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HomecultureGreenwald: Netanyahu quando parla è più vergognoso di quando uccide

Greenwald: Netanyahu quando parla è più vergognoso di quando uccide

Il giornalista che ha fatto scoppiare lo scandalo del Datagate attacca il premier israeliano, accusandolo di usare le stesse argomentazioni del ministro della propaganda di Hitler Joseph Goebbels.

 

di Gleen Greenwald (Traduzione per Comedonchisciotte a cura di Misha di Teatro nel Bicchiere)

Così Benjamin Netanyahu alla Cnn sull’opinione pubblica internazionale che condanna le vittime civili della violenza israeliana su Gaza: «Vogliono ammassare davanti alle telecamere quanti più corpi possibili. Usano telegenicamente i palestinesi morti per i propri scopi. Più sono e meglio è». Joseph Goebbels in un articolo del 16 Novembre 1941, in “Das Reich”, riguardo alla simpatia dell’opinione pubblica tedesca per gli ebrei costretti ad indossare la stella gialla sugli abiti: «Gli ebrei gradualmente hanno capito che possono contare solo su loro stessi, e recentemente hanno elaborato un nuovo stratagemma. Conoscevano bene la nostra anima da “buon samaritano”, sempre pronta a versare lacrime per le ingiustizie. Così uno ha l’impressione che la popolazione ebrea di Berlino sia solo fatta di bambini e di fragili donnine anziane la cui impotenza dovrebbe farci commuovere. Gli ebrei mandano avanti i più deboli. Possono confondere alcune anime semplici per un po’, ma non noi. Noi sappiamo benissimo come stanno le cose».

 

Piuttosto che infarcire il discorso con numerose e doverosissime precisazioni su cosa è e non è stato detto (tenendo conto che ogni evento è accompagnato del costante lavoro dei mistificatori di verità), sottolineerò semplicemente tre brevi punti:

1) nella comparazione tra A e B non bisogna postulare che A e B sono uguali (per esempio dire che le Bermuda e la Bosnia hanno in comune la lettera iniziale non significa dire che sono la stessa cosa; allo stesso modo sottolineare che gli Usa nel 2003 e la Germania nel 1938 hanno commesso atti di guerra in violazione diretta di quello che sarebbero poi divenuti i “Principi di Norimberga” non significa metterle sullo stesso piano);

2) in generale, l’universalità della retorica di guerra è un fattore importantissimo per valutare il merito delle affermazioni usate per giustificare il militarismo (come quella per cui una guerra diviene un semplice “intervento umanitario” e che è stata invocata più e più volte per giustificare le aggressioni più plateali). Allo stesso modo la nozione per cui nessuno possa citare certi eventi storici per trarne esempi da utilizzare per le guerre attuali è tanto pericolosa quanto anti-intellettuale;

3) da lungo tempo la legge anglo-americana riconosce un comportamento sconsiderato come un atto colposo (l’intento fraudolento viene mostrato anche se una descrizione è fatta con spericolata indifferenza riguardo la sua verità o meno). Per questo il comportamento incauto, anche se non accompagnato dalla volontà di uccidere – per esempio sparare a casaccio in mezzo alla folla – è da sempre visto come sufficiente per descrivere un intento criminale.

Il ministro per la Propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels.
Il ministro per la Propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels.

Si potrebbero dire molte cose riguardo un’operazione militare che finora ha un tasso del settantacinque per cento di vittime civili, molti di loro bambini, con una una popolazione intrappolata in un’ aerea ristretta e senza vie di fuga.

 

Qui la giustificazione è che non c’è intento di uccidere la popolazione, quanto quello di proteggerla. Anche il più convinto sostenitore di Israele, Thomas Friedman, ha riconosciuto che gli attacchi di Israele sul Libano e contro Gaza hanno «l’obbiettivo di infliggere danni sostanziali alle infrastrutture e a mietere vittime collaterali», perché «l’unico valido deterrente di lungo termine è quello di recare dolore alla popolazione civile», che per esteso è la definizione classica di terrorismo. L’affermazione più generosa che si possa fare è dire che l’azione di Israele è guidata senza tenere conto delle vittime civili, da una forma di “azione colposa” come definita da secoli dalla dottrina e dalla giurisprudenza occidentali.

 

Il giornalismo è frequentemente criticato (molte volte con ragione), ma c’è un numero di giornalisti americani a Gaza che insieme ad altri stanno raccontando al mondo quello che sta succedendo. Questo lavoro è estremamente difficile e pericoloso: quelli che lo stanno facendo meritano tutto il nostro rispetto. Il loro sforzo, assieme ai social media e alle nuove tecnologie che permettono ai cittadini di Gaza stessi di documentare gli avvenimenti, questa volta ha cambiato il modo in cui l’aggressione militare contro Gaza viene vista e percepita dall’opinione pubblica.

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