Nonostante gli annunci, la città vecchia non è stata mai risanata. Case abbandonate, crolli, criminalità. E poi c’è l’Ilva che ha portato via i pescatori, trasformandoli in operai.
di Marilda Tria
C’è un’isola che si affaccia su due mari. Le storie, i volti, i vicoli si interrompono nettamente solo attraversando due ponti. È Taranto Vecchia. Non è solo Taranto, ma è il centro storico della città, un altro mondo. La città vecchia si affaccia sul mar Piccolo e sul mar Grande e si colloca proprio al centro tra la città nuova, collegata dal ponte girevole, e dall’altra, invece, sempre per mezzo di un ponte, si divide con la zona Ilva, i quartieri Tamburi e Paolo VI. C’è una storia di distruzione, degrado e sporcizia su quell’isola, una storia che racchiude le storie di circa duemila persone che ancora resistono e hanno deciso di non abbandonare le loro case.
Sono passati più di ottant’anni da quando il regime fascista con la scusa di effettuare politiche di risanamento del centro storico, ordinò la demolizione del pittaggio Turipenne, un quartiere all’interno dell’isola. Fu quello il primo tentativo di privare la città vecchia del suo capitale umano e sociale “chiudendo” la gente nei nuovi quartieri ghetto. E da allora solo crolli, solo tante case, chiese e palazzi che si accartocciano su loro stessi, molti dei quali di proprietà del Comune.
Nel frattempo è arrivata anche l’Ilva a rovinare tutto. Fino ad allora la più grande aspirazione di un abitante di Taranto vecchia era avere una barca propria e gestire l’attività di pescatore, in particolare per l’allevamento e la pesca delle cozze, una delle tradizioni culinarie della zona. Poi l’Ilva si è presa i pescatori migliori e li ha trasformati in operai.
Da qualche anno le varie amministrazioni comunali hanno pubblicizzato politiche di risanamento della città vecchia, ma Taranto è stata anche famosa per i vari dissesti finanziari, per cui pochissimo è stato fatto per quella parte di storia che, ad effetto domino, si sta sgretolando. Non in ultimo il Comune ha speso quarantamila euro per celebrare il bicentenario dell’Arma dei Carabinieri posizionando una statua di un carabiniere proprio sul lato della marina, il lungomare di Taranto vecchia per riportare il senso dello Stato e della legalità tra i vicoli. Uno spreco non solo inutile per questo tempo, ma perché suona più come un dispetto se la collochi in una zona della città dove le ragazze a vent’anni sono già sposate con figli e dove il degrado sociale ed economico regna sovrano.
Ma per riportare la luce all’interno del borgo antico non bastano azioni di risanamento politico, c’è un senso di profonda ingiustizia quando si attraversano i vicoli, quando di sera molte strade si spengono, quando dal pomeriggio alla mattina successiva non c’è acqua corrente, quando la sporcizia la fa da padrona e i servizi normali di un paese civile non esistono, quando i palazzi nobiliari migliori vengono saccheggiati o occupati da gente senza casa. Tutto questo in un labile equilibrio tra legalità e illegalità, tra formale ed informale e quindi tutti sanno che la maggior parte dell’energia elettrica delle case del centro storico è presa dalla rete comunale, così come l’acqua, ma nessuno sa o meglio tutti fanno finta di non sapere. Anche perché puoi chiedere a cittadini di serie b di pagare dei servizi che non hanno?
I turisti non si addentrano tra i vicoli più belli, è meglio di no, spesso non sono graditi perché si avvicinano a zone rosse dove solo chi abita sa cosa si può fare e cosa no. Di notte si presiedono le zone e tossicodipendenti e ubriachi si appropriano di uno di centri storici più belli d’Italia.
Non sono chiari quali siano gli interessi su Taranto che al suo interno vive tre realtà diverse che molto probabilmente non si incontreranno mai: l’Ilva, la città vecchia e la zona dell’arsenale militare, un’altra città nella città, un muro oltre il quale c’è un mondo di servizi e capannoni abbandonati che però sfruttano il novanta per cento dell’affaccio sul mar Piccolo. Altri spazi che, se mai restituiti alla città, resteranno scheletri alla mercé di vandali.
Ma a Taranto le storie sono fatte dalle persone, da chi cerca ogni giorno di reagire a questo sfruttamento del territorio senza se e senza ma. Ci sono numerose strutture, anche della marina, occupate da giovani e adulti che vogliono una città migliore. È il caso delle “Officine Tarantine”, un grosso centro aggregativo al cui interno ci sono numerose attività, era l’ex teatro della marina militare, ora è per il Comune solo uno stabile occupato, ma quando è stato ordinato lo sgombro tutto il quartiere è sceso in piazza per difendere uno spazio di cui i cittadini si sono riappropriati. Alessandro Buffo, uno dei ragazzi che frequenta abitualmente la struttura, raccontando la sua esperienza dice: «Il contesto in cui viviamo ha fatto scatenare l’idea; non vogliamo lottare contro le istituzioni, ma vogliamo dialogare perché abbiamo bisogno anche di essere credibili. Spesso per la gestione di queste strutture ci sono problemi di sostenibilità economica, ma noi stiamo lavorando anche in questo senso, in fin dei conti io non pretendo molto, non mi interessa essere ricco, mi interessa solo stare con i miei amici, fare quello che mi piace e farlo a Taranto».
Anche nella città vecchia ci sono numerosi episodi di occupazioni, sia di case che poi sono state in seguito affidate agli occupanti, che di chiese. È il caso, per esempio, della chiesetta di Sant’Andrea degli Armeni, un gioiellino affidato ai residenti della piazza in cui la chiesetta si affaccia. I cittadini, grazie anche a Giovanni Berardi, guida turistica del luogo, se ne sono illegittimamente riappropriati, ma poi hanno lavorato, pulito e mantenuto aperto un bene che ora è fruibile a tutti e il Comune ha dovuto cedere, firmando un accordo con cui riconosce i residenti come custodi della chiesa.
Taranto, tristemente famosa per la questione Ilva, nasconde molo di più. Il territorio è sempre stato sfruttato ai danni della popolazione. Un’isola affascinate, stradine tortuose, viuzze mai baciate dal sole, strade sbarrate da muri che nascondono macerie e un progetto si rigenerazione urbana che prevede solo la speculazione edilizia.