Lo sfogo della sorella di Giuseppe Uva morto dopo una nottata tra caserma e ospedale. Sei anni dopo un gip decide di ricominciare dall’unico testimone. Indagini volutamente magmatiche
di Checchino Antonini
«Oggi è stata una giornata molto lunga e difficile – scriveva Lucia Uva – il giudice doveva decidere se rinviare a giudizio i 6 poliziotti e il carabiniere che quella notte portarono Giuseppe in caserma. Ma anche oggi, come ormai da sei anni, non abbiamo avuto una risposta. Il giudice ha disposto che il 14 luglio dovrà essere ascoltato in aula Alberto Biggiogero, l’unico testimone oculare di quella notte. Quello che mi chiedo è: cosa succederà in queste due settimane ad Alberto? Verrà fermato per strada ubriaco e arrestato? Verrà trovato in possesso di droga? Gli faranno un trattamento sanitario obbligatorio? Si cercherà, come è stato fatto finora, di far passare Alberto per un testimone inattendibile? Non posso saperlo, posso solo sperare che il 14 luglio arrivi presto. Intanto, se ci troviamo in questa situazione, è colpa di un pubblico ministero che per anni non ha fatto indagini a Varese, ed è colpa del Procuratore capo di Milano, che in tutti questi anni ha sempre respinto le nostre richieste di avocazione, lasciando marcire la possibilità di un processo per la morte di mio fratello. Giuseppe è morto come Gesù Cristo di freddo. La vera colpevole della morte di Giuseppe sono io, che l’ho fotografato sul tavolo dell’obitorio».
Non è stata una giornata positiva per questa donna cui toccò di riconoscere il cadavere di suo fratello quel giorno di giugno di sei anni. Dopo una corsa in autostrada – era appena partita per le ferie – Lucia vide quello che mai avrebbe immaginato, lo fotografò e ricevette in sorte l’accusa nemmeno troppo velata di aver manomesso quel corpo e sei anni di calvario tra un tribunale e l’altro perché, nel frattempo, Lucia ha conosciuto madri, sorelle, padri, amici, nelle sue stesse condizioni: quelle di chi deve rivivere il proprio strazio e raccontarlo un milione di volte prima di sapere se almeno ci sarà un processo pubblico. Ieri, per l’ennesima volta un gip ha detto di essere impossibilitato a stabilire se quel gruppo di poliziotti più un carabiniere che presero in carico suo fratello con un improbabile arresto per ubriachezza molesta dovrà essere processato per omicidio pretenintenzionale e reati connessi a quello.
Ha detto, all’incirca il giudice che le indagini sono tutte incasinate, magmatiche ha detto. Ma il tempo non sarà galantuomo, la prescrizione si avvicina. Se accadrà proprio questo sarà un fallimento: «Il 14 giugno scorso sono passati 6 anni dalla terribile morte di Giuseppe Uva – scrive anche Fabio Anselmo che, assieme al collega Fabio Ambrosetti segue la famiglia Uva – sono 4 anni che lottiamo con la Procura di Varese ed in particolare con il Dott. Abate e la Dott.ssa Arduini per avere giustizia. Sono 4 anni che tutti i Giudici interpellati ci riconoscono il diritto sacrosanto ad avere un processo per la morte di Giuseppe. Sono 4 anni che chiediamo alla Procura Generale di Milano che vengano avocate le indagini sul caso Uva.
Oggi l’imputazione coatta pronunciata dal GIP Battarino invano, il Giudice ha definito magmatico il fascicolo delle indagini sottoposto al suo giudizio ed ha scritto di non essere in grado di prendere alcun provvedimento se non quello di disporre ancora nuove attività di indagine consistenti nell’ esame del super teste Alberto Biggiogero e nella trascrizione di una telefonata recentemente intercorsa tra Lucia Uva e un altro teste Assunta Russo, che avrebbe riferito di un ulteriore pestaggio del povero Giuseppe Uva avvenuto dentro l’ospedale e fatto oggetto di una nuova contestazione specifica da parte del procuratore Isnardi.
Sono passati 6 anni e la prescrizione è ormai alle porte per quasi tutti i reati contestati agli imputati.
La soddisfazione, magra peraltro, di vedere riconosciute come legittime e fondate le nostre critiche rivolte alla Procura di Varese è assolutamente travolta dalla profonda amarezza per il tempo trascorso che, molto probabilmente, garantirà l’impunità a coloro che sono accusati di averli commessi.
Prendiamo atto e posso solo dire che, in memoria di Giuseppe Uva, se questo accadrà sarà un fallimento della giustizia italiana che ci obbligherà a rivolgerci alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo».
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