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Norvegia, il senso dei vikinghi per il welfare

Viaggio in Norvegia dove c’è il miglior welfare del mondo, la polizia spara due colpi di pistola l’anno, ma ora tutto è in bilico perché governa il centrodestra

da OSLO, Enrico Baldin

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La Norvegia dei Vichinghi e dei barbari che protetti dal Dio del tuono Thor assaltavano e saccheggiavano per mari mezza Europa; la Norvegia di Re Harald  lo spietato e delle secolari guerre con Svezia e Danimarca: nulla di più lontano, non solo nel tempo, rispetto alla Norvegia che ora siamo abituati a conoscere. Lontana da storie e mitologie di terrore, oggi la Norvegia ha un’aurea di paese dei diritti e delle protezioni sociali: ma tutto ciò potrebbe lentamente cambiare.

I 55000 dollari annui (quasi il doppio rispetto all’Italia) assegnano ai norvegesi il terzo posto al mondo per reddito pro capite, mentre il tasso di disoccupazione si mantiene al 4,1% nonostante il recente crollo del prezzo del petrolio di cui il Paese è un grosso esportatore. La Norvegia – che non fa parte dell’Unione Europea per stessa volontà dei suoi cittadini due volte espressisi circa un eventuale ingresso – non ha quasi affatto sentito la crisi e a differenza di altri Paesi non ha taglieggiato la spesa sociale. La fama per il forte stato sociale a protezione delle fasce deboli è ormai proverbiale e le tutele riservate alle donne ed alle madri hanno di recente ricevuto il placet di Save the children che ha definito la Norvegia il miglior paese al mondo per diventare madri.

Ma ciò che pur meno noto è ancor più stupefacente sono le politiche in merito di sicurezza. Basterebbe passeggiare per le verdi ed eleganti vie della capitale Oslo per averne una percezione: niente sirene di polizia, presenza delle forze dell’ordine più che discreta, il palazzo del monarca Harald V protetto solo da una mezza dozzina di guardie che hanno un aspetto più che altro coreografico. Anche intorno al perimetro dello Storting – il Parlamento unicamerale norvegese – non vi è traccia di particolari protezioni, e le periferie appaiono tranquille come il centro. A suggellare la bontà delle impressioni sono i dati relativi alla criminalità e agli interventi delle forze dell’ordine: basti pensare che nell’anno 2014 in tutto il paese scandinavo la polizia ha sparato solamente due colpi di pistola, peraltro senza ferire alcuno, fonte Ministero dell’Interno. E del resto i variegati dati sulla criminalità consegnano alla Norvegia il conforto di essere uno tra i paesi più tranquilli d’Europa.

La ciliegina sulla torta poi è rappresentata dal sistema penale e detentivo elogiato anche da Amnesty International: misure detentive alternative al carcere, pene mediamente più corte rispetto al resto d’Europa e una invidiabile capacità di “reinserire” i condannati ad una vita normale. Il settimanale Internazionale qualche mese fa riportò l’esempio del carcere di Bastoy. Carcere tra virgolette, visto che non ha celle né sbarre: esso vanta un tasso di recidività del 16% che è piuttosto basso se raffrontato con la media carceraria italiana che si aggira oltre il 70%. Un modello, quello detentivo norvegese, che può essere ritenuto discutibile: il mondo infatti si interrogò quando apprese che Anders Breivik, il terrorista di estrema destra che nel 2011 uccise 77 persone, pur riconosciuto “sano di mente” e pur ritenuto colpevole di tutti i capi di imputazione, venne condannato a 21 anni di carcere prorogabili di cinque nel caso in cui a fine pena fosse ritenuto ancora socialmente pericoloso. Breivik peraltro non dimostrò mai alcun cenno di pentimento. Per l’istituto penale norvegese ventuno anni è la pena massima avendo il paese abolito l’ergastolo dal suo ordinamento giudiziario.

Le cose però potrebbero iniziare a cambiare. Nel 2013 a seguito delle elezioni politiche si è costituita una coalizione di centrodestra – con a capo la leader conservatrice Erna Solberg – che subentrò al precedente governo laburista. I conservatori specie negli ultimi mesi, oltre ad avere aperto alla possibilità di iniziativa privata a fianco a quella pubblica in campo di sanità ed istruzione, hanno premuto sul tasto securitario. Recentemente è stata improntata una legge che vieta richiedere l’elemosina nelle città, con pene che possono arrivare fino ai tre mesi di carcere: «Dove ci sono accattoni ci sono scippi e borseggi» ha motivato la Solberg. E’ inoltre in corso una riflessione circa la possibilità di dotare le forze dell’ordine di armi da fuoco, finora non utilizzabili eccetto in alcuni casi.

Sul fronte dell’accoglienza dei profughi invece, pressata dall’opinione pubblica, la Solberg ha firmato un protocollo che impone alla Norvegia l’accoglienza di 8000 profughi siriani in tre anni, ed ha aumentato gli stanziamenti per la gestione della crisi umanitaria in Siria. Ma non sono mancati i malumori dentro alla compagine di governo che è costretta a contare sull’appoggio esterno dei centristi, più inclini all’accoglienza rispetto al partito della Solberg (che fu anche quello di Breivik da ragazzo) che anche nei mesi che precedettero il voto di due anni fa diedero fiato alle grancasse xenofobe promettendo in campagna elettorale nessuna tolleranza nei confronti degli immigrati che sono circa il 10% della popolazione norvegese e sono ben integrati nel tessuto sociale.

Alcuni esponenti della maggioranza chiedono quotidianamente politiche più dure nei confronti dei migranti, e le loro richieste – pur bilanciate nei delicati equilibri della fragile maggioranza – non rimangono del tutto inascoltate: lo evidenzia il vertiginoso aumento delle espulsioni coatte dal territorio nazionale, confermato dal Ministero dell’Interno, e la pur lieve diminuzione in percentuale del numero di richieste di asilo politico accolte.

Senza contare il dramma del sovraffollamento dei centri di accoglienza distribuiti nel territorio, che versano in condizioni disumane a detta pure della compagine di governo. Eppure ad Oslo ha sede il Norwegian Refugee Council, dal 1946 istituzione principe nella difesa dei rifugiati in tutto il mondo; eppure ad Oslo – di fronte al museo sui premi Nobel per la pace – troneggia una gigantografia murales che reca l’immagine di una nave piena di profughi messi in salvo. Vichinghi e barbari ormai fanno parte dei libri di storia, ma anche quella nordica tradizione di diritti e civiltà rischia a poco a poco di essere archiviata in egual modo.

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