Nella centrale nucleare colpita da terremoto e tsunami nel 2011 continuano le infiltrazioni di radioattività che contaminano l’ambiente. La denuncia del professor Mycle Schneider.
di Marina Zenobio
Sono passati più di tre anni dal terremoto e il conseguente tsunami che causarono importanti danni a quattro reattori dell’impianto nucleare di Fukushima, in Giappone, ma le conseguenze della continua fuga di radioattività continuano a devastare l’ambiente. L’allerta arriva dal professore Mycle Schneider, nato a Colonia nel 1959, consulente indipendente in energia atomica premiato nel 1997 con il Right Livelihood Award (considerato il Nobel alternativo), per un suo studio sui rischi dell’uso del plutonio, poi insegnante nell’Università statunitense di Princeton. In una intervista rilasciata all’agenzia Ips, Schneider ha dichiarato che l’energia nucleare sta vivendo il suo declino. Forse anche grazie a Fukushima.
La situazione dell’uso commerciale dell’energia atomica è molto differente da quanto percepito dalle popolazioni. Secondo Schneider se si analizzano la quantità di reattori nucleari operativi nel mondo ci si rende conto che il massimo della produzione si è raggiunto nel 2002, e all’epoca c’erano 444 centrali elettronucleari in funzione contemporaneamente sul pianeta. Dodici anni dopo sono scese a 400. In Europa nel 1988 erano attivi 177 reattori, 25 anni dopo ne restano 131. E’ in base a questi dati che Schneider parla di declino nella produzione di energia atomica precisando che venti anni fa rappresentava il 17 per cento, ora si aggira intorno al 10 e la tendenza è quella di ridurre gli impianti in funzione.
Il disastro di Fukushima ha indubbiamente influenzato l’opinione pubblica mondiale ed è cresciuto il rifiuto verso questa fonte di energia, in Asia in particolare. Anche in Europa, commenta il professore, ma con delle diversità tra paesi. In Svizzera l’opposizione all’energia nucleare è stata consistente, in Gran Bretagna un po’ meno, la Germania già aveva una sua posizione ben precisa di contrarietà, ma è in paesi come la Cina e la Corea, molto vicine al Giappone, che l’opinione pubblica ha cominciato ad interrogarsi sull’uso dell’energia atomica. L’equazione secondo cui la produzione di energia nucleare rappresentasse un pericolo potenzialmente enorme ma con minime probabilità di incidenti, quindi con un rischio accettabile, è venuta meno. La gente si è resa conto che una bassa probabilità di incidenti non significa che non possano accadere, perché non esiste il rischio zero. E questo non vale solo per il nucleare.
Per Schneider infatti, la lezione importante che si deve trarre dal disastro di Fukushima è che, prima di ogni altra cosa, bisogna ridurre anche il rischio potenziale. L’energia contenuta negli enormi serbatoi di gas liquido, per esempio, è incredibile in termini di energia pura, può equivalere a due volte la bomba di Nagasaki. E molto poco probabile che esplodano, ma anche se il rischio fosse solo del 10 per cento, il danno che potrebbe causare supera ogni immaginazione. E il pianeta è pieno anche di queste bombe.
Rispetto a Fukushima Schneider riporta che il disastro continua, la gente crede, o forse vuol sperare, che sia passato, ma non è così. Ci sono continue infiltrazioni di radioattività che non si è riusciti a stabilizzare. Il problema maggiore, denuncia il professore, sta nella metodologia scelta dal governo giapponese e da Tepco (l’impresa che aveva in gestione l’impianto) che non sembra la più appropriata, la situazione è lontano dallo stabilizzarsi e la radioattività continua a contaminare l’ambiente, con una stima tre volte maggiore di quella rilasciata da Chernobyl nel 1986.