400 ettari di terre tra Betlemme e Hebron dichiarate “aree demaniali” da Tel Aviv per espandere la colonia di Gvaot, illegale secondo il diritto internazionale.
di Marina Zenobio
Dopo l’operazione militare israeliana che ha distrutto Gaza e provocato oltre 2000 morti, Israele riprende l’operazione di colonizzazione della Cisgiordania accingendosi a proclamare “aree demaniali” 400 ettari di terre tra Betlemme e Hebron per espandere la colonia di Gvaot.
Come se non bastasse il massacro di Gaza, Tel Aviv considera l’azione come rappresaglia per l’uccisione, lo scorso giugno, di tre giovani ebrei in Cisgiordania; ma non è mistero per nessuno che è anche un modo per rispondere alla critiche dell’opinione pubblica israeliana sulla conduzione dell’operazione Margini protetti. Ovviamente a spese dei palestinesi.
E’ la più ampia confisca di terre in Cisgiordania effettuata in una sola volta negli ultimi trent’anni, riportava l’edizione di ieri del quotidiano Yediot Aharanot; una decisione presa dopo che il governo di Tel Aviv ha informato che, secondo la sua opinione, non può esistere reclamo di proprietà da parte palestinese su quelle terre, anche se la legge prevede 45 giorni di tempo per presentare eventuali contestazioni.
La decisione è stata duramente criticata da alcune organizzazioni non governative israeliane e da Shalom Akhshav o Peace Now, movimento pacifista e contro l’occupazione, secondo cui continuare con la colonizzazione significa mettere un nuovo ostacolo davanti una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese. “ Questo è un messaggio per i palestinesi a dimostrazione che mentre da una parte Israele negozia con il movimento islamico Hamas, dall’altra distrugge qualsiasi opzione per raggiungere un reale accordo con i moderati” ha affermato il portavoce dell’organizzazione, Yariv Oppenheimer, aggiungendo che: “E’ una pugnalata alle spalle di Mahmud Abbas (presidente dell’Anp)”.
La zona dichiarata demaniale, conosciuta come colonia di Gvaot (collina), finora era considerata un quartiere della colonia Alon Shvut, illegale secondo il diritto internazionale e, fino a ieri, neanche riconosciuta da Israele perché costruita senza permesso statale. A luglio, poco prima dell’inizio dei bombardamenti su Gaza, i coloni erano tornati a chiederne il conoscimento come rappresaglia per il rapimento e l’uccisione di tre studenti ebrei da parte di una cellula palestinese armata, risultata poi affiliata a Hamas.
Yigal Dilmoni, leader del gruppo di coloni “Consiglio Yesha” difende il furto di terre palestinesi in quanto: “sono la risposta sionista appropriata agli attacchi terroristi in Israele”, mentre Ofir Akunis, uno dei principali consiglieri del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha assicurato che Israele non rinuncerà mai al suo progetto di colonizzare la Cisgiordania perché, secondo la sua opinione, qualsiasi ritirata equivarrebbe ad un “suicidio nazionale”.
Intanto i palestinesi preparazione l’ennesima petizione da presentare all’Onu affinché decida una data per la fine dell’occupazione israeliana e che dichiari lo Stato di Palestina entro le frontiere del 1967.