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Immigrazione, chi ci guadagna coi flussi migratori

Immigrazione. In che misura le politiche migratorie europee sono dettate dalle attività di lobbismo delle industrie private delle armi e della sicurezza?

di Jérôme Duval, Ludivine Faniel, Benoit Coumontont*

Le migrazioni appartengono alla storia dell’umanità, ma i confini non sono mai stati così chiusi come oggi. Le convenzioni derivanti dalle attuali politiche migratorie hanno diviso i migranti in diverse categorie (politiche, economiche, climatiche…) a seconda della presunta legittimità o meno del diritto di asilo o di soggiorno in un territorio straniero. Quella del “migrante economico”, che si sposta per sfuggire alla miseria causata dalle politiche di rimborso del debito, è la categoria con minori diritti e il cui accesso ai territori esterni varia a seconda del fabbisogno di manodopera o delle politiche di chiusura delle frontiere.

Così, tra i milioni di persone che fuggono dalle loro indecenti condizioni di vita, coloro che migrano per motivi economici sarebbero immigrati illegittimi? Proprio come coloro ai quali non è concesso lo status di rifugiato politico, mettendone così a repentaglio la vita? Crisi migratoria o crisi di accoglienza? Questi flussi migratori legati alla congiuntura economica sono in gran parte il risultato d’insostenibili politiche di austerità e d’indebitamento imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali e dai paesi industrializzati del Nord ai paesi poveri del Sud e dai paesi centrali – tra i quali quelli europei – ai paesi periferici. Tali politiche hanno avuto l’effetto di amplificare il fenomeno della povertà, generalizzando la precarietà e, di conseguenza, il ricorso all’esilio. Le condizioni che favoriscono l’esodo dei poveri derivano direttamente da questioni geostrategiche legate alle risorse e quindi alla ricchezza, o sono causate dall’emorragia del capitale per onorare un debito spesso inficiato dall’illegittimità.

Vessati dalla guerra o dalla miseria, i candidati all’esilio si trovano su strade sempre più pericolose a causa delle politiche di gestione dell’immigrazione clandestina. Oltre ad essere estremamente costose per le persone che ne sopportano i costi, queste politiche criminalizzano i migranti e li costringono a utilizzare vie sempre più pericolose, come l’attraversamento in mare su fragili imbarcazioni e il doversi confrontare con la mafia dei trafficanti. Sono politiche criminali, costose e inefficaci. I muri non hanno mai risolto i conflitti e avvantaggiano solo le aziende che li progettano, li costruiscono e li controllano.

Lungi dall’adottare una politica di accoglienza dei rifugiati conforme al diritto internazionale, come stabilito dalla Convenzione di Ginevra, gli Stati adottano politiche di sicurezza che violano il diritto fondamentale alla libera circolazione sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani. (1) Mentre i nuovi trattati di libero scambio continuano a sostenere la libera circolazione di merci e capitali, i candidati all’esilio si trovano di fronte a “agenzie di sicurezza” fortemente armate, equipaggiate dai grandi industriali e che violano il diritto dei diseredati di spostarsi. Il fondo del Mediterraneo si trasforma in una vera e propria fossa comune (2), le frontiere sono chiuse e in tutto il mondo si erigono muri. Una volta attraversata la frontiera, se non sono deportati nel loro paese d’origine i migranti si ammassano in campi disumani o sono rinchiusi in centri di detenzione (3) a loro dedicati, come i 260 centri che si contavano nell’UE nel 2015 (4). Solo una piccola parte di essi, dopo un noioso iter burocratico, riesce a ottenere un diritto d’asilo parsimoniosamente distribuito.

In che misura le politiche migratorie europee sono dettate dalle attività di lobbismo delle industrie private delle armi e della sicurezza? Con le attuali politiche di sicurezza, i migranti non sono più visti come individui ma come numeri che riempiono quote arbitrariamente stabilite per onorare curve statistiche irrazionali tese a soddisfare le quotazioni in Borsa molto più del benessere collettivo e dei valori di condivisione e solidarietà.

Che importa se le condizioni di lavoro dei lavoratori e quelle di accoglienza dei migranti violano i loro diritti e la dignità umana, sempre più imprese private nazionali o multinazionali traggono vantaggio da un’attività in crescita a spese della giustizia sociale e dei bilanci dei nostri Stati.

