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«Il decreto Minniti dilata l’area degli abusi in divisa»

Decreto Minniti, scrivono i legali di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa: «Così il governo Gentiloni sferra un attacco frontale ai diritti di tutti»

L'Unità, dalla Legge Reale ai decreti Minniti. Triste parabola del giornale del Pci di Pecchioli e del Pd di Minniti
L’Unità, dalla Legge Reale ai decreti Minniti. Triste parabola del giornale del Pci di Pecchioli e del Pd di Minniti

Il Decreto Minniti-Orlando sulla Sicurezza Urbana è stato convertito in legge dal Parlamento.

Di fatto, il nuovo Ministro degli Interni, l’uomo forte del governo Gentiloni, sferra un attacco violentissimo e frontale alle libertà e ai diritti dell’intero corpo sociale, iniziando col privare i migranti delle garanzie minime del giusto processo (abolizione dei gradi di giudizio, del principio del contraddittorio, creazione di giurisdizioni speciali) continuando poi ad attaccare le fasce più disagiate della cittadinanza attraverso l’introduzione di dispositivi amministrativi pienamente sanzionatori – che sapientemente coordinati con quelli già da tempo esistenti nell’ordinamento come il Testo Unico Leggi di Polizia e le Misure di Prevenzione – restringono ulteriormente gli spazi già angusti delle libertà costituzionalmente garantite in questo paese.

CITTA’ COME CURVE DEGLI STADI

Col decreto Minniti, dopo anni di allenamento nella palestra della repressione che nel tempo hanno rappresentato le curve degli stadi, il DASPO fa il suo ingresso a gamba tesa nel centro delle città da cui i soggetti già marginali, oggi “indecorosi”, potranno essere allontanati per ordine del Sindaco attraverso decisioni amministrative sottratti, se non in casi limitati, al controllo di legittimità dell’autorità giudiziaria e dall’esercizio del diritto di difesa, dunque del tutto discrezionali e dalla forte connotazione arbitraria.

Una libertà fondamentale e costituzionalmente garantita, la libertà di movimento, sarà dunque a totale appannaggio del potere incontrollato dell’organo amministrativo che a fronte di una crescente richiesta di diritti socialie e welfare, in un contesto di crisi economica strutturale, sarà invece legittimato a rispondere con la forza di un provvedimento temporaneo che è già sanzione e che contribuisce non poco a distorcere la natura politica dell’organo in funzione sempre più marcatamente repressiva.

Senzatetto, prostitute, alcolisti, mendicanti; gli stili di vita o lo sfruttamento rappresenteranno al tempo stesso il sintomo e la prova della colpevolezza, in un meccanismo punitivo dove non è più neanche richiesta la commissione di un fatto di reato; per la condanna all’esilio dal centro della città o dalle altre zone urban e individuate come strategiche basterà offrire una brutta impressione di sé incompatibile con l’estetica del contesto, del “decoro urbano” la cui elevazione normativa a bene giuridico da difendere e tutelare rende sufficiente un’impressione sgradevole per legittimare l’allontanamento coattivo.

LA LOGICA DEL NEMICO INTERNO

Grazie al decreto Minniti, la retorica del diverso, dell’emarginato, del soggetto che in fondo non si è impegnato abbastanza o che se l’è andata a cercare, è la stessa che in questi anni è servita a giustificare e/o occultare i numerosi episodi di abusi e violenze perpetuati ai danni dei cittadini finiti nelle mani dello Stato.

Stefano Cucchi era un tossicodipendente, Federico Aldrovandi un ubriaco violento, Francesco Mastrogiovanni un sovversivo e così via; un’operazione di criminalizzazione utile al doppio obbiettivo di annientare le istanze di verità e giustizia provenienti dai familiari delle vittime degli abusi di stato ed alimentare la paura verso un nemico tutto interno per il quale non valgono le stesse regole e garanzie che esistono a favore degli altri cittadini “perbene”; un ghetto normativo dove la sospensione dello stato di diritto è giustificata in partenza.

Nella prassi nessuno dei dispositivi previsti dal decreto Minniti sulla sicurezza urbana, è nuovo all’armamentario repressivo già contenuto nell’ordinamento amministrativo e giudiziario italiano.

Anche l’emendamento sull’allargamento dell’istituto dell’arresto in flagranza differita ai reati compiuti “in presenza di più persone o in occasioni pubbliche” non è stato inventato per l’occasione. Anzi, anche in questo caso il prestito proviene dal mondo del calcio, dove era già prevista la facoltà di procedere all’arresto – con successivo obbligatorio giudizio direttissimo – nelle 48 ore successive ai fatti se dal materiale fotografico o videoregistrato raccolto fosse stato possibile procedere rapidamente all’identificazione dei responsabili di reati compiuti con violenza contro cose o persone.

