Per mantenere un rapporto con i genitori devono oltrepassare le porte delle carceri italiane e affrontare condizioni disumane.
di Alessandra Contigiani
Qualche settimana fa abbiamo raccontato la drammatica storia di cinquanta bambini «prigionieri di Stato» (qui l’articolo), detenuti insieme alle madri nelle carceri italiane. Purtroppo i bimbi che ogni anno varcano le soglie dei nostri penitenziari per mantenere un rapporto con i genitori reclusi sono più numerosi: nientemeno che centomila. Centomila bambini che, pur non avendo commesso alcun reato, sono costretti a misurarsi con la dura realtà delle prigioni. Tutto questo avviene spesso oltre i limiti della legalità, in condizioni sconcertanti, soprattutto dal punto di vista psicologico, mettendo ulteriormente alla prova il fragile equilibrio di giovani menti già duramente colpite.
Come si evince dalla ricerca «Il carcere alla prova dei bambini: quando i bambini entrano in carcere a trovare il genitore» realizzata da Bambinisenzasbarre ONLUS in collaborazione con il Ministero di Giustizia, l’Università Bicocca di Milano e il coordinamento europeo dell’Istituto per i Diritti Umani di Copenhagen e riportata dal settimo rapporto CRC, il trattamento che spetta a questi poveri bambini una volta varcata la soglia del carcere è disumano. Il 76% dei penitenziari è privo di uno spazio di attesa destinato ai bimbi, il 64 % è sprovvisto di una stanza colloqui genitori-figli, l’84% non permette visite al di fuori dell’orario normale, il 51% non concede che venga consumato un pasto insieme, il 90% vieta visite domenicali ai parenti che svolgono attività lavorativa durante tutti i giorni feriali, l’86% non consente che i genitori ricevano telefonate dai propri piccoli.
Il 91% delle carceri, inoltre, è privo di personale formato ad hoc che, solo nel 21% dei casi, è a conoscenza della cosiddetta «Circolare del sorriso» del Ministero della Giustizia, relativa al «Trattamento penitenziario e genitorialità – percorso e permanenza in carcere facilitati per il bambino che deve incontrare il genitore detenuto». Nella Circolare, risalente al 2009, si «individua nei rapporti con la famiglia uno degli elementi in cui si sostanzia il trattamento rieducativo» e si rileva come «qualsiasi percorso trattamentale, se non vuole rischiare di essere un mera esercitazione burocratica, deve tenere in considerazione l’ambiente sociale di provenienza del condannato; ambiente nel quale quest’ultimo è destinato a fare rientro una volta espiata la pena».
L’interruzione o il deterioramento dei rapporti familiari porterebbe, infatti, ad «effetti desocializzanti assolutamente non auspicabili», con evidenti ripercussioni sul contesto in cui il condannato andrebbe a reinserirsi una volta espiata la pena. Non solo: con un carcere privo di umanità, che sanziona ma non rieduca, si offrirebbe un’immagine ancor più negativa dello Stato e delle sue istituzioni a persone che spesso vivono ai margini della nostra società e che sono facilmente esposte a recidive.
Gli effetti peggiori, come si può immaginare, riguardano la psiche dei bambini che, oltre al trauma di vedersi allontanare dal proprio genitore, subiscono il dramma di doverlo incontrare in luoghi non adatti, con modalità assolutamente improprie, accolti da personale non sufficientemente formato. Ciò contravviene alla Circolare ministeriale che, per attenuare il disagio dei bimbi e permettere ai genitori di mantenere con loro un rapporto che sia il più naturale possibile, prevede ad esempio la realizzazione di «sale colloquio a misura di bambino».
E pensare che si tratterebbe semplicemente di ricavare piccoli spazi affinché i bambini possano giocare, come tutti i coetanei, con la mamma o il papà. La Circolare disattesa parla, inoltre, della necessità di sensibilizzare il personale «preposto al rilascio dei colloqui e alle operazioni di controllo dei familiari che accedono all’istituto».
Accogliere i bimbi con un «sorriso», riconoscerne la fragilità e rispettarne il diritto inviolabile di vivere l’infanzia, a prescindere dagli errori dei genitori, non solo è segno di umanità e di civiltà, ma getta anche un ponte per il futuro. Un ponte affinché queste giovani generazioni non guardino con ostilità alle istituzioni in sé e riescano, un giorno, a edificare istituzioni e società che perseguano realmente il benessere del genere umano. Istituzioni e società affrancate da un sistema carcerario che sa tanto di gogna medievale.