Frontex, un’agenzia europea costosa, potente, opaca e al di fuori da controlli democratici

L’Europa ha creato lo spazio Schengen nel 1985, comunitarizzandolo con il trattato di Amsterdam nel 1997. L’obiettivo dichiarato era quello di creare uno spazio di “libertà, sicurezza e giustizia” all’interno dell’Unione europea. In pratica, la libera circolazione all’interno dell’Europa ha registrato progressi a due velocità, a seconda dei paesi, e ha riguardato principalmente le merci. Di volta in volta, l’UE si è coordinata per controllare le frontiere esterne, cercando di attuare una politica comune e di “sostegno” per i paesi con una frontiera esterna che favorisce l’ingresso di migranti, come la Grecia, la Spagna e l’Italia. Dal 2005 l’Unione europea dispone di un dispositivo militare, l’Agenzia Frontex, per la gestione della cooperazione alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea. Quest’agenzia è la più finanziata tra le agenzie dell’UE, in un momento in cui sono imposte restrizioni di bilancio in tutti i settori.

L’agenzia dispone di aerei, elicotteri, navi, unità radar, rilevatori mobili di visione notturna, strumenti aerei, rilevatori di battiti cardiaci… Frontex organizza voli di deportazione, operazioni congiunte alle frontiere terrestri, marittime e aeree (5), formazione per le guardie di frontiera, condivisione delle informazioni e sistemi d’informazione, in particolare attraverso il sistema EUROSUR, il cui obiettivo è la condivisione di tutti i sistemi di sorveglianza e rilevazione tra i paesi membri dell’UE. Il suo bilancio annuale non fa che incrementarsi: dai 19 milioni di euro del 2006 è passato ai 238,7 del 2016! Le risorse militari a essa assegnate e la sua autonomia dagli Stati membri continuano a crescere.

Dalla fine del 2015, la tendenza della Commissione europea all’ingerenza negli Stati membri si è intensificata: la Commissione europea amplia il mandato di Frontex, che diventa il “Corpo europeo delle guardie di frontiera e della guardia costiera”. Questa nuova agenzia può ora agire nel processo di acquisizione di attrezzature degli Stati membri. In particolare, ha la possibilità di intervenire direttamente in uno Stato membro, senza il suo consenso, su semplice decisione della Commissione europea. Ad esempio, ha la possibilità di effettuare “operazioni di rimpatrio congiunto” di propria iniziativa (6). L’obiettivo è subappaltare all’agenzia il rimpatrio forzato di persone indesiderabili, a costi inferiori ma a scapito del rispetto dei diritti umani.

Migreurop e Statewatch, due ONG che difendono i diritti dei migranti, hanno denunciato una zona sfocata attorno all’agenzia Frontex che non consente di far rispettare i diritti umani fondamentali: una responsabilità diluita tra l’agenzia e gli Stati, una violazione del diritto d’asilo e un rischio di trattamento disumano e degradante. La priorità del salvataggio in mare, normalmente riconosciuta a Frontex, è subordinata al controllo militare. Nel novembre 2014, l’Italia mette drammaticamente in luce questa situazione ponendo fine a Mare Nostrum, operazione di salvataggio navale italiana che ha salvato decine di migliaia di vite in mare. L’operazione Triton istituita da Frontex l’ha sostituita con un bilancio tre volte inferiore, con una copertura geografica più limitata e, soprattutto, con un cambiamento di prospettiva, focalizzata sul rafforzamento delle frontiere piuttosto che sulle missioni di ricerca e salvataggio in mare (7).

Più Frontex è sovvenzionata, più delega a società private. Con il denaro pubblico raccolto, l’agenzia si rivolge ad aziende private non solo per la sorveglianza aerea ma anche per tecnologie all’avanguardia (droni, attrezzature per la visione notturna…). Molte multinazionali si ritrovano a svolgere quei “servizi” precedentemente assunti dai governi e, per ragioni di redditività proprie del settore privato, i costi aumentano. Il controllo delle frontiere è diventato un’attività fiorente.