La logica che, nel decreto Minniti, sottende l’arresto in flagranza di reato è quella di interrompere un comportamento a fronte della sua pericolosità immediata e contemporanea ad una condizione di necessità ed urgenza che legittima la privazione della libertà (o tutt’alpiù quella di inseguire chi appaia l’autore di un crimine per recarne su di sè le tracce, c.d.quasi flagranza).

Quale sarebbe la logica che accompagna l’arresto in flagranza differita se la pericolosità del gesto si è completamente esaurita?

Cosa dovrebbe interrompere l’intervento delle Forze dell’Ordine a distanza di due giorni dai presunti fatti di reato? – presunti sotto il profilo sia della corretta identificazione dei sospettati attraverso la frettolosa visione di materiale foto/video, sia dell’esatto inquadramento giuridico dei comportamenti che in così poco tempo sarebbero per comodità elevati a quello più grave, a fronte della necessità di giustificare l’utilizzo di uno strumento immediatamente privativo della libertà.

INTIMIDAZIONE DEL DISSENSO

Anche su questo punto il Decreto Minniti non cela l’intenzione marcatamente intimidatoria del dissenso, attraverso l’estensione alla piazza di uno strumento investigativo parziale e decontestualizzato da un lato e il rispolvero di vecchi arnesi repressivi mai espunti dall’ordinamento.

I fogli di via piovuti a pioggia su tantissimi attivisti politici nelle ultime settimanene sono il plastico esempio. Le misure di prevenzione utilizzate in occasione del vertice UE a Roma lo scorso 25 Marzo, rappresentano ancora oggi un unicum tutto italiano, un complesso articolato di provvedimenti e sanzioni che conferiscono al Questore prima e all’autorità giudiziaria poi la possibilità di privare della libertà gli individui sulla base dei soli elementi difatto (non prove e neanche indizi, ma caratteristiche sintomatiche come felpe con cappuccio e sciarpe), comminate a prescindere dalla commissione di reati.

Anche in questo caso saranno l’estetica o la provenienza ideologica a suggerire la c.d. pericolosità sociale, categoria tanto ampia e indeterminata da contenere ogni forma di diversità e opposizione sociale e consentire per questo discrezionalità e abusi.

La conversione definitiva dei decreti Migranti e Sicurezza Urbana accompagnata dall’utilizzo massivo di misure di polizia rende palese la volontà politica di criminalizzare le crescenti istanze di giustizia sociale contribuendo non poco ad alimentare quel sentimento di impunità e strapotere che da sempre caratterizza l’azione degli organi di Polizia di questo paese.

AGENTI ANCORA SENZA NUMERO IDENTIFICATIVO

Non è un caso che dalla legge di conversione del decreto Minniti sia stato espunto l’emendamento che avrebbe potuto introdurre il numero identificativo di reparto per le F.O. impegnate nell’ordine pubblico, né appare casuale la galvanizzazione di cui gli stessi agenti sembrano protagonisti da quando il ministro Minniti ha preso funzioni.

Si batte di nuovo col manganello sugli scudi, si inseguono manifestanti per le strade a forza di idranti, scompare pian piano la funzione di mediazione dei funzionari investigativi a tutto vantaggio delle c.d. cariche di alleggerimento dei reparti celere (ennesimo ossimoro a detrimento della corretta definizione dei comportamenti di Polizia dove ogni abuso equivale a  un eccesso colposo e mai a una volontà preordinata e cosciente di infliggere lesioni).

Così, mentre alcune delle vittime delle violenze a Bolzaneto e alla Diaz patteggiano per sfinimento, mentre i familiari delle vittime di abusi in divisa lottano nei tribunali perché la verità venga fuori, mentre l’Europa commina ancora sanzioni per la mancata introduzione del reato di tortura, altri due provvedimenti legislativi aggiungono ostacoli al cammino da fare.

i legali di Acad

Cofferati, uno dei più famosi sindaci sceriffo
Cofferati, uno dei più famosi sindaci sceriffo

2 COMMENTI

  1. In primo luogo, posso affermare che i provvedimenti del Decreto Legge 14/2017 sulla sicurezza urbana avrebbero potuto essere presi anche senza una nuova introduzione legislativa in merito e quindi una decretazione d’urgenza in merito non sembra poter essere costituzionalmente accettabile. In secondo, le aree urbane dove poter applicare il Daspo vengono decise tramite i Regolamenti di Polizia Urbana dei rispettivi Comuni, i quali non possono disciplinare l’ordine e la sicurezza pubblica, visto che tale competenza è esclusivamente dello Stato centrale, come affermato nell’articolo 117 secondo comma lettera h) della Costituzione e dalle Sentenze della Corte Costituzionale n. 237/2006, 196/2009 e 226/2010. In altre parole, si può benissimo sollevare la questione di legittimità costituzionale in merito, al fine di cancellare l’articolo 9 comma n. 3 del suddetto Decreto Legge e togliere la relativa facoltà sanzionatoria, almeno per quanto riguarda le decisioni in questione, prese dai Comuni.

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