettico, al che avendo persone in famiglia che soffrono della stessa malattia, gli ho chiesto se volesse andare in ospedale e non a Piazzale Clodio, gli ho detto: “io ti porto all’ospedale, ti mando all’ospedale, così pigli tutto quello che devi prendere, a Piazzale Clodio ci pensiamo dopo” e lo stesso mi disse: “no no, andiamo, andiamo”.
Anche il carabiniere Mollica ha detto che «aveva dei … gonfiori intorno agli occhi, mi è venuto subito la domanda se aveva bisogno di un medico e lui ha rifiutato il medico, dopo di che gli ho chiesto come mai aveva questi “questi gonfiori, questi cerchi intorno agli occhi, ben visibili e … e lui mi ha risposto che erano stati dei suoi … dei suoi amici. Allora gli ho detto … gli ho ribadito dicendo: chi? Gli ho detto così e lui ha detto: no, so’ caduto dalle scale”».
Il carabiniere Colicchio riferiva che Cucchi, alla sua richiesta di togliersi la cintura che aveva la fibbia rotta, gli aveva risposto “che ve devo dà pure ‘sta cintura che mi hanno rotto?”, senza tuttavia chiarire chi gliela avesse rotta. Ma «Colicchio, esaminata la foto del Cucchi al suo ingresso in carcere, precisava che quando lo aveva visto lui, il ragazzo aveva solo un rossore sotto gli occhi, ma non era gonfio come risultava dalla foto scattatagli all’ingresso di Regina Coeli, (analoga risposta forniva il carabiniere Aristodemo).
A sentire il suo collega Di Sano, Cucchi «aveva sempre dormito, non si era lamentato di nulla, se non del freddo al risveglio, tanto che si era alzato sulla testa il cappuccio della felpa, nemmeno aveva voluto andare in bagno prima di uscire dalla caserma; camminava con un pò di fatica, (“claudicante”, “tremolante”, “ciondolante”)». Di Sano aveva attribuito ciò alla sua estrema magrezza e al suo stato di tossicodipendenza; aveva le occhiaie rossastre e il viso un po’ gonfio, simile a come era effigiato nella fotografia di Regina Coeli».
Le motivazioni stabiliscono dunque che al momento della perquisizione domiciliare «il giovane non presentava segni di patita violenza»; ma alla convalida dell’arresto «il giovane presentava evidenti segni di violenza che, tenuto pure conto dei limiti che può avere una riproduzione fotografica, erano quelli rilevabili dalla foto in atti scattata al momento dell’ingresso a Regina Coeli. Più arduo stabilire quali fossero le condizioni del giovane nella fase immediatamente precedente, cioè quando, effettuata la perquisizione domiciliare, ancora si trovava nella custodia dei Carabinieri».
Ricapitolando: «Il maresciallo Mandolini, e i carabinieri Tedesco e Aristodemo, (ovvero gli operanti della Caserma Roma-Appia), riferiscono che Cucchi già aveva occhiaie marroni non dissimili da quelle dalla foto, ancorchè forse meno accentuate, che in particolare il Tedesco aveva ritenuto connaturate alle condizioni di magrezza e alla lunga storia di tossicodipendenza di Cucchi; il carabiniere Nicolardi, (della pattuglia consorziata che aveva trasferito l’arrestato dalla Caserma Appia a quella di Tor Sapienza), lo vede in viso in condizioni normali, nel corpo non sofferente, né zoppo. Dopo di che, man mano che ci si allontana dagli operanti della Caserma Roma-Appia, (come è stato osservato dalle difese degli agenti di custodia), le patologie del Cucchi vengono riferite con maggior nettezza. Così il carabiniere Colicchio della Stazione Tar Sapienza, dove il giovane trascorre la notte prima della convalida, rileva il rossore sotto gli occhi, anche se il volto è meno gonfio di quello della foto; il carabiniere Di Sano, che alle h. 6,00 del 16 ottobre da il cambio a Colicchio, è ancora più esplicito e riferisce che aveva le occhiaie rossastre e il viso gonfio simile a quello della foto ed inoltre camminava con un po’ di fatica; addirittura il carabiniere Schirone, componente della pattuglia mobile di zona (P.M.Z.), che percorre con il Cucchi il tratto dalla Stazione di Tor Sapienza e al Tribunale di p.le Clodio, riferisce di avere appreso dal Di Sano che il Cucchi durante la notte aveva dato in escandescenze colpendo con testate i muri della cella; che aveva potuto direttamente costatare che lo stesso zoppicava, aveva il viso gonfio con macchie sotto gli occhi».
