A Fallujah, bombardata col fosforo nel 2004, più bambini nati morti con arti deformi che in tutta l’Europa. Nessun centro di ricerca osa uno studio che colleghi quei bambini alla guerra
di Robert Fisk
Le foto scorrono sullo schermo, in un piano alto del Fallujah General Hospital. E, di colpo, l’ufficio amministrativo di Nadhem Shokr al-Hadidi si trasforma in una piccola camera degli orrori. Un neonato con una bocca terribilmente deformata. Un altro con una malformazione del midollo spinale, con materia midollare che fuoriesce dal corpicino. Un neonato con uno spaventoso, enorme occhio da ciclope. Un altro neonato, con solo mezza testa, nato morto come i precedenti, data di nascita 17 giugno 2009. Un’altra foto passa sullo schermo: data di nascita 6 luglio 2009, mostra un minuscolo neonato con solamente un mozzicone del braccio destro, del tutto privo della gamba sinistra e senza genitali.
«Assistiamo continuamente a scene del genere», dice Al-Hadidi, quando un medico donna entra nella stanza e volge lo sguardo verso lo schermo. Ha fatto nascere alcuni di questi bambini nati morti. «In tutta la mia carriera, non ho mai visto niente di così raccapricciante», dice tranquillamente. Al-Hadidi risponde al telefono, accoglie i visitatori nel suo ufficio, ci offre del tè con i biscotti mentre queste immagini da brivido si materializzano sullo schermo. Ho chiesto di poter vedere queste fotografie per assicurarmi che i bambini nati morti, con le loro deformità, fossero reali. C’è sempre un lettore o uno spettatore che, sottovoce, grida alla propaganda.
Ma le fotografie rappresentano una schiacciante, orribile ricompensa a tali dubbi. 7 gennaio 2010: un bambino con la pelle sbiadita, giallognola e le braccia deformi. 26 aprile 2010: una massa grigia su un lato della testa del bambino. Un dottore accanto a me parla di “Tetralogia di Fallot”, un difetto del setto interventricolare. 3 maggio 2010: una creatura dall’aspetto di una rana in cui – commenta il medico appena entrato nella stanza – «è come se tutti gli organi addominali cercassero di uscire dal corpo».
È troppo. Le fotografie sono eccessivamente crude; incarnano un dolore e una angoscia che ne rende la visione, per lo meno ai poveri genitori, impossibile. In poche parole, non possono essere pubblicate.
L’atteggiamento dei medici di Falluja è molto pratico. Sono consapevoli che la loro tragedia non ci è ignota. Infatti, le deformità dei bambini di Fallujah non rappresentano una novità. Già altri corrispondenti – tra cui il mio collega Patrick Cockburn – hanno visitato Falluja per denunciare quel che sta accadendo. Quel che è veramente vergognoso è che queste deformità si ripetono senza alcun tipo di monitoraggio o controllo. Un medico di Fallujah, una ostetrica formatasi nel Regno Unito, dove ha acquistato a sue spese uno scanner da settantanovemila sterline per la rilevazione prenatale delle anomalie congenite destinato alla sua clinica privata, e che è rientrata a Fallujah solo cinque mesi fa, mi dice il suo nome e mi domanda perché il ministero della Salute a Baghdad non promuova una approfondita indagine ufficiale sui bambini deformi di Fallujah. «Sono andata ad incontrare il ministro. Diceva che avrebbe creato un comitato. Sono andata ad incontrare il comitato. Non hanno fatto nulla. Non sono riuscita ad ottenere alcun tipo di risposta». Più tardi, ventiquattro ore dopo, la stessa donna inviava un messaggio a un mio amico, un altro medico iracheno, in cui mi chiedeva di voler restare anonima.
Nonostante il numero di bambini nati morti di Fallujah sia altissimo, il personale medico presso il Policlinico di Fallujah dimostra la propria onestà invitando ripetutamente a non formulare conclusioni avventate.
«Ho fatto nascere io quel bambino», dice l’ostetrica mentre l’ennesima immagine raccapricciante viene proiettata sullo schermo. «Non credo che questo abbia qualcosa a che vedere con le armi americane . I genitori erano parenti stretti. I matrimoni tribali qui in Iraq coinvolgono parecchie famiglie che hanno tra loro legami di sangue. Bisogna riconoscere che se una madre partorisce in casa un neonato nato morto a causa di simili malformazioni, l’evento non ci viene affatto segnalato, ed il bambino verrà sepolto senza che se ne sappia nulla».
Le fotografie proseguono sullo schermo. 19 gennaio 2010: un bambino con arti minuscoli, nato morto. Un bambino nato il 30 gennaio 2010, con labbro leporino e palatoschisi, ancora in vita , un buco nel cuore, un difetto facciale, che necessitava di cure ecocardiografiche. «Il labbro leporino e la palatoschisi sono anomalie congenite abbastanza comuni», dice tranquillamente la dottoressa Samira Allani. «Ma è l’aumento della frequenza che è allarmante». La dottoressa Allani cita una ricerca su «l’aumento della diffusione delle deformazioni alla nascita» a Fallujah, uno studio su quattro padri di famiglia «con due sole linee di discendenza». I difetti cardiaci congeniti, dice il documento, hanno raggiunto «cifre senza precedenti» nel 2010.
