Mentre si fa la conta dei femminicidi – 153 in un anno secondo il Viminale -, il governo Renzi emana un decreto che annulla le misure cautelari per gli stalker, e non solo.
di Marina Zenobio
Alla conferenza stampa di Ferragosto il Ministero dell’Interno ha presentato i dati di un anno di attività, dal 1 agosto 2013 al 31 luglio 2014. E’ saltato subito all’occhio che non sono stati citati i dati relativi ai cosiddetti reati predatori, cioè furti, scippi e rapite che pur si percepiscono in aumento, probabilmente anche come conseguenza della grave crisi economica. Vien da pensare che il Viminale abbia preferito non parlarne per non confermare l’incremento del fenomeno.
Tra i dati riportati però restano critici quelli che riguardano la violenza contro le donne. Per quanto riguarda i femminicidi, dei 446 omicidi complessivi, 153 hanno avuto come palcoscenico la tanto santificata famiglia, e vittime delle donne, 82 uccise dal partner, 9 dall’ex partner e 62 da un altro familiare. 10.703 le denunce per stalking, e in tre casi su quattro lo stalker è un uomo.
Le donne aspettano risposte, risposte efficaci che, al di là degli intenti, non sembrano arrivare. Anzi, per quanto riguarda il reato di stalking, che in genere precede ogni femminicidio, c’è stata una giravolta clamorosa il mese scorso, con l’entrata in vigore di un decreto legge (n.92 del 26/06/14) che eviterà l’arresto, la detenzione in carcere o ai domiciliari per gli autori di maltrattamenti familiari e di stalking. La norma sarà estesa automaticamente ai pluri-recidivi e a tutti quelli a rischio di reiterazione del reato senza alcuna valutazione del tribunale di sorveglianza. Insomma sarà applicabile anche alle situazioni con maggior pericolosità. Per dirla tutta, la custodia cautelare non è più prevista neanche per le piccole rapine ma, udite udite, neanche per i reati di corruzione o illecito finanziamento ai partiti.
C’è da ricordare che solo nella prima metà di agosto in Italia si sono consumati 4 femminicidi, che aggiunti ai dati del Viminale diventano 157. Molte donne vittime di femminicidio prima del tragico evento avevano denunciato le persecuzioni degli ex compagni che non volevano accettare la separazione, ma a che serve denunciare se poi questi uomini possono raggiungerle ovunque?
Così un’altra beffa si aggiunge alle precedenti. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la ripartizione dei finanziamenti, per assistenza e prevenzione alla violenza di genere, affidata alle Regioni e che con buone probabilità andrà a penalizzare proprio quei centri antiviolenza da decenni attivi su tutto il territorio nazionale perché, come dichiarato anche dall’avvocato Titti Carrano, presidente dell’Associazione Di.Re, Donne in rete contro la violenza “La distribuzione dei fondi non è chiara e temiamo che saranno distribuiti con criteri ‘politici’ disperdendo le già scarse risorse messe in campo.”
L’anno scorso, durante il governo Letta, c’era stata poi l’emanazione del decreto 93/2013 sul femminicidio, una legge che non è piaciuta alla maggior parte delle associazioni femminili e dei centri antiviolenza perché «non organica, non strutturale e non strutturata per affrontare tutti gli aspetti del fenomeno, e non prevede un adeguato sostegno ai diversi centri antiviolenza» oltre ad obbligare le donne alla denuncia diretta, senza che però la legge possa garantire loro adeguate misure di sicurezza una volta denunciato il partner violento. Soprattutto dopo quest’ultimo decreto del Governo Renzi, che mina le misure cautelari a tutela delle vittime di violenza.