«Schirone, a seguito della contestazione del PM, ha confermato le dichiarazioni rese il 30110/2009: “Dopo averlo accompagnato in cella io chiedevo ai colleghi di Appia se si erano resi conto delle condizioni fisiche del detenuto e se avevano ritenuto di portarlo in Ospedale, al che il carabiniere Tedesco mi rispondeva che non era stato affatto collaborativo tanto che aveva rifiutato il fotosegnalamento. Concludevo la. conversazione raccomandando al Tedesco di tenere il detenuto sotto controllo anche in considerazione del fatto che mi aveva detto che era epilettico “; “il Cucchi ricordo che zoppicava, ricordo che aveva un malore a …. a una gamba, non ricordo adesso quale fosse, e ricordo anche che nel momento in cui siamo andati via dalle celle di sicurezza, le stesse avevano … cioè … per uscire … dalla Stazione Carabinieri comunque bisogna salire una rampa di scale. lo ovviamente ero avanti perché dovevo. andare a firmare tutti i registri, essendo capo equipaggio. Ricordo che … credo che il Mollica abbia dato una mano a Cucchi a salire le scale” e ancora penso comunque che il viso di Cucchi e gli ematomi che avesse sul viso Cucchi fossero più importanti dell’avere … un dolore a una gamba”, “Penso comunque che avere un viso in queste condizioni … “. In Aula un difensore di uno dei secondini gli domanderà se il Cucchi fosse stato pestato: «Pestato … beh, … qualche schiaffo in quelle condizioni penso di sì”», dice Schirone.
Una delle zone d’ombra è senza dubbio la circostanza dell’arrivo dell’ambulanza nella camera di sicurezza dove Stefano passò la notte dopo essere stato interrogato e prima di andare a Piazzale Clodio. «Va ricordato – scrivono i giudici – che il rifiuto opposto all’infermiere non era il primo eccepito da Cucchi in quanto egli già si era rifiutato di sottoscrivere gli atti redatti nella Caserma di Roma-Appia e si era sottratto altresì al fotosegnalamento, (la cui mancanza certamente non aiuta a sciogliere i dubbi sulla condotta tenuta quella notte dai carabinieri)». Viene formulata un’ipotesi: « Se qualcosa di anomalo si era verificato, ciò può verosimilmente collocarsi nel lasso di tempo che va tra il ritorno dalla perquisizione domiciliare, (verso le h. 2,00), e l’arrivo della pattuglia automontata condotta da Nicolardi, (intorno alle h. 3,40)». « In via del tutto congetturale potrebbe addirittura ipotizzarsi che il Cucchi fosse stato malmenato dagli operanti al ritorno dalla perquisizione domiciliare atteso l’esito negativo della stessa laddove essi si sarebbero aspettati di trovare qualcosa, (l’operazione dell’arresto era stata propiziata da una fonte confidenziale), mentre il giovane aveva mantenuto una comprensibile reticenza circa il luogo dove realmente egli abitava. In questo ipotetico contesto potrebbe trovare la sua collocazione la circostanza, risultata inspiegabile, del mancato “rintraccio” sul relativo albo, da parte dei Carabinieri, dell’avvocato Maranella, difensore “storico” del Cucchi oggetto delle sue recriminazioni in aula contro i Carabinieri».
A Regina Coeli, Cucchi aveva conosciuto Alaya Tarek, un altro detenuto che si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Costui aveva riferito che la sera in cui Cucchi era entrato nella cella aveva freddo, si sentiva male, aveva gli occhi cerchiati e camminava a fatica, tanto che lui gli aveva chiesto: “che è successo? “, ricevendo questa risposta: “mi hanno riempito di botte, tutta la notte preso botte dai Carabinieri “, “ho preso tante botte in Caserma dai Carabinieri “». Più o meno la stessa storia era stata riferita da una detenuta che avrebbe fumato una sigaretta con Stefano nei sotterranei di Piazzale Clodio: a lei avrebbe detto che lo avevano conciato così «gli agenti che l’avevano arrestato».
Un agente della polizia penitenziaria, Mastrogiacomo, ha ricordato ai pm che «quando l ‘ho visto, così, mi è venuto spontaneo dirgli se aveva fatto un frontale con un treno, perché l ‘ho visto diciamo un po’ con … violaceo sul viso, così, un po’ che camminava a stento … non riusciva a piegarsi perché aveva un segno su … sopra l’osso sacro “, “gli ho chiesto perché l’avevano arrestato e mi aveva detto che l’avevano fermato con un po’ di … roba, così, e che era stato diciamo menato all’atto dell’arresto …. cioè all’inizio ha detto così, i Carabinieri, poi dopo glielo ho richiesto dice: ‘all’atto dell’arresto’, mi ha detto, queste parole “, “che era stato pestato all’atto dell’arresto, sino a che è stato in piedi diciamo, ha … parato qualche colpo e poi per terra non … non si è potuto para’, ma da chi e come non lo so “, “e poi mi ha detto che faceva il pugile perché l ‘ho visto talmente secco, gli ho detto se era anoressico … dice: ‘no, guardi, devo stare al di sotto dei 44 chili perché faccio il pugile’ “, “quando l ‘ho fatto spogliare, è brutto dirlo, mi ha fatto pena, l ‘ho visto molto deperito e gli ho chiesto se era anoressico”».
*articolo scritto il 4 settembre 2013