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E’ morto Giovanni Franzoni, “l’abate” che votava PCI

“L’abate rosso”, Giovanni Franzoni, è morto a 88 anni. Uno stile di vita come esempio per credenti e “diversamente credenti”

di Marina Zenobio

giovanni franzoni

Giovanni Franzoni, padre conciliare, ex abate di San Paolo fuori le Mura, ridotto allo stato laico per le sue idee troppo vicine alla sinistra, è morto giovedì scorso, all’età di 88 anni. Aveva partecipato al Concilio Vaticano II ma era entrato in conflitto con la chiesa ufficiale quando tentò di portare avanti e a compimento le riforme che nello stesso Concilio erano state varate. Si era a metà degli anni 60. Fu il vicario di Roma di allora, Ugo Poletti, a stigmatizzare tra i primi Franzoni dopo la pubblicazione di un suo documento contro la proprietà privata. Poi la rottura definitiva si consumò nel 1974, quando l’ex abate si schierò per il no all’abrogazione della legge sul divorzio. Sospeso a divinis, lasciò l’ordine dei benedettini, l’abazia di San Paolo e, in una fabbrica dismessa nel quartiere romano Ostiense fondò la Comunità di San Paolo, espressione del dissenso ancora attiva.

Era diventato il simbolo dei “cattolici del dissenso”. Odiava il capitalismo e ha dedicato la vita a lottare con i poveri per un’estistenza dignitosa. L’ultimo strale da parte delle gerarchie vaticane colpì Franzoni nel 1976, quando dichiarò che avrebbe appoggiato, nelle elezioni politiche di quell’anno, gli intellettuali cattolici che si erano candidati con il PCI sotto l’insegna della Sinistra indipendente. L’operazione era stata avallata durante una travagliata due giorni (1 e 2 maggio 1976) presso la Badia Fiesolana. Nel ruolo di mediatore c’era padre Ernesto Balducci e in sette decisero di accettare la proposta di candidatura: Paolo Brezzi, Mario Gozzini, Angelo Romanò, Raniero La Valle, Piero Pratesi, Massimo Toschi (unico non eletto) e Tullio Vinay pastore valdese.
Dal momento che don Franzoni dichiarerà il suo appoggio a quelle candidature la Chiesa cattolica lo riduce allo stato laico, ma “l’abate rosso”, come avevano cominciato a chiamarlo, continuerà il suo impegno sociale, politico e religioso attraverso la comunità di base di San Paolo.

Fortemente impegnato nel movimento pacifista, Franzoni sostenne della Teologia della Liberazione nata in America Latina. Quando il vescovo argentino Jorge Mario Bergoglio fu eletto papa la sua prima reazione fu di dichiarare, in una intervista al manifesto: “Ha cominciato il suo pontificato con una grande retorica pauperistica. La retorica può essere lecita, l’immagine crea simpatia e consenso, ma devono arrivare anche delle decisioni su questioni controverse, altrimenti è solo apparenza”.

Don Franzoni, insieme ad altri “cattolici del dissenso” testimoniò anche contro la beatificazione di Karol Wojtyla. In primo luogo per aver coperto gli scandali sugli abusi sessuali a minori, e ancora prima per aver abbandonato a sé stesso il vescovo salvadoregno Romero – trucidato in chiesa da un gruppo di paramilitari nel 1980 – dopo che questi gli aveva consegnato una fitta documentazione relativa a uccisioni e scomparse di cittadini, sindacalisti e sacerdoti salvadoregni che avevano sostenuto le lotte popolari del dilaniano paese centroamericano. Wojtyla si limitò a consigliargli di andare d’accordo con il governo del Salvador, allora guidato da una dittatura sanguinaria.

Ma criticò aspramente anche la scelta del papa di allora, Ratzinger, per aver scelto la data di beatificazione in una data, il 1° maggio 2011, “che evidentemente viene sottratta alla celebrazione e alla frequentazione di masse di lavoratori organizzati, fra i quali vi sono notoriamente cattolici e non cattolici, credenti e diversamente credenti. Questa ‘invasione di campo’ – scrisse Franzoni – costringe alcuni cattolici a scegliere fra partecipazione socio-politica e partecipazione a eventi ecclesiastici. Un antagonismo di cui non sentivamo il bisogno”.
Di Franzoni – “l’abate rosso” – ci resteranno i suoi articoli, i suoi libri e la testimonianza di uno stile di vita che è un esempio, per chi crede e non.

1 COMMENTO

  1. Dom Giovanni Franzoni, aveva votato PCI, e poi anche “PdUP per il comunismo”. Ricordo una campagna elettorale a Nettuno in cui il partito (PdUP) mi mandò a dare una mano, e là conobbi questo compagno veramente autorevole e nello stesso tempo semplice e alla mano, e solo dopo un po’, parlandoci, mi accorsi che si trattava di Dom Giovanni Franzoni. C’era tanto da fare e tanta disponibilità a farlo…io, studente del Collettivo di Medicina di Roma, dormivo sul biliardo di quello che doveva esser stato un circolo arci ed era stato “conquistato” dai compagni locali togliendolo al settarismo del PCI. Doveva trattarsi degli anni ’74 o ’75, più o meno, e il ricordo di quel compagno prete, anzi abate, con i suoi capelli lunghi e la barba scuri, così simile a noi e così lontano come provenienza, quasi da sorprendersi, e nello stesso tempo così vicino non solo nelle idee, ma sopratutto nelle scelte di vita e nei fatti…splendida esperienza!
    Grazie Giovanni.

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