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Burocrazia, tasse e impresari, quant’è duro fare teatro

Fondare una propria compagnia teatrale è una delle cose più complicate e rischiose di questo Paese. Aiuti pubblici pochi e complicati da ricevere. Per fortuna ci sono le scuole.

di Claudia Romito

"Tu uomo! - gli infernali gironi del mondo del lavoro" spettacolo della compagnia Valdrada, al Volturno Occupato (nella foto Claudia Sorrentino e Tommaso Malato).
“Tu uomo! – gli infernali gironi del mondo del lavoro” spettacolo della compagnia Valdrada, al Volturno Occupato (nella foto Claudia Sorrentino e Tommaso Malato).

 

Dizione, matita nera sotto gli occhi, ma soprattutto tanta improvvisazione. Per scoprire come vive una giovane compagnia teatrale, è necessario fare un viaggio che inizia dietro le quinte e porta lontano, tra polvere del palcoscenico, impiegati comunali annoiati e tante scartoffie. «Il genio è per l’uno percento ispirazione e per il novantanove percento traspirazione», diceva Thomas Alva Edison. Questo è vero anche per il lavoro dell’attore, soprattutto quando all’attività scenica si sommano quella organizzativa e promozionale. Enpals, Siae, affitto della sala, comunicazione. Portare in scena uno spettacolo, per una compagnia indipendente, è una vera impresa.

I lavoratori dello spettacolo non fanno quasi mai un solo lavoro. Possono essere attori, cantanti, ma anche all’occorrenza tecnici, sarti e contabili. Chiara Becchimanzi, giovane attrice e regista romana, che nel 2010 ha avuto la folle idea di mettere su la compagnia Valdrada., racconta: «Fare teatro è un lavoro collettivo. Per noi è inconcepibile l’idea dell’attore che arriva, prova la sua parte e poi va a casa. Per noi è fondamentale il concetto di gruppo, sia in scena che fuori. Ognuno collabora, per quello che può e sa fare, anche alle scenografie, ai costumi e a instaurare contatti con i teatri. Ci piacciono anche gli spettacoli corali, anche se sono economicamente pressoché impossibili».

Ipotizziamo di avere uno spettacolo con dieci attori. Chiamiamo un teatro. Per l’affitto di una sala da cento posti le cifre si aggirano intorno ai trecento euro. I costi della Siae sono a carico della compagnia, così come il service tecnico, le locandine e la comunicazione. Poi va pagato anche l’Enpals. Considerando che, con le entrate, si dovrebbero pagare dieci attori, e almeno due tecnici, l’impresa risulta insostenibile. Per coprire le spese la compagnia dovrebbe decidere di far pagare il biglietto intorno ai cinquanta euro, un’ipotesi decisamente non percorribile.

Ingresso del Teatro del Lido di Ostia, dal 2013 entrato a far parte del sistema Casa dei teatri e della drammaturgia contemporanea.
Ingresso del Teatro del Lido di Ostia, dal 2013 entrato a far parte del sistema Casa dei teatri e della drammaturgia contemporanea.

Alcuni teatri funzionano un po’ come degli affitta camere, restii ad assumersi il minimo rischio d’impresa. Anche il “settanta trenta”, la proposta di molte sale di dividere la percentuale dell’incasso, finisce col tutelare esclusivamente i teatri, che si assicurano i loro guadagni con l’imposizione di un minimo garantito. In proporzione converrebbe quasi affittare il Circo Massimo, anche se forse potrebbe risultare un po’ eccessivo, per una giovane compagnia.

L’Enpals poi, spiega l’attrice e tesoriera del Teatro del Lido di Ostia Giulia Vanni, è concettualmente sbagliato: «È un’imposta a percentuale, quindi tutti la pagano uguale. Se io e Michelle Hunziker prendiamo mille euro per un ingaggio, l’Enpals ha lo stesso valore per entrambe».