Le cifre continuano a crescere. Proprio mentre stiamo parlando, un infermiere viene a chiamare la dott.ssa Allani. Immediatamente andiamo nella sala parto dell’ospedale; ci mostra il corpicino di un bambino, dentro un’incubatrice, nato appena da ventiquattro giorni. Zeid Mohamed è ancora troppo giovane per sorridere; dorme sotto lo sguardo della madre, al di là del vetro. La madre ha acconsentito affinchè io potessi vedere il suo bambino. Suo padre è una guardia di sicurezza, la coppia si è sposata tre anni fa. Nelle loro famiglie di provenienza, non vi è mai stato alcun caso di deformazione alla nascita. Ma Zeid ha solo quattro dita su ciascuna delle sue manine.
Negli archivi informatici della dottoressa Allani si trova circa un centinaio di Zeids. Chiede a un altro medico di convocare alcuni genitori. Saranno disposti a parlare con un giornalista? «Vogliono sapere cosa è successo ai loro figli. Meritano una risposta». Ha ragione. Ma né le autorità irachene, né gli americani, né gli inglesi – marginalmente coinvolti nella seconda battaglia di Fallujah, in cui hanno perso quattro uomini – né alcuna delle più importanti ong, appaiono disposti ad aiutare, o in grado di farlo.
Quando i medici cercano di ottenere dei finanziamenti la ricerca, capita che a volte si rivolgono a organizzazioni che hanno un preciso orientamento politico. Lo studio della dottoressa Allani, ad esempio, ha ricevuto finanziamenti dal Kuala Lumpur Foundation to Criminalise War (Fondazione malese per mettere al bando la guerra), un’entità che in maniera appena marginale si oppone all’uso di armi da guerra statunitensi a Fallujah. Anche questo, temo, è parte della tragedia di Fallujah.
L’ostetrica che mi ha chiesto di restare anonima parla sconsolata della mancanza di attrezzature e di formazione. «Difetti cromosomici, come la sindrome di Down, non possono essere corretti in uno stadio prenatale. Ma siamo in grado di trattare un’infezione fetale, e possiamo correggerla grazie al semplice prelievo di un campione di sangue del bambino e della madre. Ma nessun laboratorio qui a Fallujah possiede le apparecchiature adatte. Una semplice trasfusione di sangue è ciò che serve a prevenire il verificarsi dell’infezione. Certo, ciò non risponderebbe ancora alle nostre domande: perché l’incremento degli aborti, perché l’aumento dei bambini nati morti, perché l’aumento delle nascite premature?».
Il dottor Chris Busby, professore esterno proveniente dall’Università dell’Ulster, che ha esaminato circa cinquemila persone a Fallujah, confessa che è impossibile precisare la causa dei difetti alla nascita, così come quella dei tumori. «Alcune forti esposizioni ad agenti mutageni sono sicuramente avvenute nel 2004, quando si avvennero i bombardamenti», ha scritto due anni fa. Il report del dottor Busby, redatto in collaborazione con Malak Hamdan ed Entesar Ariabi, afferma che la mortalità infantile a Falluja è pari a ottanta su ogni mille nati, rispetto ai diciannove in Egitto, diciassette in Giordania e solo 9,7 in Kuwait. Un altro dei medici di Fallujah mi dice che l’unico contributo che hanno ricevuto dal Regno Unito proviene dal dottor Kypros Nicolaides, primario in medicina fetale presso il King’s College Hospital. Dirige un ente di beneficenza, la Foetal Medicine Foundation (Fondazione per la medicina fetale), che ha già formato uno dei medici di Fallujah. Lo contatto. È carico di rabbia.
«A mio avviso, l’aspetto da incriminare maggiormente di tutto questo è che, durante la guerra, né il governo inglese né quello americano son stati capaci di recarsi da Woolworths (il centro commerciale) ad acquistare dei computer con cui poter documentare le morti in Iraq. Esiste una pubblicazione Lancet in cui si stima che il numero dei morti durante la guerra si aggiri intorno ai seicentomila. Eppure le potenze occupanti (Usa e Regno Unito) non hanno avuto la decenza di dotarsi di un computer del valore di anche solo cinquecento sterline in modo da dire «questo corpo ci è stato portato oggi e questo era il suo nome. Ora sapete che esiste un Paese arabo che ha un numero di malformazioni o tumori maggiore di quello dell’Europa intera e avete bisogno di un adeguato studio epidemiologico. Sono sicuro che queste deformazioni sono in relazione con l’uso di armi da parte dei soldati americani. Ma ora abbiamo un Dio sa quale governo in Iraq e non disponiamo di alcuno studio epidemiologico. Chiudere gli occhi è molto facile per chiunque, tranne che per qualche professore pazzoide e sensibile come me che, da Londra, cerca di fare qualcosa».
Nell’ufficio di al-Hadidi, le fotografie vanno al di là delle parole. Come si può anche solo immaginare di descrivere un bambino nato morto, con una sola gamba e la testa che misura quattro volte la taglia del suo corpicino?
(traduzione di Robich, per Comedonchisciotte)
Stavo pensando: “CHISSA’ COSA AVREBBE POTUTO RACCONTARCI ENZO BALDONI DA FALLUJA”. Se non fosse stato misteriosamente rapito da…?
https://www.popoffquotidiano.it/2014/08/27/fisk-vi-racconto-dellospedale-degli-orrori-di-fallujah/
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