La scrittrice israeliana: «Hamas sta distruggendo con crudeltà e paura quella tradizionale mentalità del doppiopesismo che Israele padroneggia da sempre». «Aprite la striscia di Gaza, lasciate che la gente torni al mondo. Scopriranno da soli che la vita è più bella della morte».
di Amira Hass, tratto dal quotidiano israeliano “Ha’aretz” (traduzione a cura di Martinochka, per comedonchisciotte)
Ho già alzato bandiera bianca. Ho smesso di cercare nel dizionario una parola per descrivere la testa amputata di un bambino tagliato a metà assieme alle urla del padre: «Svegliati, svegliati! Ti ho portato un giocattolo!». In che modo ha posto la questione Angela Merkel, cancelliera della grandiosa Germania? Con il diritto di Israele di potersi difendere.
Sto ancora lottando con l’esigenza di condividere dettagli sull’infinito numero di discorsi che ho fatto con i miei amici a Gaza, per poter documentare che cosa significhi l’attesa del tuo turno al mattatoio.
Per esempio, il discorso che ho avuto sabato mattina con J. del campo dei rifugiati di al-Bureji, mentre era in viaggio verso Dir al-Balah con sua moglie. Hanno all’incirca sessant’anni. Quella mattina la sua anziana madre aveva ricevuto una telefonata, e aveva ascoltato una voce registrata che dava istruzione ai residenti del campo di lasciare Dir al-Balah. Un libro sulla psicologia militare di Israele dovrebbe contenere un capitolo intero dedicato a questo sadismo, ipocritamente automascherato da compassione: un messaggio registrato che richiede a centinaia di migliaia di persone di lasciare le proprie case già prese di mira, per un altro posto ugualmente pericoloso, a dieci chilometri di distanza. Che cosa esattamente, ho chiesto a J., stai lasciando? «Cosa? Perché?», ha detto. «Abbiamo una capanna vicino alla spiaggia, con un po’ di terra e dei gatti. Andiamo a sfamare i gatti e torniamo indietro. Andiamo assieme. Se la macchina si dovesse rompere, moriremo assieme».
Se fossi una psicanalista, scriverei: A differenza dell’hasbara israeliana, Hamas non costringe gli abitanti di Gaza a rimanere o fuggire dalle loro case. È una decisione lasciata a loro. Dove potrebbero andare? «Se dobbiamo morire, è più dignitoso morire a casa, invece che scappando via», dice il completamente laico J.
Sono ancora convinta che una frase di questo genere valga mille analisi. Ma quando si parla di palestinesi, allora la maggior parte dei lettori preferisce i riassunti.
Sono stanca di mentire a me stessa. Come se potessi a distanza, telefonicamente, raccogliere le informazioni necessarie per documentare le stesse cose che i giornalisti accampati sul posto stanno documentando. Indipendentemente da ciò, queste sono informazioni importanti solamente per un piccolo gruppo di popolazione ebreofona. Queste persone cercano notizie sui canali di informazione esteri, o sui siti internet. Non dipendono da ciò che scriviamo qui, in ogni caso vengono a sapere delle vite spezzate di jihad (undici anni) e Wasim (otto) Shuhaibar, oppure del loro cugino Afnan (otto) che abitavano nel vicino distretto di Sabra a Gaza.
Come me, loro potrebbero leggere il reportage del giornalista canadese Jesse Rosenfeld del “Daily Beast”: «Issam Shuhaibar, il papà di Jihad e Wasim, stava appoggiato su una tomba accanto a dove erano stati sepolti i suoi figli, con gli occhi vuoti, e fissava il nulla. Al braccio portava una benda di ospedale applicata dopo aver donato il sangue per cercare di salvare la sua famiglia. Il sangue dei suoi bambini ancora gli ricopriva la camicia. Stavano dando da mangiare ai polli quando è esploso il proiettile. “Ho sentito un rumore forte sul tetto e sono andato a cercarli. Erano ridotti a semplice carne”, ha ansimato, prima di scoppiare in lacrime. Li abbiamo uccisi più o meno due ore e mezza dopo che si era conclusa la tregua umanitaria dello scorso giovedì. Due altri fratelli, Oudeh (di sedici anni) e Bassel (otto) sono stati feriti, Bassel in modo grave».
