Legge sui partiti, 12 senatori ex M5S presentano un emendamento, primo firmatario Bocchino di Sinistra italiana, per la trasparenza e il rispetto della Costituzione
di Checchino Antonini
«I partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste di candidati nei collegi elettorali, devono contestualmente depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno con il quale dichiarano di voler distinguere le liste medesime nei singoli collegi elettorali nonché il proprio statuto redatto, a pena di esclusione». Insomma: “I partiti politici sono tenuti a dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico”. In sintesi è così che una pattuglia di parlamentari chiede di emendare la legge sui partiti all’esame di Palazzo Madama. A tenerli insieme è la comune sorte di soggetti espulsi o stalkerizzati dal movimento 5 stelle perché alzassero i tacchi. Parlamentari ma anche esponenti locali che hanno pagato duramente l’assenza di una normale dialettica democratica e l’opacità delle prospettive strategiche del partito di proprietà dell’ex comico genovese, Beppe Grillo, e degli eredi dell’imprenditore Roberto Casaleggio recentemente scomparso. Storie iniziate sotto i gazebo grillini, nelle città, e proseguite spesso in tribunale dove, in genere, il partito proprietario viene condannato per i suoi tentativi di sfuggire agli obblighi delle associazioni previsti dal codice civile e perfino dalla Legge Anselmi che, emanata dopo lo scandalo P2, doveva servire a tagliare le gambe alle società segrete.
Ma i transfughi, il primo firmatario è il senatore Fabrizio Bocchino ora in Sinistra Italiana, giurano che a guidarli non c’è alcun rancore. «Lo scopo è quello di impedire a partiti e gruppi politici di partecipare alle elezioni politiche se non presentano uno statuto conforme all’articolo 3 del Dlgs 149/2013, così come modificato dal Ddl in esame. Per far questo si interviene con un emendamento all’art 3 del Ddl in esame, che a sua volta modifica il Dlgs 149/2013 ed il DPR 361/57.
I compiti di ricevere e controllare lo Statuto sono assolti dall’Ufficio Centrale Elettorale Nazionale presso il Ministero dell’Interno, mentre la Commissione del Dlgs 149/2013 si occuperà soltanto delle questioni dei bilanci dei partiti. Se approvato, lo statuto sarà obbligatorio per presentare liste alle elezioni, mentre l’iscrizione al registro dei partiti che vogliono accedere ai benefici del Dlgs 149/2013 (cioè il 2×1000) è solo facoltativa e richiede anch’essa lo statuto».
«Secondo alcuni costituzionalisti, l’Articolo 49 della Costituzione è quello che ha più bisogno di una legge organica di recepimento per esplicare i suoi benefici effetti. Per farlo, occorre dare una corretta interpretazione alla clausola “con metodo democratico” contenuta nella sua formulazione», ha detto Bocchino aprendo la conferenza stampa di presentazione dell’emendamento che è stato firmato anche da altri 12 senatori, tutti ex M5S: Fabiola Anitori, Lorenzo Battista, Alessandra Bencini, Laura Bignami, Fabrizio Bocchino, Paola De Pin, Serenella Fucksia, Adele Gambaro, Francesco Molinari, Maria Mussini, Luis Alberto Orellana, Maurizio Romani, Ivana Simeoni.
«Secondo una prima dottrina, tale locuzione si riferisce alle relazioni esterne fra partiti, e alla loro attività nella società e nel parlamento – ha spiegato il senatore – c’è però una seconda interpretazione che vuole che il metodo democratico di cui all’art. 49 si riferisca alle attività interne dei partiti, al loro funzionamento e alle loro regole interne, alla realizzazione cioè del cosiddetto ‘principio di democrazia interna’. In questo caso, è necessario un nuovo intervento normativo, una legge organica che realizzi il principio di democrazia interna per tutti i partiti che concorrono alla politica nazionale e dunque alle elezioni politiche nazionali. Ed è proprio quello che si propone di fare il nostro emendamento. Quando ci candidammo nel M5S, noi lo facemmo anche e soprattutto perché ritenevamo che in quel partito ci fosse, o ci sarebbe presto stata, partecipazione e concorso degli iscritti alla determinazione della linea politica. Oggi noi siamo fuori da quel partito perché non c’è nulla di tutto ciò nel M5S, e i nostri tentativi di cambiare le cose dall’interno sono falliti.
Presentiamo questo emendamento anche alla luce della nostra esperienza di ex M5S, perché crediamo che un partito che non persegua il principio di democrazia interna tramite uno statuto redatto in forma di atto pubblico rappresenti un pericolo per la partecipazione attiva dei cittadini alla politica, si presti a derive del leader di turno e non soddisfi l’articolo 49 della Costituzione. E dunque non debba partecipare alle elezioni politiche nazionali».
Per il Senatore Luis Alberto Orellana (Gruppo per le Autonomie), «è incredibile che si possa ambire a gestire la democrazia ‘esterna’, nelle istituzioni, da parte di soggetti che non la applicano al proprio interno. Chi vuole gestire la cosa pubblica in una democrazia deve dimostrare di rispettarne i principi, anche al proprio interno. E Fabiola Anitori (Alternativa Popolare) ha ricordato come «le regole decise dalla Casaleggio e Associati di fatto ci trasformavano in meri esecutori di decisioni altrui, sottoposti a procedure di autorizzazione degli atti parlamentari che limitavano la nostra stessa capacità di intervento, nell’opacità più assoluta. Questo emendamento punta a far sì che nessuno debba più vivere l’esperienza che abbiamo vissuto noi». Ossia che non accada più che io – se eletta con il M5S – abbia in quanto parlamentare meno diritti di un parlamentare eletto con un altro schieramento», come ha spiegato Serenella Fucksia (Federazione della Libertà).
Sono poi intervenuti altri ex M5S, reduci da esperienze politiche locali. ComeValentino Tavolazzi, ex consigliere comunale della lista Progetto per Ferrara, espulso dal M5S per le contestazioni al funzionamento interno del Movimento: «Il partito finora non è mai stato regolamentato, ma ci si è affidati ai regolamenti interni dei vari soggetti. Forse non c’è mai stata una vera spinta da parte dei cittadini in questo senso, ma questo ha fortemente indebolito il funzionamento democratico in Italia, portando a una occupazione dei partiti da parte di lobby e gruppi d’interesse. Questo emendamento è un contributo fondamentale per un salto di qualità della vita politica di questo paese. Bisogna che i partiti si confronti con questa materia, così che si possa capire chiaramente chi è a favore e chi invece è contrario perché preferisce l’opacità, l’arbitrio nelle scelte dei candidati e nella definizione delle politiche da portare avanti nelle istituzioni». In poche parole, da «partiti che sono gestiti in maniera a dir poco fantasiosa» non può che essere prodotta «una classe politica assolutamente inadeguata alla gestione di questo paese. Da cittadina mi aspetto che l’emendamento sia accolto anche da altri partiti». Tra gli altri, Giuseppe Chironi, espulso dal M5S e dunque escluso dalle regionali in Sardegna, ha notato come «la gestione monocratica di quello che dobbiamo considerare a tutti gli effetti un partito ha portato alla fuga o all’allontanamento di tutte le persone di cultura progressista, a cui sono state preferite le persone più facilmente controllabili attraverso i social».