Ritmi scientificamente forsennati a Grugliasco, sciopero delle tute blu della Maserati. La Fiat finge di non capire. Forse è solo l’inizio
di Checchino Antonini
Incomprensibile e irrazionale dicono la Fiat e il suo organo ufficiale, La Stampa, a proposito dello sciopero di un’ora ieri alla Maserati di Grugliasco promosso dalla Fiom. Secondo il sindacato l’iniziativa, voluta per fare il punto della situazione con le lavoratrici e i lavoratori rispetto ai carichi di lavoro, all’organizzazione dei turni, che passeranno a 12 a partire da settembre, al salario e alle ferie, ha registrato adesioni superiori al 30% in alcuni reparti e complessivamente ha coinvolto «centinaia di lavoratori non solo iscritti alla Fiom-Cgil». All’assemblea sono intervenuti i delegati sindacali della Fiom-Cgil e la segreteria territoriale e sono stati illustrati ai lavoratori i vari punti problematici e le possibili soluzioni.
E’ stato, in assoluto, il primo sciopero alla Maserati sulle condizioni di lavoro per altro in condizioni difficili tanto più che in queste ore l’azienda ha contrastato in ogni modo la riuscita dell’agitazione, così come hanno fatto le altre organizzazioni sindacali, le stesse che inizialmente avevano dichiarato lo sciopero e che poi non si sono sentite neanche di fare le assemblee. La buona partecipazione dei lavoratori e l’attenzione mostrata durante l’assemblea dimostra che c’è un disagio diffuso tra i lavoratori, in particolar modo riferito ai carichi di lavoro e agli orari.
«Lo sciopero è maturato negli ultimi mesi proprio per il progressivo deteriorarsi delle condizioni dei lavoratori – spiega Pasquale Loiacono, origini calabresi, 50 anni di cui 26 passati a Mirafiori dov’è Rsa della Fiom – per via dell’introduzione del Wcm, il word class manufacturing, l’organizzazione del lavoro, di stampo giapponese, adottata da Fiat in molti stabilimenti e di recente anche a Pomigliano. Alla Wcm vanno aggiunti gli effetti della nuova metrica Ergo-Uas e le turnistiche consentite dal contratto: si lavora per nove ore al giorno con straordinari al sabato mattina».
La strategia del Wcm, si legge in rete, è stata sviluppata negli Usa negli anni 90, in Italia arriva attorno al 2005 nel gruppo FIAT: le attività di tutti i team sono orientate alla realizzazione di progetti (Kaizen) i cui obiettivi sono zero difetti, zero guasti, zero sprechi e zero magazzino, finalizzate ad una generale compressione dei costi dello stabilimento in maniera sistemica e con metodi riferibili ed oggettivabili. Il Wcm pone l’accento sul miglioramento ergonomico delle postazioni lavorative per aumentare la produttività, sulla riprogettazione delle postazioni di lavoro al fine di ridurre la necessità dell’operaio di spostarsi per prendere i pezzi da montare e ridurre in tal modo i tempi del ciclo produttivo, ma soprattutto sul lavoro in team, ai quali è demandata l’attività di problem solving. L’Ergo-Uas, dal canto suo, costituisce una metodologia già sperimentata nello stabilimento di Mirafiori, per raggiungere gli obiettivi del Wcm. Il sistema si basa sulla ridefinizione dei carichi ergonomici derivanti dai nuovi assetti delle postazioni di lavoro e su un sistema di studio dei tempi mutuati dal taylorismo dell’inizio del 900. Grazie all’informatica permette di plasmare completamente il ciclo lavorativo e i gesti degli operai per ottenere la produttività massima.
In sintesi è possibile affermare che quel poco di lavoro che c’è viene concentrato sulle spalle dei pochi che la Fiat richiama a lavorare dalla cassa integrazione. «Un bacino di cassintegrati da ricattare – continua Loiacono – che consente all’azienda di tenere in scacco i lavoratori. Ma ieri c’è stata finalmente la prima risposta anche sapendo che non si sono incrociate le braccia su una piattaforma conquistabile. In periodi come questi chi sciopera ci mette la faccia».
Il gruppo Fiat conta 83mila dipendenti con una percentuale di ammortizzatori sociali che riguarda tra il 40 e il 50% dei lavoratori. «Dal 2012 c’è chi non ha fatto nemmeno un’ora di lavoro». I 2400 di Grugliasco diventeranno 2900 a settembre, dovrebbero almeno, con l’assorbimento di una parte degli addetti alle Carrozzerie di Mirafiori dove ci sono attualmente 2500 in cassa. «Ma l’età media è di 52 anni e questi ritmi sono difficilissimi da sostenere. Si spreme chi lavora e, ai tempi imposti, si sovrappone l’accumulo di postazioni sulla linea di montaggio».
Durante lo sciopero s’è svolta un’assemblea davanti ai cancelli della Maserati e s’è deciso che bisogna tornare al più presto. Quello che manca è una presenza costante ma dei quattro delegati, una è un’impiegata e gli altri tre sono tutti su un turno in una fabbrica che ormai è più grande di Mirafiori.
Arrivano altri segnali, dalla Sevel della Val di Sangro, ad esempio, dove da sabato 7 giugno c’è il blocco degli straordinari. O da Pomigliano dove sono rientrati i primi 19 delegati Fiom che erano stati licenziati e sono tornati là dove lavoravano senza ulteriori discriminazioni.
«Ma non possiamo affidarci solo a quello che viene disposto dai giudici o dai percorsi istituzionali (il modello Obama-Chrisler) – avverte il delegato Fiom – andare oltre si deve. E’ quello di cui s’è discusso dieci giorni fa al coordinamento dei delegati del gruppo, una sessantina di lavoratori riuniti a Roma: bisogna costruire una resistenza interna, riaprire i rapporti di forza e i rapporti con i lavoratori, provare a rimettere in discussione gli aspetti contrattuali. S’è deciso di convocare iniziative e assemblee unitarie (altrimenti non ce le danno) dappertutto». Questo racconta Loiacono sapendo perfettamente quanto sia difficile. Lui stesso è rientrato da alcuni mesi a Mirafiori per un paio di giorni al mese di lavoro. Ha trovato le bacheche vuote e coperte di fuliggine, «manca il pezzo sindacale – dice – vogliono stabilizzare il fatto che il sindacato debba essere una struttura di servizi non più conflittuale».
E dentro le assemblee la proposta che dovrà viaggiare sarà quella di andare subito alle elezioni delle Rsa (la Fiat è ormai fuori da Federmeccanica e non elegge Rsu) e delle Rls, i delegati alla sicurezza. «E vediamo chi legittima chi. Certo, è un rischio: non è detto che ci vada bene dopo essere stati fuori per anni. Io provo molta frustrazione a non incontrare da anni gli operai in cassa integrazione di Mirafiori. Anche la notizia del suicidio dell’operaia del reparto confino di Nola svela una realtà di isolamento nella quale siamo costretti a vivere ma bisogna dire che non ci atterremo a nessuna esigibilità degli accordi, vogliamo che i lavoratori decidano chi li rappresenta».