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Sinistra ma per il potere al popolo. Sabato a Roma

Sinistra, dopo l’eutanasia del Brancaccio, una proposta da un centro sociale napoletano per un’assemblea popolare a Roma, sabato prossimo

di Giulio AF Buratti

L’appuntamento è per sabato, dalle 11 alle 14 al Teatro Italia, in Via Bari 18, a Roma. «Nessuno ci rappresenta, facciamolo noi!»: da Napoli provano a smuovere le acque i militanti di Je so pazzo, occupanti dell’ex Opg, che hanno appena lanciato in rete un video appello per un’assemblea popolare a Roma, proprio il 18, proprio perché i due tutori del percorso del Brancaccio non hanno reputato i loro adepti abbastanza all’altezza di tenere un’assemblea. E a smuovere le acque dopo l’eutanasia del Brancaccio, sono proprio quesgli attivisti napoletani che quel 18 giugno che sembra un secolo fa erano balzati sul palco per contestare l’ambiguità dell’eventi rispetto allo stato maggiore di Mdp, presente in prima fila con D’Alema e sul palco con Gotor che se ne uscì sprezzante con chi aveva osato disturbare la sceneggiata.

In pochi minuti centinaia di like sono scattati sotto il post e tra questi spiccano i nomi di Eleonora Forenza e Maurizio Acerbo, rispettivamente eurodeputata e leader della minoranza interna del Prc, e segretario nazionale dello stesso partito.

«Siamo come voi che ci state guardando: studenti, precari, disoccupati – si ascolta nel videomessaggio – abbiamo realizzato che a marzo si andrà a votare e nessuno si farà carico deprimerci, rassegnarsi, andare al mare, votare il meno peggio. Ma se siamo la maggioranza di questo paese perché non candidarci in un progetto alternativo. E forse non siamo i soli pazzi a pensarlo. Per questo abbiamo deciso noi di convocare quest’appello».

Tra le risposte anche quella di Francesca Fornario: «Siccome le trattative sono in corso, io posso fare quella che chiama Fassino e lui mi dice: «Se Ex OPG Occupato – Je so‘ pazzo vuole fare politica fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende!».

L’idea circolava in vari ambiti. Poche ore prima, Guido Liguori, docente a Cosenza, legato all’International Gramsci Society, s’era chiesto, sempre sui social, e aveva domandato ai suoi compagni dell’Altra Europa: «Perché non ci si può vedere incontrare discutere lo stesso? Solo perché Ana e Tomaso hanno vacillano, impauriti, di fronte al baratro di una assemblea davvero democratica, non gradita ad alcuni partiti? La si faccia lo stesso! Invitando anche tutte dico tutte, quelle forze politiche presenti al Brancaccio. E ancora di più i senza partito ivi convenuti il 18 giugno. Visto che i partiti son visti con sospetto, perché non può essere un “non partito” come l’Altra Europa a prendere l’iniziativa?». 

«Io ci sarò. Non mi arrendo ma credo che per ripartire occorra buttarsi alle spalle tutto il politicismo che ci ha soffocato in questi anni», ha ribattuto Eleonora Forenza rilanciando a sua volta un’irrituale modalità di adesione con questo video.

Intanto, sul fronte del centrosinistra, si concretizzano gli avvicinamenti fra Pd e “nuova” sinistra: Mdp, Si e Possibile accoglieranno probabilmente l’invito del Pd a incontrarsi per discutere della coalizione di centrosinistra. Lo si apprende da fonti dei tre partiti. A Piero Fassino, che li ha contattati nel pomeriggio, dovrebbe pervenire la disponibilità a vedersi, «ma non subito, perché ora ci sono altre priorità». La delegazione che si presenterà al colloquio sarà in ogni caso unitaria, visto che il 2 dicembre Mdp-Si-Possibile confluiranno in un unico soggetto, ma non è detto – spiegano – che sia composta dai tre segretari. Capito perché il Brancaccio doveva saltare?

Ecco intanto il post di Je so’ pazzo che lancia l’appuntamento di sabato prossimo.

