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Grasso non cola più. Leu è il trionfo dei paracadutati

Leu, liste blindate per portare in Parlamento solo pochi fidati. Mal di pancia alla base di tutte le “foglioline”

di Checchino Antonini

Traiettoria bruscamente in discesa per la lista Leu di Grasso. Riassunto delle puntate precedenti: i tre capi dei tre partiti (Mdp, Possibile e Si, Speranza-Civati-Fratoianni) avevano svuotato il Brancaccio per dare vita, sulla base di un programma che nemmeno mette in discussione cose come la legge Fornero, alla “cosa” del presidente del Senato, soffiato al Pd e destinato, negli auspici, a essere spacciato come il Corbyn italiano. Operazione in puro stile dalemiano, megafonata dal gruppo Repubblica e totalmente artificiale, fuori da ogni dinamica sociale se non quella relativa all’autoconservazione di ceti politici. E’ proprio leggendo la stampa di quel gruppo editoriale che è possibile registrare quanto siano in discesa le azioni della cordata delle “foglioline” (tanto per ricordare la gaffe all’uscita del simbolo): dall’agiografico “Corbyn alla carbonara” (L’Espresso di domenica scorsa) all’impietosa ricostruzione del vicedirettore dell’Huffington che registra il ritiro della candidatura del medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, e la presa di posizione del dalemiano Caldarola che, senza giri di parole, denuncia l’ «implosione di fondo di un ceto politico che mira all’autosopravvivenza, non preventivando alcuna capacità di sopravvivere socialmente se non con la politica. Senza alcuna diversità rispetto al partito di Renzi e di Berlusconi. Le liste sono il trionfo dei paracadutati, ceto politico ristretto che si salva nei listini considerati sicuri”. Perfino il manifesto (altro house organ delle foglioline) deve titolare sulle regioni in rivolta e dare spazio alla fronda di quel pezzo di Campo progressista che s’era avvicinato a Leu dopo il forfait di Pisapia ma che ora guarda altrove per trovare uno spazio nell’orbita del Pd che, però, è la stessa di Leu.

Il «prendere o lasciare» con cui alla fine Pietro Grasso ha chiuso le liste elettorali di Leu, non pone termine alla rivolte di alcuni territori, e alla spaccatura tra i tre partiti che compongono il cartello elettorale, con Possibile che è stata sul punto di rompere e uscire da Leu. Leu non eleggerà nessuno nei 232 collegi uninominali e deve quindi puntare solo sul proporzionale. Tuttavia secondo sondaggi interni non eleggerebbe parlamentari in ogni circoscrizione proporzionale, ed è impossibile capire quali siano le sicure. Di qui la blindatura del gruppo dirigente con pluricandidature in più listini, a scapito delle new entry locali, contraddicendo la decisione dell’Assemblea del 7 gennaio, che puntava sulla «territorialità» delle candidature. La prima Regione dove sono scoppiati i malumori è la Calabria, dove l’uscente Nico Stumpo di Mdp è stato messo in entrambi i listini proporzionali. Di qui lo spostamento dell’altra calabrese uscente, Celeste Costantino, in Abruzzo, e dell’avvocato cosentino anti Porcellum Anna Falcone (vicina a D’Alema) in Lombardia. Qui è stato epurato Pippo Civati: dalla sua Monza è stato candidato a Brescia e Bergamo, nel territorio di Giorgio Gori, che Leu non appoggia per le regionali. Dentro Possibile è scoppiata la rivolta, da Napoli alla Sardegna, con i dirigenti locali che hanno annunciato l’uscita da Leu. Civati li ha convinti a rientrare ma in quelle Regioni Possibile sarà fuori dalle liste e non farà certo campagna elettorale. Hanno ritirato la propria candidatura Thomas Castangia, il coordinatore sardo di Possibile (nelle scorse settimane aveva dato la sua disponibilità alla candidatura, era invece pronto a mettersi al servizio dei Leu al terzo posto nella lista) e Michele Piras ex Prc poi Sel poi Mdp che era dato in corsa nel collegio poco sicuro del nuorese.

Il sospetto dentro Possibile è che Mdp voglia preordinare i gruppi parlamentari in vista di un governo del presidente. Tra i paracadutati che hanno creato mal di pancia ci sono il reggiano Claudio Grassi (ex filosovietico del Pci, cossuttiano nel Prc, poi nella mai nata “Grande Sel” divenuta Si) a Cagliari; Roberto Speranza a Roma (dove però c’è anche il romano Stefano Fassina); Guglielmo Epifani a Catania; Laura Boldrini in quattro listini a Milano anziché nelle Marche; Nicola Fratoianni nei due listini di Torino. Federico Fornaro, coordinatore Regionale, contesta questa lettura: «Nella storia Repubblicana a Torino è sempre arrivato un leader nazionale: Fratoianni è il segretario di un partito e non è un paracadutato, come Speranza a Roma». Fornaro però ha una Regione con tutti candidati territoriali negli altri listini, un caso unico. Altri hanno dovuto ingoiare le decisioni non condivise. «Nelle liste di Leu – ha detto Grasso – checché se ne sia detto, il 70% dei capilista viene dai territori» con un mix 50/50 tra parlamentari uscenti e new entry. Ma non tutti i 64 capilista saranno eletti, e molte dei volti nuovi espressi dai territori è capolista laddove ci sono scarse chance di elezione.

E’ lampante la diversità dell’altro pezzo del Brancaccio, quello che dall’inizio aveva contestato la presenza di Bersani e D’Alema, di quel ceto politico che ha imposto le dinamiche liberiste della guerra, della precarietà, del maggioritario, del proibizionismo verso gli esseri umani, della repressione. Quelli che Gotor, luogotenente di D’Alema, chiamava con disprezzo i “trotskisti dell’Illinois” – che fossero dentro al primo Brancaccio o che ne denunciassero da fuori l’ambiguità – stanno dando vita a Potere al Popolo, esperienza di segno opposto a quella di Leu, che mette insieme quello che il neoliberismo ha diviso, che ha un programma scritto dal basso e liste espresse dalle lotte sociali, politiche e sindacali. E che non si disperderà dopo il 4 marzo.

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