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Roma, la Corte dei Conti è l’assessore al Patrimonio

C’è un procuratore scatenato alla Corte dei Conti con la mission di sfrattare associazioni già dissanguate dai tagli del welfare. Il mondo del volontariato chiede di deferirlo

di Ercole Olmi

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A dirla semplicemente, si potrebbe dire che ci sia un procuratore “assatanato”, alla Corte dei conti, che avrebbe una mission precisa: sfrattare le associazioni, il volontariato, i partiti, le scuole di musica, i teatri di base ecc… dalle loro sedi in stabili di proprietà comunale o pretendere da queste esperienze dissanguate dalle politiche liberiste dei canoni a prezzi di mercato e anche gli arretrati. In pratica, chi governa Roma, sostituendosi a mezza Giunta Raggi, è la Corte dei Conti. La faccenda, naturalmente, è un più complicata, è la classica polpetta avvelenata confezionata dalla Giunta Marino, che aveva promesso un regolamento e non l’ha mai fatto, perfezionata dal Commissario prefettizio Tronca e servita ai romani dall’immobilismo per cui la sindaca Raggi passerà alla storia assieme alla sua grottesca idea di legalità. Un bombardamento sul tessuto sociale e comunitario della città che è senza precedenti e che viene attuato, come ha scritto Sandro Portelli, in nome di una astratta legalità che solo occasionalmente coincide con la giustizia. Astratta legalità che, tuttavia, in questo caso appare fondarsi su basi giuridiche fragili e comunque meramente formalistiche. Lo scrittore Christian Raimo, su Internazionale, compila un catalogo impressionante di cui anche Popoff s’è occupato nei giorni scorsi.

Per esempio il 16 febbraio scorso: alla mattina il teatro dell’Orologio – 36 anni di attività – viene chiuso dai vigili del fuoco per la mancanza di un’uscita di sicurezza (che in realtà manca da sempre per problemi strutturali del luogo); qualche ora dopo al Rialto Sant’Ambrogio – la sede del movimento sull’acqua pubblica – vengono messi i sigilli (è stato rioccupato una settimana dopo, ma è probabile che sarà lasciato tra pochi giorni).

E questi sono solo due dei molti casi: la Roma culturale e sociale è sotto attacco, minacciati i suoi luoghi simbolici. Il Celio Azzurro, l’asilo che sta sotto il Palatino, modello di inclusione, di multiculturalismo, nato grazie a un gruppo di volontari nel 1990: il 31 marzo gli è stato intimato di lasciare la sede storica, oppure pagare cinquemila euro al mese e quasi 250mila euro di debiti pregressi. La scuola popolare di musica di Testaccio, nata nel 1976: andarsene o pagare 700mila euro di affitto arretrato. E poi c’è l’Accademia filarmonica romana a via Flaminia, e poi una serie di centri sociali storici, la Torre, Casetta Rossa, e le sedi di Sant’Egidio a via Anicia e a Ostia, e il circolo Gianni Bosio, e il centro curdo Ararat. Soltanto gli spazi culturali sono 73.

Si tratta di luoghi in cui si pratica l’insegnamento gratuito dell’italiano agli immigrati e ai richiedenti asilo, l’assistenza ai senza fissa dimora, la terapia ai disabili attraverso la musica e la formazione dei musicoterapisti, la ludoteca per bambini e ragazzi che vivono in situazione di degrado sociale, la promozione della memoria, della storia orale e della cultura popolare. Attività che il Comune di Roma aveva ritenuto meritevoli di ottenere la concessione d’uso di beni comunali ad un canone ridotto rispetto al valore di mercato. Beni comunali, stanze e stanzette, nella maggior parte dei casi da tempo non utilizzati ed abbandonati, il cui estremo degrado è stato superato solo per il rilevante impegno, anche economico, delle medesime associazioni.

L’equivoco degli arretrati

C’è un equivoco su cui occorre chiarezza, quello degli arretrati: si è indotti a ritenere che si tratti di debiti delle associazioni che hanno omesso di pagare il dovuto all’Amministrazione. Nella maggior parte dei casi, le associazioni hanno sempre corrisposto il dovuto, vale a dire il canone determinato dal Comune in considerazione dell’attività sociale svolta.

Solo dopo molti anni dalla costituzione del rapporto concessorio l’Amministrazione, sulla base di una interpretazione fuorviante, che le è stata imposta impropriamente dalla Procura della Corte dei conti, ha rimesso in discussione le assegnazioni per fini di utilità sociale, negando i rinnovi delle concessioni ed ha iniziato a pretendere di punto in bianco il pagamento del canone al presunto valore di mercato, anche per gli anni pregressi. Così, dall’oggi al domani le associazioni che avevano sempre pagato il dovuto sono diventate morose per somme rilevantissime. E sono sorti gli “arretrati” e le richieste di rilascio dei beni, fondate su un mutamento unilaterale dell’importo del canone con effetti retroattivi, che risulta del tutto arbitrario e viola fondamentali principi di diritto.

