Tre mila euro l’anno per due anni: è quanto il Governo intende assegnare agli storici Centri antiviolenza e case rifugio che operano con efficacia da decenni e in regime di volontariato.
di Marina Zenobio
L’anno scorso in Italia sono state 134 i casi di femminicidio e quest’anno le previsioni non lasciano pensare a stime migliori. Dietro i freddi numeri ci sono donne che spesso hanno chiesto aiuto, sempre l’anno scorso in circa 18 mila, ai centri antiviolenza, la maggior parte non istituzionali, cioè autonomi, che fanno quello che possono ma c’è bisogno di soldi per rispondere ad un fenomeno che non va considerato come un’emergenza ma conseguenza di una cultura patriarcale e di stereotipi duri a morire.
A ottobre dell’anno scorso, dall’allora governo Letta, fu approvata la legge 93/2013 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”. Una legge molto criticata per i suoi limiti dalle associazioni femminili e dai centri antiviolenza che l’avvocato Titti Carrano, presidente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza – definì «non organica, non strutturale e non strutturata per affrontare tutti gli aspetti del fenomeno, e che non prevede un adeguato sostegno ai diversi centri antiviolenza».
Per adeguato sostegno s’intendevano fondi che, alla fine, sono arrivati, 17 milioni di euro. Epperò agli storici Centri antiviolenza e alle Case rifugio che da decenni operano con efficacia e in regime di volontariato, il Governo intende assegnare tre mila euro l’anno per due anni. Briciole per quei luoghi di donne e per le donne, dove si radicano il sapere e il metodo che hanno consentito e consentono a tante di salvarsi la vita – ha denunciato D.i.Re, aggiungendo che con tre mila euro in due anni i centri antiviolenza non riusciranno neanche a pagare le bollette del telefono.
Ma a chi andranno, allora, questi 17 milioni ? Alle Regioni che finanzieranno progetti sulla base di bandi che andranno a sostenere “centri” e sportelli last minute ma, sopprattutto, l’obiettivo è di istituzionalizzare i percorsi di uscita dalla violenza delle donne.
Tutti i centri, pubblici e privati, saranno finanziati allo stesso modo, senza tenere conto del fatto che diversamente dai privati i centri pubblici hanno sedi, utenze e personale già pagati. Secondo una mappatura in base a criteri che l’associazione D.i.Re. definisce illeggibili, di questi 17 milioni ai 352 Centri Antiviolenza e Case Rifugio toccheranno solo 2.260.000 euro, circa 6.000 euro per ciascun centro per un biennio.
Questa scelta del Governo contravviene in modo netto alla Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che l’Italia ha ratificato e che entrerà in vigore il prossimo 1° agosto, il cui Articolo 8 prevede siano destinate “adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile”.
Nella Convenzione di Istanbul, di legge in un comunicato della Rete nazionale dei centri antiviolenza, si privilegia il lavoro dei centri di donne indipendenti, mentre il Governo Italiano sceglie di destinare la maggior parte dei finanziamenti alle reti di carattere istituzionale.
Questo modo di procedere dà l’idea di quanto la politica non intenda rinunciare a “intercettare” quei fondi, con l’obiettivo di controllare e ridurre allo stremo i Centri antiviolenza indipendenti, già operativi da molti anni su tutto il territorio nazionale, come quelli associati in D.i.Re., ricordando anche che “il Governo, a tutt’oggi, non ha neppure formulato un Piano Nazionale Antiviolenza come previsto dalla legge, e si presenta in Europa senza avere intrapreso un confronto politico serio con tutte coloro che lavorano da oltre 20 anni sul territorio, offrendo politiche e servizi di qualità per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza sulle donne”. E il tutto avviene mentre la guida politica delle Pari Opportunità è ancora ancorata nelle mani del premier Renzi.