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Rei, il reddito di inclusione che esclude quasi tutti i poveri

Altro che passo storico, il Reis, reddito di inclusione somiglia a una “poor law” ottocentesca. Pochi soldi per pochi poveri. Solo briciole da un governo che taglia i servizi

di Checchino Antonini

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Reddito di inclusione, c’è chi dice che sia un risultato “importante”, un “passo storico”, un “successo della politica” ma a qualcun altro sembra una ottocentesca “poor law”: il mondo dell’associazionismo e del terzo settore italiano è diviso di fronte all’approvazione della legge delega sulla povertà in Senato o, almeno, c’è chi sottolinea la negatività chi fa buon viso a cattivo gioco. Le tante reazioni positive non riescono a nascondere le preoccupazioni per quel che sarà del nuovo Reddito di inclusione (Rei) e del Piano nazionale contro la povertà che il governo dovrà mettere a punto nei prossimi mesi con i decreti attuativi. L’auspicio è quello di avere una misura che gradualmente possa allargare la platea dei beneficiari per intervenire a favore di tutti i poveri assoluti presenti in Italia, quindi anche maggiori risorse, ma non solo: la partita del Reddito di inclusione si giocherà anche sui territori e sui servizi.

«Il Senato ha approvato una legge che è più simile ad una “poor law” di fine Ottocento che ad una moderna legge sul reddito minimo di respiro europeo come previsto dall’articolo 34 della Carta di Nizza – afferma la Rete dei Numeri Pari – la povertà sembra essere una colpa, piuttosto che una responsabilità politica di chi sta gestendo la crisi amplificando la forbice delle disuguaglianze. Oggi la povertà è un fenomeno strutturale che colpisce soprattutto donne, giovani e migranti, a cui bisogna rispondere con misure di welfare strutturali. Il Governo propone invece un Reddito di Inclusione fondato sull’esclusione e sull’assistenzialismo. La misura è infatti finanziata con 1,6 miliardi di euro, rivolta a famiglie al di sotto della soglia dei 3mila euro di ISEE con almeno un figlio minore, escludendo gran parte delle condizioni di povertà e rivolgendosi a solo il 30% dei 5 milioni di persone in soglia di povertà assoluta. In questi 5 milioni ci siamo tutti noi che abbiamo subito la crisi: giovani, precari, lavoratori poveri, senza fissa dimora, ragazze madri. A ciò si aggiunge un taglio di 211 milioni di euro al fondo per le politiche sociali, che passa da 311 a 99 milioni, e di 50 milioni a quello per la non autosufficienza, che si riduce da 500 a 450. Sull’altare dei vincoli di bilancio si sacrificheranno concretamente asili nido, famiglie in difficoltà, centri antiviolenza, assistenza domiciliare, sostegno a disabili e anziani, edilizia scolastica e sanitaria. Siamo stanchi che gli equilibri di bilancio colpiscano sempre i deboli, vogliamo la revisione dell’articolo 81! Vogliamo che il parlamento discuta il “Reddito di Dignità”, che garantisce il 60% del reddito mediano e favorisca la dignità della vita, l’autodeterminazione nelle scelte familiari e di lavoro. Non possiamo accettare più misure al ribasso, mentre i ricchi si arricchiscono sempre più, come dimostrano i dati Oxfam. Ci mobiliteremo dal basso come realtà del sociale per aprire spazio alla voce dei deboli e degli esclusi a cui questa politica miope non riesce più a rivolgersi».

Ad accogliere con favore il risultato parlamentare sono le cinghie di trasmissione tra il Pd e la società, in primo luogo il cartello dell’Alleanza contro la povertà che non può negare come l’obiettivo non sia stato raggiunto, «rimane l’effettiva universalità della prestazione, dentro una strategia di rafforzamento del sistema dei servizi. Auspichiamo che attraverso i decreti delegati si prosegua nella direzione da noi indicata».

Per Claudia Fiaschi, portavoce del Forum nazionale del terzo settore, l’approvazione della delega è «un successo della politica nella sua funzione di rispondere ai bisogni sociali. Finalmente anche l’Italia, come tutti gli altri Paesi europei, si dota di una misura nazionale, il Reddito di inclusione, per aiutare le persone in condizione di povertà assoluta». Plauso non senza qualche rimorso: «Sebbene crediamo che nel testo in discussione fossero ancora presenti margini di miglioramento, auspichiamo che si proceda in tempi brevi all’approvazione dei decreti attuativi previsti dal Ddl, perché la lotta alla povertà continui a essere una priorità nel nostro Paese».

Non nasconde le proprie perplessità Francesco Marsico, di Caritas Italiana, che in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, nei giorni scorsi ha affermato che il limite della legge delega contro la povertà «è che al momento non ci sono le risorse sufficienti per questa misura che rischia di essere solo una misura categoriale cioè solo per le famiglie con figli». Tuttavia, qualcosa si può ancora fare.

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