Le multinazionali della minerale si bevono le risorse idriche in cambio di pochi spiccioli alle Regioni. Poi i consumatori ricomprano la stessa acqua in bottiglia a un prezzo più alto.
di Massimo Lauria
L’acqua in bottiglia è un affare per pochi, «una vera e propria regalia di un bene pubblico che appartiene a tutti i cittadini». È la denuncia di Legambiente e Altraeconomia, che ancora una volta lanciano l’allarme sullo stato di salute del territorio, ma anche delle casse pubbliche. Le multinazionali della minerale – dice l’indagine annuale dell’associazione ambientalista – spillano milioni di litri d’acqua pubblica pagandola pochi spiccioli. Poi la imbottigliano, rivendendola ad un prezzo centinaia di volte più alto, facendola così pagare due volte al consumatore finale.
«All’industria delle acque minerali, in quasi tutte le Regioni italiane, vengono richiesti importi ridicoli, a volte addirittura stabiliti senza prendere in considerazione i volumi emunti o imbottigliati», dice il rapporto “Regioni imbottigliate”. Un giro d’affari – secondo i dati forniti da Legambiente e Altroconsumo – di 2 miliardi e 300 mila euro solo in Italia, «in mano a 156 società e 296 diversi marchi». In tutto 12 miliardi e 400 mila litri d’acqua emunti ogni anno dalle sorgenti italiane, pagati in media 1 euro ogni mille litri. Una cifra ridicola, rispetto agli utili che l’acqua in bottiglia riesce a generare.
Il punto, rileva l’indagine, è il mancato adeguamento dei canoni di imbottigliamento applicato dalle Regioni nei confronti delle società che producono l’acqua in bottiglia. Anche là dove si è rivista la normativa, molte giunte non hanno comunque applicato «i criteri dettati nel 2006 dalla Conferenza Stato-Regioni che, provando a mettere ordine nel settore, proponeva canoni uniformi e l’obbligo di pagare sia in funzione degli ettari in concessione sia per i volumi, indicando come cifre di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per metro cuboimbottigliato».
È il caso ad esempio della Puglia, dove l’amministrazione Vendola ha preferito non adeguare i canoni. O il Molise, la cui regolamentazione fa riferimento ad un Regio Decreto del 1927. Poi ci sono la Provincia autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Sardegna. Più apprezzabili invece l’Abruzzo, la Calabria, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte, le Marche, l’Umbria, la Valle d’Aosta, la Provincia autonoma di Trento, la Lombardia e il Veneto. Anche se quattro di queste – Piemonte, Abruzzo, Calabria e Veneto – «prevedono forti sconti sui canoni delle concessioni per i volumi imbottigliati se le aziende sottoscrivono con la Regione un protocollo di intesa recanti patti per la difesa dei livelli occupazionali».
Nella classifica delle regioni virtuose si trovano, invece, il Lazio e la Sicilia. Entrambe applicano una quota per gli ettari emunti, una per i volumi emunti e un’altra per quelli imbottigliati. Se vendita ai privati dev’essere, che sia almeno vantaggiosa per le casse pubbliche. Le tariffe del Lazio vanno dai 65 ai 130 euro per ettaro, 1 euro a metro cubo di acqua emunta e 2 euro al metro cubo per quella imbottigliata. Tariffe simili sono applicate anche dalla Sicilia, che passa da 10 euro ad ettaro (la tendenza nazionale) a 60-120 euro.
«Per soddisfare l’incomprensibile sete di acqua minerale degli italiani», dice Legambiente, vengono utilizzate circa 6 miliardi di bottiglie di plastica ogni anno. «Nel 2012 i consumi sono addirittura cresciuti rispetto all’anno precedente, passando a 192 litri d’acqua minerale per abitante». Un danno enorme all’ambiente e un regalo alle compagnie petrolifere, considerando che per produrle vengono immesse nell’atmosfera 1 milione e 200 mila tonnellate di CO2 e di 450.000 tonnellate di petrolio. Insomma, profitti enormi per le multinazionali che gestiscono il business, a cui le Regioni regalano l’acqua che i cittadini pagano prima come contribuenti e poi come consumatori di minerale.