Il complesso militar-industriale dell’immigrazione clandestina: un business fiorente che grava sulle casse dello Stato

L’accresciuta pericolosità delle rotte va a vantaggio di quei trafficanti e di quelle reti criminali ai quali i migranti sono costretti a ricorrere e che le stesse politiche di gestione dei flussi migratori sostengono di voler combattere. Ma altri settori di attività, meno evidenziati, traggono dall’immigrazione clandestina un vantaggio finanziario molto maggiore, tanto importante che ci si chiede se non stiano facendo tutto il possibile per incoraggiarla! I gestori dei centri di detenzione dei migranti, le imprese che forniscono pasti, quelle che si occupano della sicurezza o della pulizia, o che forniscono guardie e scorte a quanti sono espulsi, i fabbricanti di armi e l’industria aeronautica, la tecnologia di punta per il controllo delle frontiere o i subappaltatori che rilasciano i visti: per tutti questi soggetti la crisi dei migranti rappresenta una vera e propria manna se non un filone d’oro.

Questa parte non trascurabile di servizi, in precedenza di competenza esclusiva dello Stato, è ora gestita da grandi gruppi privati che, soprattutto per motivi d’immagine, si nascondono dietro una moltitudine di subappaltatori. Questa privatizzazione dilagante grava ancora di più sulle casse pubbliche, favorisce l’opacità e diluisce le responsabilità in caso di incidenti durante gli interventi, mettendo gli Stati al riparo dalle violazioni della legge, pur frequenti (8).

Strumentalizzazione dell’aiuto pubblico allo sviluppo

L’Unione europea utilizza i fondi dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) per controllare i flussi migratori, come ad esempio il Centro per l’informazione e la gestione delle migrazioni (CIGEM) inaugurato nell’ottobre 2008 a Bamako, in Mali. Il 10° Fondo europeo di sviluppo (FES) finanzia la formazione della polizia di frontiera in Mauritania. Per conseguire quegli obiettivi che si sono essi stessi assegnati (destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo all’APS), alcuni Stati membri dell’UE contabilizzano in APS spese che di tutta evidenza non sono APS. Nonostante la loro reticenza nell’armonizzare le proprie politiche migratorie interne, gli Stati membri riescono a coordinarsi per la loro gestione esterna.

“Crisi migratoria” o “crisi di accoglienza”? L’ Europa esternalizza i propri confini

Al crocevia tra Europa e Asia, Turchia e Grecia sono paesi di transito per i molti migranti e rifugiati coinvolti in conflitti cronici e instabilità politica ed economica nel Medio Oriente. Dopo aver aperto le proprie frontiere nel 2015, in un contesto di crisi l’UE fa marcia indietro, sprovvista com’è di una riflessione a lungo termine sulla propria politica di accoglienza.

Così, senza una grande opposizione da parte del governo Tsipras, l’ UE firma con il governo turco un accordo teso a controllare e filtrare l’immigrazione. L’accordo, entrato in vigore il 20 marzo 2016, prevede l’invio in Turchia di ogni nuovo migrante, compresi i rifugiati siriani, arrivato in Grecia. E per ogni siriano rinviato, l’UE trasferirà in Europa un altro siriano residente in territorio turco. Si potrebbe pensare ad un semplice accordo contabile, ma non è così. La relazione è chiaramente squilibrata. L’UE ha fissato una quota massima di 72.000 siriani delocalizzati, mentre più di un milione sono stati respinti dal territorio europeo. Attraverso questi scambi disumanizzati, l’UE si concede la libertà di scegliere gli immigrati in funzione dei propri interessi economici. In cambio, l’UE promette 6 miliardi di euro alla Turchia, afferma di voler rilanciare i negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione e velocizza il processo di liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. Ankara si è inoltre impegnata ad arrestare il flusso di migranti verso l’Europa. Di conseguenza, il denaro donato viene utilizzato molto più per erigere muri che per accogliere. Ed ecco che già cemento, filo spinato e militari si installano al confine turco-siriano per “consolidare la fortezza Europa”.

Altri accordi dello stesso tenore erano stati in precedenza conclusi, ma nessuno di essi aveva raggiunto tali importi, né prevedeva tali poste in gioco. Il fatto poi che sia concluso direttamente dall’UE segna l’inizio di una nuova era. L’istituzione eurocrate sta ora negoziando in nome e a monte dei suoi Stati membri, sostituendosi alle politiche nazionali in materia di affari esteri.