Il circuito del teatro amatoriale, paradossalmente, offre maggiori possibilità, per le compagnie emergenti, di rientrare almeno dei costi. Ci sono festival che garantiscono un buon rimborso spese, vitto e alloggio pagato e a volte anche premi in denaro.

Un’alternativa sono le scuole. Gli spettacoli proposti ai ragazzi danno anche una grande soddisfazione, racconta Chiara Becchimanzi: «Sono un pubblico più schietto. Non devono far finta di apprezzare qualcosa per forza o storcere il naso se qualcuno gli ha detto di farlo. Durante le nostre lezioni-spettacolo lo diciamo sempre ai ragazzi. Se a teatro non si sentono coinvolti, la colpa è di chi sta sul palco, non la loro. Se gli viene proposta una pièce con un solo attore in scena, vestito di nero, che dondola recitando sottovoce versi in lituano e si sentono tagliati fuori dalla comunicazione, è normale, è lui che sta sbagliando qualcosa».

Il pubblico va conquistato, allettato, per vincere anche i pregiudizi che tengono molta gente lontana dalle sale. Altrimenti a teatro continueranno ad andarci solo gli addetti ai lavori e un po’ di signore impellicciate.

 

"Baccanti" spettacolo della compagnia teatrale Valdrada sulla terrazza del Teatro del Lido (nella foto Roberta Sciortino).
“Baccanti” spettacolo della compagnia teatrale Valdrada sulla terrazza del Teatro del Lido (nella foto Roberta Sciortino).

Secondo i dati Cresco, solo ventuno italiani su cento vanno a teatro almeno una volta all’anno. Percentuale inferiore a quelli che leggono almeno un libro (quarantatré per cento) o che vanno al cinema (cinquantotto per cento) e incomparabile con quelli che guardano la tv (novantaquattro per cento).

A rendere l’attività di spettacolo dal vivo complessa, per le piccole realtà, è anche l’assenza di spazi per provare. «Ci siamo appoggiati a spazi occupati, prima Casal de’ Merode, poi il Teatro del Lido di Ostia, che è stata un po’ la nostra casa, e al quale siamo legati anche adesso», racconta l’attrice e regista Chiara Becchimanzi, e prosegue: «Senza queste realtà sarebbe stato impossibile per noi andare oltre la prima produzione».

Vincere un bando pubblico è un’altra strada percorribile, non meno impervia rispetto all’affitto di una sala. «Abbiamo vinto un bando della provincia di Latina, e uno per il carnevale romano», racconta Chiara. Ma i soldi arrivano in ritardo, se arrivano, e ancora una volta le compagnie si trovano a dover anticipare in qualche maniera i soldi. Tra l’altro, come racconta Giulia Vanni, tra le spese ammissibili per i bandi comunali non rientrano i costi per l’occupazione del suolo pubblico, che risulterebbero una forma di autofinanziamento indiretto per il Comune. «Dato che il Comune non può far figurare che ti dà i soldi e poi te li richiede, ti dice che tutte le tasse non possono essere inserite nell’elenco delle spese che tu presenti per un progetto. Ma quelle tasse esistono, e tu le devi pagare. Anche la Siae rientra in questo discorso. In generale tutte le tasse, tranne quelle previdenziali, quelle ce le puoi mettere».

Un invito a trovare percorsi alternativi, escamotage, come quello di dichiarare di aver utilizzato tutte musiche di autori morti da almeno settanta anni o per meno di un numero ridottissimo di secondi. I requisiti per l’accesso ai finanziamenti sono spesso contorti, i moduli da compilare infiniti e il teatrante si trova avvolto in quella macchina burocratica che in Italia non risparmia nessuno.

Una vera battaglia, per il mondo dello spettacolo dal vivo, che da anni fa i conti con una legislazione inefficace, che non tiene conto dei reali bisogni di chi lavora nel settore. Per i giovani, poi, è ancora più complesso. In un Paese che considera visibilità e soddisfazione personale una forma accettabile di retribuzione, non ci si può stupire di fronte alla scarsità dei fondi destinati ad un mestiere che di passione e visibilità si nutre da sempre.

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