Il premio Nobel per l’Economia James J. Heckman, afferma che investire nell’infanzia può garantire elevati rientri economici ma l’Italia continua a tagliare le spese.
di Alessandra Contigiani
I bambini hanno il diritto di crescere ricevendo le dovute attenzioni; lo Stato se ne deve fare promotore e garante. Si tratta di una questione etica, senza dubbio. Ma non esclusivamente. Incrementare risorse economiche e temporali, qualitativamente valide, destinate ai bambini al di sotto dei cinque anni, farebbe letteralmente schizzare la crescita economica: per ogni euro speso dalle casse dello Stato ne rientrerebbero addirittura sette. Allora perché, in Italia, si continua a tagliare la spesa pubblica destinata ai minori?
Investire nella primissima infanzia (specie in quella considerata a rischio) garantisce maggiori rientri in termini di educazione, salute e produttività. Queste le conclusioni alle quali è giunto il Premio Nobel per l’Economia James J. Heckman, professore in Economia all’Università di Chicago ed esperto in Economia dello Sviluppo, insieme al proprio team composto da economisti, psicologi, sociologi, statistici e neuro-scienziati, provando come i più importanti benefici in termini di crescita e perequazione vengano prodotti investendo nei bimbi da zero a cinque anni.
Secondo la «Heckman Equation», infatti: Investire (nei nuclei familiari svantaggiati, in termini di sviluppo, educazione ed equità) + Sviluppare (le competenze cognitive e sociali dei bimbi zero-cinque) + Sostenere (i bambini attraverso un’effettiva genitorialità) = Guadagnare (in termini di forza lavoro, salute, minor criminalità, risparmio sociale). Recentemente, Heckman e il suo staff hanno persino dimostrato l’esistenza di una correlazione tra investimenti nella primissima infanzia e riduzione di alcune patologie che affliggono maggiormente la nostra società, con effetti positivi – ad esempio – sull’ipertensione (per chi volesse approfondire http://www.heckmanequation.org/)
In Europa, i paesi scandinavi, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, già da tempo, mettono in atto con successo politiche di questo tipo. E nella nostra Italia? Nell’Italia del «fiscal compact», tanto fidelizzata alla Troika da essere l’unico paese europeo ad aver introdotto il pareggio del bilancio in Costituzione, purtroppo si continua a tagliare la spesa pubblica, tra cui quella destinata a famiglie e bambini. Sì, proprio quella che, a detta di Heckman, produrrebbe i maggiori guadagni in termini economici e sociali.
Quando si tenta di quantificare l’investimento pubblico italiano diretto all’infanzia, s’incappa in una serie interminabile di difficoltà. Ad oggi, non esiste un monitoraggio a livello nazionale di tali risorse. Il quadro è frammentario e, pertanto, assolutamente inadatto alla realizzazione di politiche sul lungo periodo. Detto questo, tenendo in mente le conclusioni di Heckman, i dati a disposizione lasciano a dir poco perplessi.
Nel «Settimo Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2013-2014» realizzato dal Gruppo CRC, possiamo leggere che il Fondo Nazionale Infanzia negli ultimi sei anni è stato drasticamente ridotto (da 43,9 a 30,69 milioni di euro) e reso operativo unicamente per quindici città riservatarie. Il Fondo Servizi Prima Infanzia è stato azzerato l’anno scorso; quello stanziato per i Servizi Primavera nel 2013 è praticamente un terzo di quello del 2008.
Dal 2009 al 2014 il Fondo per le Politiche della Famiglia è passato da 186,61 a 20,9 milioni di euro, il Fondo Pari Opportunità da 40 a 21,4, il Fondo Politiche Giovanili da 79,8 a 16,7 (la Legge di Stabilità 2014 ha previsto ulteriori tagli nel periodo 2015-2016). Anche gli importi per il funzionamento dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza sono destinati a diminuire nel biennio che verrà.
E non è finita qui. Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS) nel 2011 ha perso la caratteristica strutturale, includendo quasi esclusivamente quote destinate a Regioni e Province Autonome gestite senza che siano stati ancora definiti i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LIVEAS) previsti dalla L. 328/2000. Come se non bastasse, l’importo del FNPS destinato ai minori è stato dimezzato negli ultimi 5 anni (da 518,23 a 258,26 milioni di euro).
Decentrare alle Regioni senza aver determinato i LIVEAS, nonché diminuire le risorse economiche destinate alle politiche sociali, sta di fatto portando a politiche minorili sempre più disconnesse e scadenti.
C’è di più. Nel 1997 l’Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, prevedendo un Piano Nazionale Infanzia (PNI) biennale attraverso cui rendere attuativi i contenuti della Convenzione stessa e dei Protocolli Opzionali. Negli ultimi diciassette anni, però, solo tre PNI sono stati approvati, e l’ultimo è del 2011. L’Italia, dunque, da ben tre anni consecutivi è senza PNI, lo strumento che dovrebbe garantire il rispetto della Convenzione ma che, dopo la modifica del Titolo V della Costituzione e il conseguente decentramento in materia, è stato privato di valenza coercitiva, divenendo poco più che un mero documento orientativo.
Le misure in controtendenza intraprese in questi anni (aumento detrazioni IRPEF per figli a carico, Nuova Social Card, progetto P.I.P.P.I.) sono scarse ed assolutamente insufficienti a garantire effetti positivi sul lungo periodo.
Decentramento improprio, interventi frammentari, politiche «di stabilità» che impongono pesanti tagli sulla spesa pubblica: ecco perché non ci sono le premesse politiche giuste per investire nell’infanzia, oggi, in Italia.
Caro professor Heckman, siamo desolati: il nostro non è un paese per bambini.