Arriva il Ttip, il trattato di libero commercio tra Usa e Ue. Cancellerà diritti e conquiste. Una campagna internazionale proverà a fermarlo.
di Marina Zenobio
Quasi nessuno lo conosce, non ancora. E’ il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’accordo di libero commercio tra Usa e Europa che non promette niente di buono per quel “99%” di popolazione, suo malgrado coinvolta. Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch, l’associazione con un osservatorio particolare proprio sul Commercio Internazionale, ha definito il TTIP come la NATO del commercio che subordinerà la salute dei cittadini e l’ambiente alle leggi del mercato e ai “diritti” delle imprese. In italiano si chiama “Trattato di liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Stati Uniti”, e contro di esso sta montando una Campagna di protesta internazionale, anche in previsione del 10 marzo, data in cui i negoziatori delle due sponde dell’Atlantico avvieranno gli incontri per l’attuazione del trattato. In Italia, una bozza di piattaforma “STOP-TTIP” è stata presentata a metà febbraio da un primo gruppo di promotori formato ad Altramente, Arci, Associazione Botteghe del Mondo, A Sud, Attac Italia, Fairwatch, Municipio dei Beni Comuni, Re:Common, Reorient, Scup e Yaku.
Ma cosa c’è che non va in questo trattato da meritare una campagna di protesta internazionale? Innanzitutto, si legge sulla bozza di piattaforma, il TTIP è qualcosa di più che un semplice negoziato di liberalizzazione commerciale; si tratta di un disegno politico che ha nella tutela e lo sviluppo dei mercati e dei mercanti il suo obiettivo principale. Il trattato, infatti, pende con troppa evidenza verso la tutela evidenza troppo verso Imprese, imprenditori e proprietà privata. L’ Azienda non soddisfatte del trattamento di un dato Paese, potrà appellarsi ad un organismo di risoluzione di controversie, made in TTIP, e rivalersi sul governo di quel Paese colpevole, a detta dell’Azienda, di aver ostacolato la sua corsa al profitto. Qualsiasi regolamentazione pubblica, con la scusa della tutela della competizione e degli investimenti, rischierà di essere messa in secondo piano, dietro alle esigenze delle aziende e dei mercati.
Il TTIP limiterebbe il potere degli Stati nell’organizzare i servizi pubblici come trasporti, servizi idrici, educativi e ridurrebbe il principio dell’accesso universale a tutto beneficio di una privatizzazione. Ci sono poi i settori di acqua ed energia Acqua ed energia, che sono a rischio. Con il trattato USA-UE tutte quelle comunità che si dovessero opporre potrebbero essere accusate di distorsione del mercato.
Per quanto riguarda l’alimentazione e la sua sicurezza, le norme europee su pesticidi, Ogm, carne agli ormoni e più in generale sulla qualità degli alimenti, sono più restrittive di quelle americane e internazionali: con l’attuazione del TTIP potrebbero essere condannate come “barriere commerciali illegali”.
Altro aspetto è quello che, nella piattaforma, viene detto di “libertà e internet”: i giganti della rete cercherebbero di indebolire le normative europee di protezione dei dati personali per ridurli al livello quasi inesistente degli Stati Uniti, autorizzando in questo modo un accesso incontrastato alla privacy dei cittadini da parte delle imprese private.
In termini di finanza, il trattato comporterebbe l’impossibilità di qualsivoglia controllo sui movimenti di capitali e sulla speculazione bancaria e finanziaria.
Se non bastasse, vediamo cosa può accadere ai diritti del lavoro. La legislazione sul lavoro, già drasticamente deregolamentata dalle politiche di austerity dell’Unione Europea, verrebbe ulteriormente attaccata in quanto potrebbe essere considerata “barriera non tariffaria” da rimuovere. Finiamo con l’ultimo, ma non per importanza, motivo per dire STOP-TTIP, la questione democrazia; il trattato impedirebbe qualsiasi possibilità di scelta autonoma degli Stati in campo economico, sociale, ambientale, provocando la più completa esautorazione di ogni intervento da parte degli enti locali. (Per info: pagina fb Stop-TTIP)