«In carcere gli affetti e le relazioni, il rapporto stesso di un individuo con le persone amate, con la propria vitalità e con i desideri, viene sepolto».
di Marina Zenobio
«Nel nostro paese dicono che la persona umana conserva pienamente anche nella condizione di detenzione il suo diritto inalienabile alla manifestazione della propria personalità nell’affettività. Eppure io – condannato alla cosiddetta “Pena di Morte Viva” (L’ergastolo ostativo) – e la mia compagna, sono ventitré anni che sogniamo l’amore senza poterlo fare. Lei, anche dopo tanti anni, è ancora l’amore che avevo sempre atteso. Mi ricordo ancora le sue prime parole, i suoi primi sorrisi e i suoi primi baci. Da molti anni viviamo giorni smarriti, perduti e disperati.
Da tanti anni lei ama e si fa amare da un uomo senza più speranza e futuro. Da ventitré anni il suo amore mi da vita di giorno e di notte. Eppure da molti anni i suoi sorrisi sanno di tristezza, delusione e malinconia perché da tanti anni le mie mani non la accarezzano. Da ventitré anni penso a lei in ogni battito del mio cuore».
Così inizia la lettera/appello che Carmelo Musumeci, detenuto con condanna a vita presso il carcere di Padova, ha inviato al Ministro di Giustizia Andrea Orlando per chiedere che la politica si occupi di rendere l’Italia al passo coi tempi anche per quel che concerne i diritti dei detenuti all’affettività.
L’appello, ripreso da Antigone, riporta una mappatura di quanto accade in altri penitenziari europei, come in Croazia, dove i detenuti hanno diritto a colloqui non sorvegliati di quattro ore con il coniuge o partner (vale anche per le detenute ovviamente). In alcuni Lander della Germania hanno predisposto piccoli appartamenti dove i detenuti con lunghe pene sono incontrare i propri cari. In altri paesi, come Olanda, Norvegia e Danimarca all’interno delle carceri i detenuti hanno a disposizione miniappartamenti per passare qualche ora di intimità con chi amano. Persino in Albania sono previsti colloqui settimanali non sorvegliati. Anche in Québec, come nel resto del Canada, i detenuti incontrano i familiari nella più completa intimità. Sperimentazioni analoghe sono in corso anche in Francia, Belgio, Catalogna, Canton Ticino, e anche in alcuni Stati nordamericani i detenuti hanno la possibilità di coltivare i propri affetti.
In Italia non è possibile, anzi per il momento sembra impensabile considerate le condizioni di sovraffollamento e invivibilità delle italiche carceri. Eppure il problema dell’affettività negata ai detenuti e alle detenute, in particolare per coloro condannati a lunghe pene detentive, è altrettanto serio. «In carcere – scrive Carmelo Musumeci – gli affetti e le relazioni, il rapporto stesso di un individuo con le persone amate, con la propria vitalità e con i desideri, viene sepolto». Di fronte all’impossibilità di coltivare i sentimenti, se non in forme frammentarie ed episodiche (i colloqui, le lettere, le telefonate dalla sezione) spesso i detenuti e le detenute cancellano l’idea di potersi sentire ancora vivi e vive nel cuore mentre «il corpo viene abbandonato come un cadavere nel fiume, oppure, al contrario, imbalsamato nella cura ripetitiva degli esercizi in palestra, fino a raggiungere una forma perfetta quanto inservibile»
La lettera appello è diventa una petizione lanciata sulla piattaforma Change.org e sostenuta dall’associazione Antigone secondo cui all’interno della proposta di riforma del sistema penitenziario nel nostro paese, deve trovare uno spazio di dibattito anche il diritto all’affettività per i detenuti e per le detenute, perché «Il sesso è un diritto di tutti: poveri, ricchi, liberi e detenuti».