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La lunga storia del fascismo e dell’antifascismo inglese

La battaglia di Cable Street, quando una rivolta impedì ai fascisti di sfilare in un quartiere popolare

di Diego Giachetti

Prendendo spunto dalla contestazione del raduno antislamico promosso della English Defence League dell’8 aprile 2017, Silvio Antonini (La battaglia di Cable Street, Red Star Press, Roma, 2017) ripercorre a ritroso l’accadimento del 4 ottobre 1936, quando una manifestazione contro gli ebrei a Cable Street, la zona popolare di Londra, scatenò la rivolta del quartiere e impedì all’Unione Britannica dei fascisti di Oswald Mosley di sfilare. Quest’ultimo, dopo aver fondato nel 1930 il New Party, si avvicinò con simpatia all’Italia fascista di Benito Mussolini, che incontrò nel 1932. Alle elezioni il nuovo partito ottenne il 16% dei voti e poco dopo cambiò il nome in Unione Britannica dei Fascisti nel cui programma riprendeva la questione razziale e antisemita. Quando nel 1948 il Parlamento britannico approvò il British Nationality Act, riconoscendo lo status di “Cittadino del Regno Unito e delle colonie”, che consentiva ai cittadini delle colonie di trasferirsi e di risiedere nel Regno Unito, il sopravvissuto partito fascista indirizzò la propaganda razzista contro i migranti coloniali che si trasferirono a vivere in Inghilterra.

Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, l’Unione Britannica dei fascisti trovò un suo consenso presso i ceti disagiati, colpiti dagli effetti della crisi del 1929, e fu sostenuta da una parte della borghesia industriale e finanziaria quale strumento da utilizzare contro il “pericolo rosso”. Nel 1934 contava circa 40.000 aderenti e quando scoppiò la guerra civile in Spagna riuscì a inviare circa 700 uomini a combattere al fianco del generale Franco. Nel 1940 l’Unione Britannica dei fascisti fu messa al bando, sciolta con l’imputazione di collaborazionismo e i principali rappresentati internati come prigionieri di guerra.

Finita la guerra, l’organizzazione rinacque. Nel 1948 si costituì l’Union Movement che attrasse in parte simpatie anche tra i teddy boys, cioè i giovani motociclisti, poi detti rockers, che, a dispetto delle proprie origini e della musica ascoltata, assumevano atteggiamenti razzisti. Col precipitare della crisi economica e sociale sul finire degli anni Settanta e l’aumento della disoccupazione, l’inquietudine sociale tornò a trovare sfogo nel razzismo verso gli immigrati. Ciò consentì all’estremismo di destra di rigenerarsi. Nuove organizzazioni politiche si formarono come, ad esempio, il National front e il British Movement, su posizioni apertamente nazionalsocialiste.

Il National front riuscì a far breccia tra gli skinhead e nel mondo Punk. Il punk, nel rifiuto del politically corrrect, aveva riproposto la svastica e altre simbologie e nomi sinistri legati al nazismo o comunque al secondo conflitto mondiale. Certo era una parodia maliziosa, frutto dell’idea della stilista Vivienne Westwood e del manager dei Sex Pistols, Malcolm McLaren, ambedue con un passato nella sinistra radicale. Ma la parodia contiene sempre un riconoscimento del soggetto parodiato, sottolinea

l’autore. Puntuale arrivò la risposta alla nuova offensiva dell’ultradestra con la formazione della Anti-Nazi League attiva dal 1977, sorta per iniziativa del Socialist Workers Party. Accanto ad essa nasceva il Rock against Racism, (Rock contro il razzismo), che raccoglieva musicisti, artisti e scrittori, coll’intento di condurre «una battaglia per l’anima del proletariato giovanile inglese. Una musica che faccia capire chi sia il vero nemico».

L’estrema destra in Gran Bretagna, nonostante tutte le sortite e gli exploit, è stata finora sempre tenuta ai margini. A ogni affacciarsi di nuove sigle neofasciste, c’è stata una reazione che ne ha favorito la ritirata. Marginalizzazione non vuol dire certo eliminazione. Non è facile mettere nell’archivio della storia fascismo e nazismo, senza superare quegli elementi storici-sociali, generati dalle contraddizioni del sistema capitalistico che , durante i periodi di crisi e di recessione, possono provocare possibili risposte di destra estrema, razziste, xenofobe e totalitarie.

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