Noi non facciamo i politici di mestiere, non abbiamo niente da perdere, quindi scusateci se parleremo schietto. Ci rivolgiamo a tutta l’Italia, a questo paese che sta scivolando nel risentimento, nell’imbroglio e nella violenza, nel cinismo e nella tristezza, e che però è pieno di gente degna, che resiste ogni giorno, che mantiene dei valori.

Ci chiediamo: perché non possiamo sognare? Perché noi giovani, donne, precari, lavoratori, disoccupati, emigrati ed immigrati, pensionati, perché noi che siamo la maggioranza di questo paese dobbiamo essere rassegnati, ingannati dalla politica, costretti ad astenerci o votare il meno peggio?

Perché dobbiamo emigrare, perché dobbiamo accettare di essere umiliati per un lavoro, perché dobbiamo farci venire l’ansia per far quadrare i conti della famiglia, perché ci dobbiamo nascondere se pensiamo cose diverse da quelle razziste e inumane urlate ogni giorno in TV? E perché se siamo donne dobbiamo accettare disuguaglianze ed umiliazioni ancora più gravi, molestie, violenza verbale e fisica?

Perché non possiamo sognare di migliorare tutti insieme la nostra condizione, di prenderci diritti e salari decenti, di poter vivere una vita collaborando con il prossimo?

Noi dopo aver subito dieci anni di crisi siamo stufi, non ce la facciamo più. Dopo anni, ed evidenti prove, abbiamo la piena consapevolezza che nessuna delle forze politiche attuali ci può rappresentare. Le loro differenze sono tutte un teatrino. Sembrano litigare ma poi in fondo sono tutti d’accordo, e nei fatti per noi non cambia niente. Anche perché non vivono le nostre condizioni.

Nessuna delle forze politiche dice: la gente ha fame, prendiamo i soldi dai ricchi che in questi anni se ne sono messi in tasca tanti, facciamo una vera patrimoniale, recuperiamo la grande evasione. Oppure: togliamo soldi alle spese militari e assumiamo giovani da mettere a lavoro per sistemare scuole, ospedali, territori, visto che abbiamo un paese che cade a pezzi. Aboliamo Jobs Act e contratti precari, lanciamo un programma di investimenti pubblici, disobbediamo a Fiscal Compact e ai tagli dei servizi…
Non lo dicono e quando pure un po’ lo dicono non lo possono fare, perché hanno tutti dei buoni rapporti da salvare, con le banche e con Confindustria. Per questo parlano, parlano. Solo noi non possiamo parlare mai. A noi ci hanno chiuso fuori dal teatrino. Ma se noi che siamo esclusi ci organizzassimo? Se saltassimo sul palco?
È una cosa da pazzi, però, visto che nessuno ci rappresenta, rappresentiamoci direttamente!

Inutile aspettare che qualcuno ci venga a “salvare”. L’ultimo tentativo del genere è stato quello iniziato a giugno da Falcone e Montanari, sostenuti da diverse forze partitiche. Tentativo che ha ripetuto tutti gli schemi fallimentari della sinistra degli ultimi dieci anni, anzi peggio. È iniziato facendo parlare Gotor di MDP, cacciando dal teatro chi osava contestare D’Alema, ed è continuato in una marea di chiacchiere sterili, inseguendo Pisapia e vedendosi in segrete stanze, finché da quel teatro non sono stati cacciati proprio tutti. Perché rischiavano di decidere troppo. Rischiavano di fare una cosa troppo a sinistra.

Ecco, siamo stanchi di tutte le cose “un poco” a sinistra, di ambiguità, di mezze parole. Bisogna parlare chiaro, anche perché non c’è tempo. Dobbiamo organizzarci e usare questi mesi di campagna elettorale per parlare fra di noi, per parlare di noi, per gridare tutti insieme, per far esistere un messaggio di riscossa agli occhi di milioni di persone, perché noi esistiamo già, nei territori, nei quartieri popolari, nelle università e quotidianamente mettiamo a disposizione tempo ed energia per provare a costruire qualcosa di nuovo dal basso. E magari anche per divertirci, perché la situazione è tragica, ma lottare è bello, ti fa progettare, ti ridà un futuro, ti regala momenti di gioia

Ci hanno detto che per fare le cose ci vogliono raccomandazioni, soldi, mezzi. Ma ce l’hanno detto per scoraggiarci, o per farci andare con loro… Non è vero! Anche una persona da sola può fare la differenza, può salvare delle vite, può rendere il suo quartiere migliore. E mille persone pulite e determinate possono cambiare un paese.
Quindi iniziamo da qualche parte. E iniziamo per non smettere, per costruire qualcosa che vada da qui a cinque, a dieci anni. Ricominciamo a pensare di poter fare la storia! Perché non possiamo sognare, e realizzare un poco alla volta questo sogno?
Ci vediamo a Roma sabato 18 novembre, alle 11, al Teatro Italia. Bisogna sognare!