Con questo accordo, l’ Unione europea si vanta di rispettare il diritto internazionale. Ma sia la Dichiarazione universale dei diritti umani che la Convenzione di Ginevra sui rifugiati stabiliscono che un’espulsione può avvenire solo verso un paese considerato sicuro. Alla firma dell’accordo, tuttavia, la Turchia non può essere considerata un luogo sicuro e accogliente per i migranti. Infatti, il Presidente Erdogan ha avviato un’epurazione senza precedenti e si dimostra ancora più repressivo nei confronti degli oppositori politici, rendendosi conto di avere di fronte un’Europa dipendente e conciliante. E non serve fustigare il governo turco. Nel cuore dell’Europa si erigono muri e riemergono politiche autoritarie e xenofobe.

Privatizzazione della “gestione” della migrazione

Tale gestione dell’immigrazione grava sulle entrate dello Stato a vantaggio, in ultima analisi, di imprese private e dei loro azionisti, a scapito della fornitura dei servizi pubblici essenziali per le popolazioni interessate. L’attività di lobbying da parte di queste società si inscrive in una corsa al rialzo militarista a vantaggio delle grandi aziende del settore. Invece di investire in infrastrutture di accoglienza dignitose e nella gestione dei conflitti di cui sono ampiamente responsabili i paesi industrializzati, l’orientamento politico dei nostri leader è quello di aumentare i bilanci per la sicurezza e le polizie alle frontiere. I flussi migratori non sono solo una fonte di reddito per i trafficanti ma anche, in misura molto maggiore, un succoso business per le grandi imprese che, va ricordato, fanno in modo da pagare meno tasse sui loro profitti e aumentare i dividendi dei propri azionisti. Il mercato della sicurezza delle frontiere, stimato a circa 15 miliardi di euro nel 2015, è in rapida crescita e dovrebbe superare i 29 miliardi di euro l’anno entro il 2022 (9).

In un contesto di crisi migratoria acuta, di controlli esacerbati, di detenzioni e deportazioni in forte aumento, una moltitudine di aziende private si sono trovate una nicchia lucrativa per ammassare profitti.

In concreto, un numero sempre maggiore di imprese private beneficia dell’esternalizzazione del rilascio dei visti (un mercato dominato, tra l’altro, dalle società VFS e TLS Contact) e addebita alle pubbliche amministrazioni la raccolta dei dati personali, il rilevamento delle impronte digitali, le foto digitali, e così via. Com’era prevedibile, il ricorso ai privati ha fatto crescere il prezzo dei visti, prezzo sostenuto dai richiedenti. Ma le domande di visto o di permesso di soggiorno non sono accessibili a tutti e molti si ritrovano apolidi o privi di documenti, quindi persone non grate per la legge.

Anche la gestione dei centri di detenzione in cui sono collocati i migranti senza documenti in attesa di espulsione è affidata a società private. Questo passaggio al settore privato rafforza il monopolio delle tre o quattro multinazionali che si suddividono il mercato globale della detenzione. Ad esempio, quasi la metà degli 11 centri di detenzione per migranti nel Regno Unito è gestita da gruppi privati. Queste aziende hanno tutto l’interesse ad aumentare la durata della detenzione e fanno pressione in questo senso, non senza risultati. Così, le società di sicurezza private prosperano con l’aumentare del numero di migranti (10). Inoltre, l’accoglienza di emergenza è diventata un settore lucrativo per le imprese private che ricevono fondi da alcuni stati, come l’Italia, a spese delle associazioni umanitarie che tradizionalmente si prendono cura dei rifugiati.

In Belgio, tra il 2008 e il 2012, il bilancio destinato al rimpatrio forzato (soli costi di trasferimento, senza contare i periodi di soggiorno nei centri di circa 8.000 detenuti ogni anno) è passato da 5,8 milioni di euro a 8,07 milioni di euro (11).