Il padre ha raccontato a Rosenfeld che c’era stato un missile di avvertimento. Prima dell’attacco avevano sentito il ronzio degli Uav [aeromobile a pilotaggio remoto, anche noto come “drone” ndt], del tipo che ti «bussa sul tetto». Quindi, ho poi chiesto a Rosenfeld «se il missile era uno della nostra schiera misericordiosa, di quelli che arrivano come un ammonimento, la casa è stata bombardata successivamente?». Per caso ho poi trovato la mia risposta in una cronaca della Cnn.
Le telecamere di sistema avevano ripreso l’esplosione avvenuta dopo l’avvertimento: urto, fuoco, fumo e polvere. Ma la casa bombardata non era quella degli Shuhaibar, ma un’altra. Ho ricontrollato con Rosenfeld e gli altri. Ciò che ha ucciso tre bambini non era un razzo palestinese fuori traiettoria. Era un missile di avvertimento israeliano. E Issam Shuhaibar stesso è un poliziotto palestinese sul libro paga dell’Autorità palestinese con sede a Ramallah.
Ho anche smesso di tentare di avere una risposta diretta dalle Forze di Difesa Israeliane. Avete per sbaglio avvertito la casa sbagliata, così da assassinare altri tre bambini? (degli ottantaquattro che sono stati uccisi solo domenica mattina). Sono stanca dei tentativi falliti di competere con l’abbondanza di commenti orchestrati sulle azioni e gli obiettivi di Hamas, da parte di persone che scrivono come se loro si fossero sedute al tavolo assieme a Mohammed Deif e Ismail Haniyeh, e non solamente una qualche fonte delle Forze di Difesa o della Shin Bet.
Chi ha rifiutato la proposta congiunta di Fatah e Yasser Arafat ha ora ottenuto come conseguenza Haniyeh, Hamas e Bds (il movimento globale per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele). Coloro che hanno trasformato Gaza in un campo di concentramento e punizione per un milione e ottocentomila esseri umani non dovrebbero essere stupiti di vederli scavare cunicoli sotterranei. Coloro che hanno seminato strangolamenti, assedio e isolamento, ora raccolgono razzi. Coloro che per quarantasette anni hanno varcato indiscriminatamente la Green Line, espropriando la terra e nuocendo costantemente ai civili con incursioni, sparatorie e insediamenti – che diritto hanno di alzare gli occhi al cielo e parlare del terrore adottato dalla Palestina contro i civili?
Hamas sta distruggendo con crudeltà e paura quella tradizionale mentalità del doppiopesismo che Israele padroneggia da sempre. Tutti quelli dotati di una brillante intelligenza e anche i cervelli dello Shin Bet non capiscono che abbiamo creato da soli la ricetta perfetta per la nostra personalissima versione della Somalia? Volete prevenire un’escalation? Questo è il momento: Aprite la striscia di Gaza, lasciate che la gente torni al mondo, alla Cisgiordania e alle proprie famiglie e alle famiglie in Israele. Lasciateli respirare, e scopriranno da soli che la vita è più bella della morte.
Amira Hass è una scrittrice e giornalista israeliana, conosciuta per i suoi articoli pubblicati sul quotidiano israeliano “Ha’aretz”. Figlia di due attivisti comunisti ebrei, sopravvissuti all’Olocausto. Attualmente è l’unica corrispondente israeliana dai territori occupati. La Hass ha ricevuto il “Press Freedom Hero award” dall’International Press Institute; il “Bruno Kreisky Human Rights Award”, la “Colomba d’Oro per la pace”, il “Premio Unesco/Guillermo Cano per la libertà di stampa nel mondo” e il premio dell'”Anna Lindh Memorial Fund”.