4 COMMENTI

  1. Questa sì che è una bella notizia…cazzo (per dirla in francese!) se si fa una cosa con “Je So Pazzo” sono certo che è una cosa seria e con le migliori intenzioni e possibilità di riuscire bene. Avete tutta la mia solidarietà ed appoggio…per quel che vale!
    Salute&Prosperità
    Aldo Rotolo – Roma

  2. POLITICA, GOVERNO ED ELEZIONI: APPUNTO IN VISTA DELLA PROSSIMA ATTUALITA’ ELETTORALE di Franco Astengo
    L’impalpabilità dell’egemonia che la forma attuale del capitalismo ha attributo ai grandi “brani” (ne scrive Naomi Klein nel suo ultimo “Shock Politics”) ha reso il tema del Governo questione esclusiva della sovrastruttura.
    Una sovrastruttura che si impone nel prevalere della torsione politicista su economia e tecnica, in funzione esclusiva del dominio del marchio di fuoco del capitalismo autoproclamatosi omnicomprensivo della realtà e del futuro.
    Una questione apparentemente inafferrabile che fa del “governo” un’entità invisibile collocata nell’empireo delle grandi concentrazioni multinazionali.
    Nell’impossibilità del riformismo (punto vero della crisi della socialdemocrazia) mai come in questa fase vale l’antico motto marxiano: “Il governo qualunque esso sia, è sempre il comitato d’affari della borghesia”.
    Per affrontare questo fenomeno, a livello della dimensione dello “Stato – Nazione” serva una un’azione politica fondata sulle concrete contraddizioni reali.
    Dimensione dello “Stato – Nazione” che per adesso risulta insuperabile perché dalla sua crisi sorgono soltanto ipotesi di spezzoni vieppiù etnicamente identitari, in conflitto con il crescente multipolarismo culturale.
    E’ questo il punto di rottura al quale è giunto il sistema mentre si stanno appesantendo e intensificando le forme di sfruttamento dell’uomo, della natura, dell’essenza stessa della condizione umana da parte – appunto – di questi inafferrabili marchi all’interno dei quali occultamente si annidano i protagonisti del potere reale.
    Non c’è nessun “complottiamo” nello sviluppare questa affermazione ma soltanto una realistica constatazione nel concreto dell’attualità.
    In questo contesto davvero le elezioni possono essere considerate una sorta di “rito”, di celebrazione del potere, di soddisfazione delle ambizioni di singoli che concorrono profondendo ricchezze enormi accumulate – appunto – con l’esercizio sfrenato dello sfruttamento.
    L’unica possibilità che abbiamo è quella di muoverci sul terreno del recupero d’identità della rappresentanza politica, ed è a questo tema che si cerca di dedicare un avvio di riflessione.
    Quali le condizioni materiali che si presentano davanti a chi intende muoversi idealmente, progettualmente, programmaticamente sul terreno delle contraddizioni sociali, non esistendo più la possibilità di competere per il Governo reale nemmeno in una accezione moderatamente riformistica, ma soltanto per la rappresentanza di quelle contraddizioni generate dallo sfruttamento cui si è già accennato?
    I barbari non stanno soltanto sulla piazza di Varsavia a testimoniare un’Europa inesistente nelle sue presunte fondamenta culturali ma attiva soltanto nei salotti dei banchieri di Bruxelles e Francoforte.
    I barbari sono già dentro il nostro recinto e per combatterli non serve neppure l’illusione della democrazia diretta e/o quella del “pubblico”, le nuove leadership e i “partiti personali”.
    Non c’è nessun baratro e nessun “salto nel vuoto”, come sostengono autorevoli politologi, non c’è nessun “Annibale alle Porte” rappresentato da più o meno identificati populisti contro i quali tirare la cinghia e fare barriera, non vale alcuna “union sacrèè”: esiste soltanto un’omologazione complessiva di una “politica” che si autodefinisce da sé stessa come entità separata e una società allo stremo delle forze e della ragione.
    Un’omologazione al verbo unico del consumatore seriale e al mondo delle illusioni diffuse seminate attraverso i social network.
