Almeno una era una bottiglia incendiaria “evoluta”: due bottiglie con un piccolo cannello a gas acceso come innesco. Due mesi di attentati.
da Trento, MP
Ci sono cose che non cambiano mai.
Prendete i gay, gli immigrati, le donne; prendete qualsiasi minoranza, qualsiasi gruppo sociale: per quanto oppresso, ghettizzato o marginale esso sia, non lo sarà mai quanto lo sono loro, gli “zingari”, il fantasma che ossessiona i razzisti e l’estrema destra di tutta Europa, il capro espiatorio perfetto.
Già parlare di “zingari” denota una scelta terminologica funzionale alla costruzione dell’altro come nemico, altro dalla “civiltà” europea, troppo diverso per camminare accanto a noi per strada, da pari, nelle nostre città di gagi.
Ma lasciamo stare, sono tutte cose che perdono importanza quando cominciano a volare le molotov.
E’ successo a Trento: 48 ore fa, di notte, sulle roulottes e i camper di una famiglia sinti, ferma su un’area abusiva alle porte della città che occupa da circa cinque anni, sono state lanciate bottiglie incendiarie. Una di esse ha sprigionato fiamme che hanno lambito un camper.
Fortunatamente le persone all’interno del veicolo si sono accorte di quanto stava succedendo e sono riuscite a spegnere le fiamme.
Non è la prima volta che accade. Terrorizzati, preoccupati per la loro incolumità, i Sinti si sono decisi a denunciare pubblicamente l’accaduto. E’ quindi emerso che da due mesi a questa parte -sono state lanciate moltov almeno sei o sette volte e che lo scorso due maggio Alessandro Held, il capofamiglia, ha sporto denuncia in Questura.
Si è mossa quindi la Digos, che ha fatto i rilievi nell’area, dove tra uomini, donne e bambini vivono circa 30 persone, naturalmente senza acqua né luce.
Evidenti i segni lasciati dalle bottiglie incendiarie: steccati bruciacchiati; asfalto annerito; camper rovinati in alcuni punti. E - secondo quanto raccontato da Alessandro Held - gli stessi agenti venuti a fare sopralluoghi sono rimasti colpiti dalla perizia nella costruzione delle molotov.
Erano fatte per fare male, non solo per lanciare un avvertimento. In quei camper poteva morire qualcuno. Come si dice, è stata sfiorata la tragedia e non una volta sola.
In almeno un caso quella che è piombata sull’accampamento era una bottiglia incendiaria “evoluta”, composta da due bottiglie piene di liquido infiammabile attaccate insieme con il nastro adesivo e da un piccolo cannello a gas acceso che faceva da innesco.
Non vi è dubbio sulla natura razzista di questi attentati: i sinti erano stati in precedenza oggetto di insulti e frasi del tipo “vi bruceremo tutti” lanciate da macchine passate nelle vicinanze dell’accampamento, sito lungo la tangenziale.
Quello che fa rabbrividire in tutta questa vicenda è il fatto che si sia trattato di attacchi ripetuti e premeditati, organizzati con preoccupante perizia tecnica. Ma soprattutto pensati per fare male: c’è qualcuno nella tranquilla, democratica e moderata Trento che è pronto a macchiarsi di omicidio, spinto dalla follia dell’odio razziale. Forse non essendo stato avvertito che le razze non esistono. Se non quella dei cretini, ovviamente.
Il livello della violenza, con questi attentati, è schizzato oltre il livello di guardia, ma il peggio è che di questo non si rende conto nessuno, proprio perché nel mirino sono finiti gli “zingari”.
Che rapporto tra una famiglia di diseredati, marginali, minoritari sinti e la democrazia? E’ proprio perché qualcuno non capisce il nesso che cose del genere possono accadere. E mettere in discussione la stessa agibilità democratica di una città come Trento.
L’estrema destra - perché la matrice politica degli attentati è evidente - colpisce e cerca legittimità colpendo là dove sa che potrà ottenere l’approvazione o quantomeno la sospensione di giudizio di una fetta larga di popolazione.
Ed è evidente il precipitare della situazione a partire dall’apertura in città di una sede di Casa Pound: l’estrema destra (anche quella di matrice integralista cattolica) si sta riorganizzando sul territorio e - nonostante non se ne conoscano gli esecutori materiali - non è difficile concludere che le responsabilità morali dell’attacco ai sinti siano da cercare proprio da quella parte.
Anche la solidarietà, l’antirazzismo e l’antifascismo devono ripartire da qui: da questo piccolo accampamento di sinti che ci parla di noi, della nostra società nel quale il demone della violenza sta riemergendo, mentre le sue difese immunitarie non sono mai state così basse.