Alcuni migliaia di jihadisti finanziati e armati dall’Arabia Saudita combattono da quindici anni tra le montagne del Caucaso. Poi ci sono le bombe a Mosca, e perfino alla maratona di Boston.
di Franco Fracassi
Si trova accanto alla Cecenia, ma non è la Cecenia. Come la Cecenia, però, è stato travolto da una guerra etnica, religiosa e anche economica. Poco meno di tre milioni di abitanti concentrati sulle rive del mar Caspio, il Daghestan è una Repubblica autonoma della Federazione russa ricca di gas e di petrolio. È anche la regione scelta come rifugio e base di molti dei più efferati commando jihadisti che hanno combattuto in Cecenia. Per questo motivo, il Daghestan dal 1999 è vittima di una guerra a bassa intensità tra jihadisti e truppe russe. Non si combatte tutti i giorni. Mensilmente ci sono attentati, raid di guerriglieri e azioni militari da parte dei russi. Dodicimila molti in quindici anni. La maggior parte di loro erano civili.
Mosca ha militarizzato la Repubblica, inviando un’armata di sessantamila uomini. L’Arabia Saudita ha armato e finanziato un piccolo esercito di estremisti islamici (molti dei quali sauditi) addestrato alla guerriglia urbana e agli agguati sulle montagne.
I media russi tendono a ignorare il conflitto (al presidente Vladimir Putin piace dire di governare un Paese in pace), quelli occidentali non ne parlano perché avviene in una terra lontana e sconosciuta.
Di tanto in tanto capita che salta in aria la metro di Mosca o un palazzo nel Caucaso. Oppure accade che due ragazzi daghestani facciano un attentato alla maratona di Boston (tre morti) o che un leader nazista ucraino che aveva combattuto in un commando jihadista in Daghestan si faccia scannare nel centro di Kiev. Allora i media raccontano che in Daghestan c’è un conflitto in corso. Daghestan chi?