In questo modo l’Amministrazione, e prima ancora la Procura della Corte dei conti, non solo hanno determinato una evidente ingiustizia, che compromette il vitale tessuto sociale e comunitario di questa città, ma hanno generato una situazione di illegalità, a cui ora la Politica e le Istituzioni sono chiamate a porre rimedio, assumendosi le proprie responsabilità.

Francesca Danese: «I volontari non sono utili idioti»

«Stamattina abbiamo depositato questo documento importantissimo alla Corte dei conti, ma siamo solo all’inizio di un percorso – ha detto Francesca Danese, ex assessore alle Politiche Sociali della Giunta Marino e tra i promotori dell’iniziativa – dobbiamo stare uniti stiamo dimostrando che c’è un volontariato che studia e che non siamo solo degli utili idioti». Questa mattina, infatti, una delegazione di associazioni e di reti di volontariato ha consegnato alla Corte dei Conti una richiesta di deferimento del Vice Procuratore della Corte Regionale del Lazio, dott. Guido Patti alla Commissione Disciplinare. Si tratta proprio di quel procuratore alfiere della legalità del mercato immobiliare.

La richiesta nasce dall’esigenza di fare chiarezza sulla vicenda delle associazioni che negli ultimi mesi hanno ricevuto richieste di risarcimento esorbitanti, sfratti indiscriminati o sono state sgomberate dalle loro sedi, di proprietà del Comune e assegnate secondo procedure legali.

Il vice procuratore ha mosso massicce azioni giudiziarie per presunti danni erariali da addebitarsi ai dirigenti del Dipartimento patrimonio di Roma Capitale. Fino ad ora sono stati notificati 200 inviti a dedurre e 132 atti di citazione a un gruppo di funzionari (tutte donne), ma secondo il personale della Procura ne sono stati confezionati 650, con il metodo del copia e incolla. Secondo le associazioni, in questo modo, il Vice Procuratore ha interferito nella normale gestione della Sezione Giurisdizionale del Lazio.

Inoltre ha interferito nell’attività di Roma Capitale in vari modi, condizionando l’operato dei dirigenti e  impedendo all’Amministrazione di esercitare la propria autonomia e ai politici di esercitare liberamente il mandato conferito dagli elettori. Per questo le associazioni hanno scritto anche una lettera ai Dirigenti Capitolini e una alla Politica e all’Amministrazione.

L’interferenza del Vice Procuratore «si è sviluppata con inviti e diffide ad operare sfratti e a pretendere milioni di euro, con relativi arretrati, pena la citazione per danno erariale nei confronti dei dirigenti riottosi a recepire i “suggerimenti” dello stesso Procuratore», si legge tra l’altro nella prima. «Non apprezziamo una dirigenza burocratica, impaurita e priva del senso delle istituzioni, che abdica al dovere-potere di operare scelte. Si avverte la necessità di una burocrazia nuova, preoccupata non solo di aggiustamenti stipendiali o incarichi fuori busta, ma capace di confrontarsi a viso aperto con altri poteri pubblici e con la società civile nel rispetto di regole chiare e partecipate».

Nella Lettera alla Politica e all’Amministrazione Capitolina le associazioni stigmatizzano: «La Politica che sfugge alle sue responsabilità quale tribuna delle idee, del confronto e per logica deduzione, all’interno del percorso democratico, delle scelte» e «la Pubblica Amministrazione che abbandona l’onore del suo ruolo, l’essere terzo e garante di fronte al Cittadino, attraverso regole certe e chiare e comportamenti trasparenti». E concludono: «Ci aspettiamo che le Istituzioni elettive si riprendano la loro smarrita capacità decisionale e si assumano le responsabilità che trova le sue radici democratiche sul mandato che hanno ricevuto dagli elettori».

Le associazioni propongono anche che il Consiglio Comunale adotti una delibera in cui l’Amministrazione si impegni a tenere conto del Valore Sociale prodotto dalle organizzazioni dei cittadini: «Nel caso del patrimonio pubblico concesso dall’Amministrazione, infatti, il corrispettivo monetario costituisce solo una parte di un più ampio corrispettivo erogato attraverso le attività di servizi specialistici culturali, educativi e sociali ad integrazione di quelli erogati direttamente dall’Amministrazione Capitolina e tale attività costituisce interesse pubblico generale».

Per fare questo deve essere istituita «una specifica Commissione con il compito, entro quattro mesi, di fornire metodi, criteri e strumenti per la misurazione del Valore sociale dei servizi erogati da Roma Capitale attraverso il ricorso ad organizzazioni sociali e culturali. I risultati di tale commissione e della applicazione del metodo del Valore Sociale saranno oggetto di verifica, aggiornamento e riconsiderazione dopo 18 mesi da parte dell’Assemblea Capitolina».

Tra le Associazioni e gli enti firmatari della richiesta, Cild (Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica), Cesv (Centro Servizi del Volobtariato), Agci (Associazioni Generale Cooperative Italiane Lazio Solidarietà), il Forum Terzo Settore del Lazio, il Coordinamento Periferie di Roma, Corviale Domani, Federazione Italiana Artisti, Insieme per Fare.

 

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