Sette anni è la pena chiesta dal pm milanese per l’omicidio preterintenzionale di Michele Ferrulli da parte di 4 agenti che dopo falsificarono le carte.
di Checchino Antonini
Sette anni di carcere. Sette anni ciascuno. «Una violenza gratuita e non giustificabile». Quattro contro uno, perdipiù più vecchio di loro e già a terra, malconcio. E’ il minimo della pena ma è il doppio di quanto fu chiesto, e ottenuto, per i quattro agenti che in circostanze analoghe ammazzarono Federico Aldrovandi. Con una richiesta di pena che fa piazza pulita della retorica di sindacati grossi e piccoli di polizia su un’eventuale revisione del processo Aldrovandi, il pm milanese Gaetano Ruta ha chiesto la condanna per i quattro agenti che il 30 giugno di tre anni uccisero Michele Ferrulli. Omicidio preterintenzionale e di falso in atto pubblico secondo un copione che si ripete troppo spesso nei “film” che hanno come protagonisti poliziotti e carabinieri.
I quattro agenti, secondo l’accusa, durante il fermo dell’uomo, allora 51enne, lo pestarono di botte. Secondo il pm, Ferrulli, quando venne fermato insieme a due amici romeni in via Varsavia, alla periferia sud-est del capoluogo lombardo, subì «una violenza gratuita e non giustificabile» da parte degli equipaggi delle due volanti intervenute in seguito alla chiamata di un cittadino infastidito dagli schiamazzi. In aula come sempre in casi del genere, una delegazione di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, che gestisce anche un numero verde per l’attivazione di una rete di legali. Domenica Ferrulli, la figlia di Michele, parte civile – assistita da Fabio Anselmo – nel procedimento insieme ad altri familiari e oggi presente in aula, dopo tanto tempo si sente meno sola: «Ora sappiamo che lo Stato è dalla nostra parte. È un processo difficile e doloroso – dice – la nostra speranza è che gli agenti vengano condannati e non indossino più la divisa, per rispetto di mio padre e anche di chi la indossa onestamente». Il pm, al termine della sua requisitoria, ha precisato di aver chiesto il minimo della pena nei confronti dei quattro imputati, Francesco Ercoli, Michele Lucchetti, Roberto Stefano Piva e Sebastiano Cannizzo, riconoscendo le attenuanti generiche, anche perchè gli agenti in passato «nelle loro attività non avevano mai dato problemi o ragioni di censura».
Durante la sua ricostruzione in aula, il magistrato ha sottolineato che il 30 giugno di tre anni fa «l’intervento dei poliziotti è stato sempre sopra le righe, mentre Ferrulli aveva un atteggiamento non aggressivo nei loro confronti». Inoltre ha affermato che l’uomo «subì percosse» e gli agenti «agirono in quattro contro una persona più anziana di loro, che era prona, bloccata a terra e invocava aiuto». Gli agenti delle volanti, invece, hanno sempre sostenuto – nonostante i verbali falsificati – di aver agito correttamente, in quanto secondo le loro ricostruzioni l’uomo era «ubriaco e aggressivo», e stava opponendo resistenza all’arresto. Il pm si è soffermato anche sulle cause del decesso di Ferrulli, che era affetto da ipertensione e, secondo quanto è emerso dalle perizie, morì a causa di una ‘tempesta emotiva’ che ha provocato l’arresto cardiaco. «Se io butto a terra una persona e infierisco – ha aggiunto Ruta – posso fargli molto male, e a questa persona può venire un infarto, anche se è una conseguenza di certo non prevedibile». «Non ci vuole uno scienziato per capire che se una persona dice ‘basta, la testa basta’, bisognava smetterla lì».
Quindi la morte di Ferrulli è dovuta «anche al comportamento dei poliziotti» che, in seguito all’episodio, produssero una «documentazione di servizio falsa, per cercare di dare una rappresentazione edulcorata della vicenda». «Gli imputati dicono che la loro attività era coerente con l’ammanettamento di una persona che opponeva resistenza – ha proseguito il pm – ma questa rappresentazione stride con quanto hanno detto i testimoni che hanno visto i poliziotti agire con violenza». Inoltre il fatto che gli agenti possano aver utilizzato un manganello per colpire Ferrulli, eventualità negata dagli stessi imputati, «rischia di essere un falso problema», perchè «si può fare molto male a una persona anche solo colpendola con i pugni, senza usare corpi contundenti». Le percosse subite dall’uomo, morto poco dopo l’intervento degli agenti, vennero filmate da alcuni residenti. I video sono stati esaminati nelle scorse udienze del processo, così come le testimonianze di alcune persone che hanno assistito alla scena, durata pochi minuti. Si ritorna in aula il 13 e il 17 giugno, mentre la sentenza è attesa per il 3 luglio.
Ma questo sarà un mese bollente per i casi di malapolizia: domani verrà pronunciata la sentenza per Stefano Gugliotta che fu pestato senza ragione nei pressi dello stadio Olimpico da un branco in divisa blu. Il giorno appresso ci sarà l’udienza del caso di Filippo Narducci, il 9 giugno quella sull’omicidio di Giuseppe Uva da parte di poliziotti e carabinieri e l’11 sull’omicidio di Dino Budroni sparato da un agente sul Gra di Roma.