La società francese Sodexo ha visto nella detenzione dei migranti un’opportunità per espandere le proprie attività alle carceri. L’impero francese del cemento e dei media Bouygues viene incaricato della costruzione di centri di detenzione per migranti nell’ambito dei contratti di partenariato pubblico-privato (PPP) (12), mentre la società di pulizie Onet offre a sua volta i propri servizi. Nel Regno Unito, società multinazionali di sicurezza come G4S (ex Gruppo 4 Securitor ) (13), Serco o Geo, sono decollate a seguito del boom delle privatizzazioni. Negli Stati Uniti, CCA e GEO sono le aziende principali che progettano, costruiscono, finanziano e gestiscono strutture di detenzione negli Stati Uniti, e Sodexho Marriott è il fornitore leader di servizi alimentari a queste strutture.

Alcune società approfittano persino di questa opportunità per far lavorare i loro prigionieri in attesa della deportazione. Ad esempio, presso il centro Yarl’s Wood gestito da Serco nel Regno Unito, il servizio mensa o la pulizia dei locali è effettuato da detenute in cambio di una paga 23 volte inferiore allo stipendio pagato all’esterno per questo tipo di lavoro (50 pence all’ora nel 2011, ossia 58 centesimi). Il Gruppo GEO, che nel 2003 ha ottenuto la gestione del campo di Guantanamo, “offre” ai suoi occupanti nei centri Harmondsworth, vicino a Heathrow, e Dungavel in Scozia, “opportunità di lavoro retribuito” per servizi che vanno dalla pittura alla pulizia (14). Queste aziende non si sottraggono all’opportunità di sfruttare una forza lavoro molto economica e priva di diritti.

L’immigrazione rende più di quanto costi

I pochi migranti che finalmente arrivano a destinazione cominciano a cercare lavoro e il paese ospitante trae vantaggio da una manodopera a basso costo e per la quale ha risparmiato i costi di formazione, sostenuti dal paese d’ origine (15). Tale forza lavoro, flessibile e sfruttabile a piacimento, soddisfa un’esigenza di cui le economie dei paesi industrializzati non possono fare a meno con tanta facilità.

Lungi dall’essere una minaccia e contrariamente ad una errata convinzione, la migrazione in generale ha un impatto positivo sulle economie dei paesi ospitanti. Da un punto di vista puramente economico, secondo l’OCSE un immigrato frutta al paese ospitante in media 3.500 euro di gettito fiscale annuo (16). I migranti senza documenti che lavorano hanno spesso una busta paga a nome di terzi, e versano quindi contributi ad un sistema di previdenza sociale di cui non possono beneficiare.

In ultima analisi, sorgono dubbi sui risultati attesi da tale strategia di gestione dei flussi di movimento umano. La politica anti-migratoria attuata uccide, l’Europa conta i morti ma continua ad accrescere le barricate. Eppure l’immigrazione non è un problema, un flagello in quanto tale contro il quale dobbiamo lottare. La migrazione è una conseguenza di conflitti, persecuzioni, disastri ambientali, ingiustizie sociali ed economiche nel mondo. E sono queste cause che devono essere affrontate se si vuole perseguire una politica migratoria veramente giusta e umana.

* Articolo apparso sul sito del Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi (CADTM) il 27 novembre 2017. La traduzione dal francese è stata curata da Giuseppina Vecchia per Pressenza. Gli autori ringraziano Marie-Claude Carrel e Rémi Vilain per le loro riletture ponderate, i consigli e le correzioni. Ripreso da “Solidarietà”, quindicinale del Canton Ticino

NOTE

1.Articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani: 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno all’interno di uno Stato. 2. Ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di ritornare nel suo paese.

