Il film verrà presentato al Festival di Bracciano il prossimo 6 luglio. Intervista alla regista Ilaria Jovine.
di Sarah Panatta (EscaMontage Blog&WebTV) La vita, “molto più ricca di qualsiasi fiction”. Un viaggio nell’umanità, segnato da una decisa scelta d’indipendenza “reale”, che si interroga anche sul cinema, cosmo dove il mercato si intreccia necessariamente alle idee e ai desideri troppo spesso ignorati del pubblico. Ilaria Jovine, regista di Almas en juego, che sarà proiettato il 6 luglio alle 21.30 al Film Festival di Bracciano (archivio storico, piazza Mazzini 5, Bracciano – vicino Roma) si racconta tra cinema e altri approdi possibili. Un giovane talento che si mette in “gioco”. Iniziamo dal tuo Almas en juego. Come escogiti il soggetto, da quale esperienza emerge? Già, mettersi in gioco. È questa la sensazione. Tanto più quando un progetto è totalmente indipendente, quando decidi di raccontare una storia che non ha l’appeal di grandi personaggi conosciuti o di un tema politico o sociale facilmente riconoscibile e quando, in fondo, è una prima regia (il mio precedente documentario sul mercato ormai dismesso di Piazza Testaccio, lo considero un piccolo esperimento). “Almas en juego” nasce da una storia a me vicina che, da sceneggiatrice, inizialmente volevo approfondire per farne un lungometraggio di finzione. Poi l’idea di farla raccontare direttamente ai protagonisti: era, per me, talmente avvincente e interessante così com’era, era piena di così tante sfumature e verità umane che non volevo andassero perse con la scrittura di una sceneggiatura di fiction. Come si dice: la vita di certe persone è molto più ricca e fantasiosa di qualsiasi finzione. E quindi l’idea di farne un documentario, un documentario d’amore, sull’amore. Mi è sembrata una sfida più stimolante del semplice adattare una storia realmente accaduta per farne un film. Una sfida perché si trattava di rendere “eroi” (in senso narrativo) dei personaggi reali, persone qualunque. I personaggi dei film sono spesso persone qualunque, ma il fatto che si tratti di invenzione ci fa partecipare alle loro vicende come fosse un gioco che sai che finisce dopo 80 o 100 minuti. Cosa succede invece se entri per 60 minuti nella vita di due persone sapendo che sono vere e reali? Un budget di 10mila euro. Indipendenza reale. Un’autoproduzione? Qual è stato il percorso del film? Difficoltà, sorprese, traumi, soddisfazioni, sassolini nelle scarpe, gioie? “Almas en juego” è una produzione mia e del direttore della fotografia Roberto Mariotti con cui ho condiviso tutto il lavoro. Non potevo che realizzare in questo modo un progetto del genere. Chi ci avrebbe messo dei soldi? Con la mia idea ho partecipato ad un workshop sul cinema digitale organizzato alla Casa del Cinema, con il sostegno del Premio Solinas, dalla Marechiaro Film e ho vinto un piccolo contributo alla postproduzione. Un film del genere non si sarebbe potuto fare altrimenti. Low budget, molto lavoro di scrittura sulle domande, molto lavoro al montaggio, clima di fiducia con i protagonisti e troupe ultra leggera per infilarmi per dieci giorni nelle loro vite e per viaggiare a loro seguito in un paese come la Colombia. E’ stata un’esperienza difficile, ma molto significativa per me. Sono soddisfatta e lo ero già prima che arrivassero le proiezioni nei festival. Naturalmente vedere poi la risposta degli spettatori, dopo la visione del film, è ciò che mi ripaga di più per aver creduto in una storia “commercialmente” difficile come quella di “Almas en juego”. Il fatto è che spesso quello che stabiliscono le leggi di mercato non corrisponde sempre alle reali necessità che il pubblico ha. Forse si dovrebbe stare più attenti e avere più cura degli spettatori e del loro bisogno di storie autentiche e quindi rischiare di più scommettendo anche su storie come queste. Un’autrice che si muove fluida tra teatro e cinema: “anima” e legame del viaggio, la scrittura. Ce ne parli? Forse il vero legame tra i vari linguaggi che uso per raccontare storie è l’innamoramento per l’essere umano. Sono affascinata e incuriosita dalle storie che ci portiamo dentro. La scrittura è il mezzo più diretto per trascrivere ciò che ascolto. Parto sempre dall’ascolto dei personaggi, è solo dentro di loro che trovo le storie. Poi a seconda del tipo di storia che ho di fronte, decido se metterla in scena a teatro, farne un film, un romanzo, una poesia o un documentario. Torniamo al tuo lungometraggio ambientato tra Colombia e Italia. L’amore ai tempi della web cam. L’amore che nasce in un sito di incontri, nel mondo virtuale e per una volta decide di vivere nella realtà cambiando completamente la vita dei due protagonisti. Anime in gioco, appunto. Un salto nel buio che si cela dietro lo schermo di una chat. Chi ci sarà veramente là dietro? E poi, chi ci sarà veramente laggiù oltre l’oceano, in Sud America? Il primo a fare il salto è stato Nicola. In lui è stata determinante la voglia di fuggire dall’Italia, un paese che non sentiva suo, nonostante lui avesse un lavoro fisso, un ottimo stipendio e una casa. C’è chi fugge anche perché, pur avendo tutto, sa di non vivere una vita veramente autentica e corrispondente alla propria natura. Si fugge anche da questo. Parte per la Colombia per conoscere la donna con cui ha parlato in chat per mesi. Decide di trasferirsi, la sposa, poi insieme pensano di tornare in Italia. Il paese dei balocchi. Arrivano nell’Italia della crisi: lei è una ragazza madre colombiana, ha un figlio a carico, lui ha 40 anni e deve reinventarsi un lavoro. Anni di disoccupazione e il malessere, l’inquietudine del vivere in Italia quando non sei un turista. Diana dice di averla sempre sognata l’Italia: un paese bellissimo, poi Roma, una città stupenda… ma poi, vivendoci, ha cambiato idea e rimpiange la sua Colombia, dove non esistono monumenti antichi, ma le bellezze che possiede non sono solo da ammirare e fotografare senza mai sentirle veramente sue. Viviamo un momento storico in cui nulla ha più senso, non esistono regole precise da seguire per rendere la tua vita sicura: dunque perché non vivere seguendo ciò che sentiamo dentro? Forse si fallirà, ma almeno saremo stati fedeli a noi stessi. Il progetto che stai per realizzare, puoi darci anticipazioni? Sto scrivendo una sceneggiatura per un film di finzione, una storia al femminile sulla competizione e la guerra tra generi, sul bisogno e sull’orgoglio in amore. Ma sto già cercando l’argomento del mio prossimo documentario da regista e da anni vorrei raccontare il Molise di mio zio Francesco Jovine, scrittore neorealista e giornalista morto nel 1950.