    Orwell nel suo celebre 1984 era stato ancora ottimista, siamo ben oltre il “Grande Fratello” ma addirittura “all’immaterialità pervadente” del potere e del controllo sociale.
    L’opposizione rivolta a contrastare tutto quanto agisca come fattore di omologazione all’individualismo consumistico e competitivo sul quale si base questa egemonia regressiva, deve rivolgersi verso l’“arretramento storico” in atto individuandone il senso.
    E’ necessario quindi porsi “diversi” e “contro” rifiutando questa egemonia soffocante: ancor più soffocante di quel “pensiero unico” che era emerso dalla globalizzazione e di cui si scriveva tempo addietro.
    La situazione da allora è sensibilmente peggiorata, almeno dal nostro punto di vista di sfruttati.
    Restringo il campo di osservazione alle prossime elezioni italiane.
    Chi intende promuovere e presentare una lista che possa essere percepita come “ di sinistra” a livello di massa ha il dovere, prima di tutto, di verificare la possibilità di riuscire a rappresentare istituzionalmente chi subisce questo vero e proprio “soffocamento”culturale, sociale, economico.
    Non c’è nessuna unità da ricercare forzatamente “contro”: bensì c’è bisogno di misurarsi con il “per”.
    Non basta la presentazione di un programma elettorale.
    Serve un progetto d’ampio respiro di vera e propria riunificazione tra la “Democrazia costituzionale” e la “Democrazia sociale”.
    Su questo punto si può realizzare la costruzione di un’identità, nei cui tratti peculiari trovino posto anche gli elementi portanti della tradizione culturale, morale, etica, politica della sinistra italiana, in uno sforzo prima di tutto di aggiornamento e di sintesi al riguardo della nostra storia accanto ad una seria valutazione dei fenomeni emergenti.
    La “Democrazia sociale” da intendersi come proiezione e applicazione della “Democrazia Costituzionale”.
    L’idea dovrebbe essere quella di conseguire un’adeguata rappresentanza istituzionale, da considerare come uno dei punti di appoggio nella costruzione dell’identità e insieme momento di partenza per un progetto politico di lungo respiro.
    Ogni ambizione diversa: di contribuire al Governo, di ricostruire il centro – sinistra o di uno schieramento d’altro tipo. rappresenterà soltanto una velleità presto frustrata che, alla fine, lascerà il campo ad altre macerie dopo le tante già lasciate sul campo della sinistra italiana nel corso degli ultimi vent’anni.
    Il massimo fattibile (sempre restando dentro il ristretto orizzonte delle prossime elezioni italiane) sarà soltanto, in questa fase, una lista da considerare come simbolo di una proposta di aggregazione di massa critica che si evidenzi anche sul piano politico – istituzionale collegandosi alle istanze di lotta quotidiana sul terreno sociale ed evitando la negativa logica dei “due tempi” e il ritorno al predominio dell’autonomia del politico.
    Questa proiezione tra terreno politico – istituzionale e campo di lotta sociale può essere considerata, anzi sarebbe bene fosse considerata, come fatto propedeutico alla costruzione di un’organizzazione politica.
    Un’organizzazione politica al riguardo della quale i suoi proponenti dovranno essere bravi da subito a definire ambito e possibilità.
    L’ambito non potrà che essere quello della rappresentanza politica e istituzionale raggiunta in nome proprio di un progetto di Resistenza fondato sul raccordo tra costituzionalismo democratico e capacità di lotta sociale nel concreto della quotidianità e delle asprezze che in essa si presentano.
    Un tema fondamentale questo che mi sono permesso di analizzare in questa occasione, in una maniera sicuramente inadeguata, ma che ritengo dovrebbe essere spunto di attenta riflessione almeno in quei settori della sinistra più determinati nello scegliere con coerenza il terreno dell’alternativa di sistema e di società.

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