  1. Ogni giorno muoiono in media 12 persone che cercano di raggiungere il continente europeo. “3.800 migranti sono morti nel Mediterraneo nel 2016, un numero record secondo le Nazioni Unite”, Le Monde. fr con l’ AFP, 26 ottobre 2016.http://www.lemonde.fr/europe/article/2016/10/26/3-800-migrants-sont-morts-en-mediterranee-en-2016-un-chiffre-record-selon-l-onu_5020792_3214.Html
  2. In effetti, questi centri non servono a trattenere un flusso migratorio, ma sono vere e proprie carceri, le cui condizioni di detenzione sono spesso peggiori di quelle delle carceri ordinarie. E’ quindi per scelta che qui parliamo di centro di detenzione piuttosto che del termine comunemente usato per definirlo.
  3. Olivier Petitjean, « La détention des migrants, un business en pleine expansion », multinationales.org, 11 gennaio 2017.http://multinationales.org/La-detention-des-migrants-un-business-en-pleine-expansion
  4. “Nell’ ambito dell’ attuazione degli accordi di riammissione, Frontex può organizzare voli di rimpatrio congiunti finanziati in tutto o in parte dall’ Agenzia. Uno Stato membro che desideri rimpatriare più migranti di una stessa nazionalità deve innanzitutto informare Frontex del numero di posti disponibili nell’aeromobile. Frontex si incarica di informare quindi tutti gli altri paesi membri e, se necessario, coordina il volo in modo da poter effettuare scali nei diversi paesi. Questi voli sono simili alle espulsioni collettive vietate dall’articolo 4 del protocollo 4 della Convenzione europea dei diritti umani”. Manuale per la formazione, campagna Frontexit. http://www.frontexit.org/fr/agir/utiliser-le-kit
  5. Cfr. pagina 14 del rapporto di Mark Akkerman, Centre Delàs – Stop Wapenhandel – TNI, Guerras de frontera. Los fabricantes y vendedores de armas que se benefician de la tragedia de los refugiados en Europa, maggio 2016.
  6. La construcción europea al servicio de los mercados financieros, Fátima Martín e Jérôme Duval, Icaria Editorial 2016.
  7. Nel 2008, il rapporto Medical Justice and the National Coalition of Anti-Deportation Campaigns di Birnberg Peirce & Partners ha reso pubblico l’uso eccessivo della forza e i comportamenti razzisti durante il rimpatrio forzato dei richiedenti asilo nei loro paesi da parte degli accompagnatori privati ai quali il governo britannico delega l’attuazione delle deportazioni.
  8. Cfr. il rapporto “Guerre alle frontiere. I trafficanti di armi che guadagnano dalla crisi dei rifugiati in Europa”, Transnational Institute et Stop Wapenhandel, riassunto in francese: https://www.tni.org/files/publication-downloads/border-wars-exec-summ-french.pdf
  9. Le società di sicurezza private prosperano con l’aumento del numero di migranti “, 12 marzo 2014.http://www.irinnews.org/fr/report/99784/les-soci%C3%A9t%C3%A9s-de-s%C3%A9curit%C3%A9-priv%C3%A9es-prosp%C3%A8rent-%C3%A0-mesure-que-le-nombre-de-migrants-augmente.
  10. Amnesty International – Belgio ,”Semira Adamu, 15 anni dopo…”, 18 novembre 2013. https://www.amnesty.be/je-veux-m-informer/notre-magazine-le-fil/le-fil-23-novembre-decembre-2013/article/semira-adamu-15-ans-apres-21914?lang=en
  11. Bouygues ha costruito anche il carcere di Mont-de-Marsan, inaugurato il 20 novembre 2008. Il penitenziario era piombato nel buio tre settimane dopo la sua apertura, a seguito di un’interruzione generale dell’elettricità, che aveva portato all’evacuazione di 87 detenuti da questa prigione, consegnata in tempi record per evitare pesanti sanzioni pecuniarie in caso di ritardi dei tempi di consegna. David Dufresne,”Le juteux business des prisons”, 23 novembre 2010. http://owni.fr/2010/11/23/interview-le-juteux-business-des-prisons/
  12. Jérôme Duval,”G4S: quando l’azienda privata vigila sulla vostra sicurezza”, 4 aprile 2017.
  13. Claire Rodier, Xenofobia business, a che servono i controlli migratori, La Découverte, 2012, pagine 25-26.
  14. Analogamente, i paesi dell’Europa centrale, come per esempio la Germania, stanno beneficiando dell’ingresso nel mercato del lavoro di migliaia di studenti qualificati, che fuggono dalle crisi nei paesi della periferia europea, senza aver investito nella loro formazione. Lo stesso vale per i lavoratori dei paesi in via di sviluppo.
  15. CNCD 2017, Assises Citoyennes des Migrations: Vers la Justice migratoire.http://www.cncd.be/IMG/pdf/appeljusticemigratoireassisesfinal.pdf

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