Arriva al cinema Maleficent, film che racconta la storia della Bella Addormentata ma da un altro punto di vista. Su Popoff la recensione.
«So chi sei, di tutti i miei sogni il dolce oggetto sei tu/anche se nei sogni è tutta illusione e nulla più il mio cuore sa che nella realtà da me tu verrai e che mi amerai ancor di più». Lalalalala… vabbé, ve la ricordate? Ecco. Scordatevela, cancellatevela, resettatevela, rewindelatevela. O meglio, immaginatevela cantata da una darkissima Lana Del Rey e ci siete quasi. Perché questa versione della fiaba dell’eterna addormentata intende riscrivere il mito e mettere in discussione i canoni delle storie che ci hanno raccontato finora sulle principesse indifese, sul vero amore e sui cattivi a prescindere.
Avete presente quelle t-shirt che vanno tanto di moda, quelle con su scritto “il principe azzurro si è perso nel bosco”, “il principe azzurro stinge al primo lavaggio”, “ma quale principe, l’unico azzurro che voglio è quello di Tiffany!”? Ebbene, la Disney le ha prese sul serio. Dopo il premio Oscar Frozen, il regno di ghiaccio (che sdoganava l’atto di vero amore), decide di ridimensionare, ancora una volta, i ruoli maschili, financo di ridicolizzarli per incitare la rivolta/riscossa delle bionde. Più in generale, delle donne.
E lo fa prendendo la più cattiva tra le cattive, la fata caduta in disgrazia che odia tutto ciò che è bello/buono senza apparente motivo, la Malefica tra le malefiche. Questo Maleficent, dunque, più che il riscatto della rincogl… ehm, della sonnolenta Aurora, rappresenta il riscatto della fata cornuta (in tanti sensi, ohibò) e corvina più malvagia che si ricordi.
Il regista Robert Stromberg si prende, così, la briga di dirigere l’infanzia di Malefica, la sua adolescenza per tentare di spiegare le ragioni che l’hanno spinta a pronunciare il “malefico” sortilegio. Tutta colpa dell’amore, o meglio, della sua assenza. E di uomini senza scrupoli, dominati dalla guerra, dalla sete di potere, dal rancore, dall’invidia. «Quale meraviglia!».
A tutto c’è una giustificazione, dunque. Basta solo trovarla. «Mi ero smarrita nell’odio e nella vendetta».
Angelina Jolie entra, così, nei panni di una zigomata “fata madrina”, calzandoli a pennello. Ci ha sguazzato talmente bene dentro che pare abbia terrorizzato tutti i bambini sul set (tranne sua figlia, chiamata per l’appunto a interpretare la quattrenne principessa). «Ti odio, bestiolina». Pare un po’ Catwoman e un po’ un elfo di Gran Burrone ma si riesce a perdonarle tutto, tanta è la sua bellezza. Accanto, le troviamo un’Aurora/Elle Fanning («È così bruttina che quasi provo pena per lei») sbiadita come da tradizione e un corvo/Fosco (ma è Sam Riley) mutaforma, incondizionatamente al suo servizio.
Tanto per ribadire il concetto “con gli uomini ci faccio quel che voglio”.
«Quale scintillante consesso, Re Stefano./Non sei la benvenuta./Cielo, che imbarazzante situazione!». Ora, la sceneggiatura non brilla certo per originalità e arguzia. Il vero villain Sharlto Copley è poco incisivo e i personaggi di contorno non sono granché. Le tre fatine Giuggiola, Fiorina e Verdelia (rispettivamente Imelda Staunton, Lesley Manville e Juno Temple) sono un esempio di mancata buona occasione. Potevano essere divertenti, invece vengono fuori come oche giulive e pure sopravvalutate («Siete state tanto buone con me, tranne quella volta che mi avete dato da mangiare i ragni»).
L’unico merito che si può davvero attribuire alla scrittura è l’aver rovesciato tutti gli stereotipi: quello del bacio del vero amore, quello di madre (con la principessa cresciuta e pasciuta così!), quello dell’amore a prima vista, e così via. Stereotipi che vengono messi del tutto in discussione e vengono sostituiti, nel complesso, da un’idea di donna moderna ed emancipata, che va controcorrente rispetto alle donnine/adolescenti sciatte e bisognose di essere salvate di certe saghe cinematografiche recenti. E non è poca cosa.
Per il resto è un fantasy godibile, con delle buone scenografie e degli ottimi costumi. Forse gli effetti speciali potevano essere migliori, più complessi, più curati ma questo difetto ci fa tornare chiaro in mente che di protagonista, qui, ce n’è una sola. Guai ad oscurarla.
Altra nota di demerito è la voce (cantilenante) narrante che suggerisce poca fantasia laddove ce ne dovrebbe essere tanta. È un fantasy, per la miseria! Non c’erano proprio altri mezzi? Tocca sorbirsela per i novanta e passa minuti: siete avvertiti.
Insomma, la Disney ci ha fatto il callo. Dopo La carica dei 101, Alice in Wonderland, Il grande e potente Oz e Saving mr. Banks si è resa conto che dai suoi classici può tirare fuori ancora molto, può spremere le trame fino a farle grondare, può giocare con i personaggi per ribaltarli e riadattarli ai tempi moderni.
D’altronde, è ormai moda accertata quella di riscattare figure ambiguamente oscure e mitologiche al cinema. Tra vampiri, lupi mannari, zombi, angeli caduti e demoni buoni perché non dare una chance anche alle streghe cattive?
Speriamo non si cominci a tirare troppo la corda. Perché se è vero che si può apprezzare il tentativo di ridare indipendenza (e le ali) alle donne, è vero anche che non si può particolarmente condividere la scelta di spogliare dell’essenza malefica colei che si chiama Malefica.
I cattivi, al cinema, (mi, ci, vi) piacciono assai.
Nel 2015 toccherà a Cenerentola. Piccolo suggerimento. La parte della Cattiva datela a lei, per una volta.