Finalmente il progetto di maternità di una coppia lesbica si è realizzato anche da un punto di vista legale, garantendo alla minore una vasta gamma di diritti. Ma non si può andare avanti a colpi di singole sentenze.
di Marina Zenobio
Con una sentenza storica per l’Italia, il Tribunale dei minori di Roma ha dichiarato che una bambina che vive insieme a una coppia di donne lesbiche può essere adottata dalla compagna della madre non biologica. La piccola, infatti, che ha 5 anni, è figlia biologica di una sola delle due conviventi che vivono a Roma dal 2003. Si erano sposate all’estero, e sempre all’estero una delle due si era sottoposta alla procreazione assistita eterologa per realizzare un progetto di genitorialità condivisa. E finalmente il loro progetto si è realizzato anche da un punto di vista legale, garantendo alla minore una vasta gamma di diritti.
A dare la notizia è stata l’avvocata Maria Antonia Pili, legale della coppia e presidente di Aiaf Friuli, l’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, che ha presentato il ricorso della mamma non biologica della bambina per ottenerne l’adozione. E il tribunale dei minori di Roma ha accettato il ricorso che sicuramente ha sdoganato un tema, come quello dello “stepchild adoption” (già consentito in altri paesi) molto sentito tra le “famiglie arcobaleno”, e non solo.
Il ricorso è stato accolto sulla base dell’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, modificata con la legge 149 del 2001, il quale contempla l’adozione in casi particolari, ovvero: “Nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore ‘sociale’ quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo, a maggior ragione se nell’ambito di un nucleo familiare e indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori”. La norma in questione infatti non contiene alcuna discriminazione fra coppie conviventi siano esse eterosessuali o omosessuali.
Il Tribunale per i Minorenni di Roma, secondo l’avvocata Pili, «ha correttamente interpretato la norma di apertura» già contenuta nella legge sull’adozione. Non si è trattato dunque, come argomenta sul punto la sentenza, di concedere un diritto ex novo, ovvero di creare una situazione prima inesistente, ma di garantire nell’interesse di una minore la copertura giuridica a una situazione di fatto già consolidata, riconoscendo così diritti e tutela ai quei cambiamenti sociali e di costume che il legislatore ancora fatica a considerare, nonostante le sempre più diffuse e pressanti rivendicazioni dei moltissimi soggetti interessati.
E’ arrivato il momento di andare oltre, e chiamare il legislatore a legiferare in materia di “stepchild adoption”, perché non si può andare avanti a colpi di singole sentenze.