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Noe-Niagara, appello bis: condannato il maresciallo

Noe-Niagara: annullata l’assoluzione del maresciallo dei carabinieri Sergio Amatiello che, con un altro sottufficiale e un amico imprenditore ricattava un’azienda ferrarese

di Checchino Antonini

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Un anno e otto mesi. È la pena che la terza sezione penale della Corte di Appello di Bologna ha inflitto il 4 luglio a Sergio Amatiello, maresciallo dei carabinieri del Noe accusato di concussione nella vicenda Niagara. Per l’imputato si trattava dell’appello bis, dopo una prima assoluzione annullata dalla Corte di Cassazione che invece aveva confermato le condanne per l’altro Maresciallo Vito Tufariello (un anno e dieci mesi) e per l’imprenditore Marco Varsallona (un anno e otto mesi). Secondo l’accusa del Pm di Bologna Morena Plazzi, nel 2008 i due militari fecero intimidazioni e minacce a Mauro Caretta, titolare della Niagara srl, azienda di Poggio Renatico (Ferrara) che smaltisce rifiuti industriali speciali e pericolosi. Obiettivo, ottenere tra 20 e 40 mila euro per ‘ammorbidire’ un’informativa. Ricatti che sarebbero stati fatti con la complicità di Varsallona, titolare di un’altra ditta che si occupava di smaltimenti. La ditta Niagara, parte civile, è rappresentata dall’avvocato Fabio Anselmo. I nuovi giudici di appello hanno anche disposto 20mila euro di provvisionale. L’imputato potrà nuovamente ricorrere in Cassazione.

Un processo che Popoff ha seguito da vicino. Sembrano un romanzo noir le motivazioni della sentenza del processo Niagara/Noe che ha portato alla condanna per tentata concussione di due sottufficiali dell’Arma e di un loro amico imprenditore e dirigente dell’Unione industriali di Bologna all’epoca dei fatti. Correva l’anno 2008. Secondo l’accusa chiedevano soldi, da 20 a 40mila euro, per ammorbidire un verbale ai danni di un’azienda che smaltisce rifiuti nel ferrarese, la Niagara.

«Terrore creato ad arte», si legge nelle carte. Gli dicevano di tenersi liberi per Natale chè tanto li avrebbero sbattuti dentro.

Il cardine della tesi accusatoria è che l’indagine dei Noe su Niagara fosse stata gonfiata ad arte dai carabinieri del nucleo operativo ecologico, tanto che il fascicolo sarebbe stato archiviato dal gip di Ferrara, per terrorizzare i vertici dell’azienda che sarebbero finiti a vedere il sole a scacchi mentre la ditta sarebbe finita sotto sequestro. L’imprenditore, anche lui del giro, era partecipe coi due in una società di consulenza che si stava per costituire e che avrebbe dovuto garantire il meccanismo della fatturazione dei soldi provenienti dalla concussione. «Le modalità dell’azione – scrisse la corte presieduta da Rita Zaccariello – hanno evidenziato una attenta attività preparatoria del delitto che ha comportato l’individuazione di un sistema che consentisse da un lato ai carabinieri di esporsi poco in prima persona, dall’altro di percepire l’indebito profitto in forma apparentemente legale, ossia come compenso per una attività di consulenza che veniva imposta come unica via per evitare le estreme conseguenze (sequestro dell’impianto e misure cautelare personali) di una accusa infondata».

«Il sistema escogitato era quello di formulare un’accusa infondata, ma all’apparenza giustificabile con una mancanza di perfetta conoscenza della specifica questione, che sarebbe stata chiarita, e ridimensionata in sede di richieste di misure cautelari, o, eventualmente, nel termine intercorrente tra aventuali provvedimenti cautelari e la procedura del riesame». Il metodo prevedeva una “perizietta” segreta della quale la società di consulenza si sarebbe presa la briga di corroborare i dati per una difesa più elaborata.

La tesi difensiva è stata quella di provare a ribaltare l’accusa dimostrando un complotto degli uomini di Niagara contro i carabinieri che li incalzavano e, in seconda istanza, provare a proteggere la figura dell’ex comandante. Ma la strategia difensiva s’è concentrata soprattutto nell’attacco frontale a Fabio Anselmo e Mauro Carretta. Il primo s’è trovato oggetto di denunce sistematiche, il secondo s’è visto trascinare in tribunale in qualità di editore e blogger visto che aveva aperto un blog proprio per raccontare le vicissitudini con i tre imputati e poi il processo. Blog Niagara è stato oscurato due volte su richiesta degli imputati, e per due volte riacceso prima dal tribunale di Ferrara, poi dal Riesame, l’ultima volta pochi giorni prima della sentenza di primo grado. I legali della difesa hanno scelto, per le ultimissime fasi del processo, di ricorrere al rito abbreviato, a porte chiuse, ottenendo l’espulsione dall’aula del cronista (e anche a questo cronista divenuto, nel frattempo, direttore del blog e anche lui denunciato). Ma il blog ha continuato a raccontare la vicenda così come il legale non s’è lasciato intimorire. E, con un tempismo involontario, proprio nel giorno della pubblicazione delle motivazioni, nel gennaio 2013, dal gip di Modena è arrivata l’ennesima archiviazione di un’accusa di diffamazione dei carabinieri al “blogger” Carretta: «La notizia di reato appare destituita di fondamento dal momento che vi è utilità sociale dell’informazione, verità sostanziale dei fatti e forma civile nell’uso dei termini denunciati».

L’impianto accusatorio, al netto delle oscillazioni delle pene, ha retto in tutte le fasi di giudizio.

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