Chi controllerà come saranno spesi i soldi che arriveranno alle Prefetture per l’emergenza immigrazione? Luci e ombre nel decreto legge sul diritto di asilo
di Stefano Galieni
Ci sono luci ed ombre nel recente decreto legge emanato per far fronte ai deficit italiani in materia di diritto di asilo. Chiedere protezione internazionale da noi rappresenta da sempre un enorme ostacolo per i profughi e un grande business per chi si occupa della prima accoglienza. Ormai l’Italia, anche a causa della lunghezza dei tempi di valutazione delle richieste di asilo, dell’inadeguatezza strutturale dei sistemi di accoglienza e dell’assenza di progetti efficaci di inclusione sociale e lavorativa, è divenuta quasi unicamente paese di transito per andare verso altre destinazioni europee. E se ad oggi solo in Sicilia sono presenti oltre 15 mila persone in fuga, queste in gran parte non intendono fermarsi, attendere in strutture fatiscenti, scuole, palestre, ex ospedali e quant’altro di restare parcheggiati avendo poi come prospettiva l’assenza di futuro. Il Regolamento di Dublino, che disciplina in maniera egoistica il diritto di asilo, costringe la quasi totalità dei profughi, anche i soggetti più vulnerabili come donne e minori, a restare nel primo paese U.E. in cui si è approdati per fare la propria trafila. Vengono ancora definiti in gergo “dublinanti” coloro che sorpresi in un altro paese dopo essere passati in un altro Stato membro, vengono rispediti come pacchi nel primo. Una situazione che va avanti da tanti anni e a cui si è sempre risposto con misure di carattere emergenziale. Anche quando gli arrivi nei porti di Lampedusa e della Sicilia erano di poche migliaia di persone l’anno si parlava di “allarme”, l’immagine simbolo dell’immigrato era quella della persona sofferente in un barcone quando ad arrivare con quei mezzi era meno del 7% dei cittadini stranieri. Ci sono state varie fasi di carattere emergenziale che hanno costretto a rivedere le norme contenute nel decreto legge 25 del gennaio 2008 con cui si intervenne in materia. Un sistema che non essendo dotato di gambe proprie e non potendo contare su una legge organica sul diritto di asilo – e forse è anche meglio visto la misera cattiveria dei governi che si sono succeduti dal 2008 in poi – non ha mai funzionato. Nel 2011 quella che venne ribattezzata ENA (Emergenza Nord Africa) durante le “Primavere arabe” e che portò in Italia circa 62 mila persone venne affrontata appaltando la gestione dei profughi ad un Commissario straordinario, dotato di ampi poteri, e alla protezione civile. Vennero prodotti permessi temporanei di soggiorno di protezione umanitaria con cui molti cittadini, soprattutto giovani tunisini ed egiziani, provarono ad oltrepassare la frontiera, diretti verso Francia, Svizzera e Germania. Furono allestiti campi enormi come a Manduria in Puglia, centri dalla dubbia natura giuridica un po’ in tutta Italia, Lampedusa divenne luogo di vergogna internazionale perché, con dolo, rimasero concentrati sull’isola un numero di persone enorme rispetto agli stessi abitanti. Ne nacquero disordini, problemi di ogni tipo e natura ma, paradossalmente, dal punto di vista economico, ci fu una rendicontazione accurata e in parte anche verificata delle spese sostenute. Negli anni successivi si è preferito affidare tutto alle prefetture che, soprattutto in questi ultimi due anni si sono dimostrate impreparate e imprecise. Nel 2014 ad oggi, sono giunte in Italia quasi 130 mila persone; al costo dell’operazione di soccorso Mare Nostrum, ormai prossima alla fine (9 milioni di euro mensili) si aggiungono le spese di ospitalità per chi è raccolto, circa 30 euro a persona ogni giorno. Restando nell’emergenza e non volendo utilizzare appieno la disponibilità ampliata dello SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) che coinvolge comuni disponibili e realtà associative in piccoli progetti di accoglienza finanziati dallo Stato, esistono margini estremi di discrezionalità nell’utilizzo dei fondi messi a disposizione. Se un tempo ad esempio si faceva obbligo di rendicontare le singole voci di spesa (questo avviene anche con lo Sprar), nell’emergenza prefettizia si definiscono fatture uniche che “semplificano” le operazioni di ospitalità ma non garantiscono alcun controllo delle spese effettuate. Non a caso, lo scorso anno la stessa Commissaria europea agli Affari Interni, Cecile Malmstroem, ad un governo che chiedeva risorse rispondeva piccata che l’Italia era il primo paese per fondi ottenuti per i rifugiati e l’ottavo per numero di rifugiati effettivamente accolti. Questa lunga premessa è necessaria per spiegare in cosa consista il decreto approvato. Cresce il ruolo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Viminale, le Commissioni per esaminare le richieste di asilo sono raddoppiate in numero (da 10 a 20). Nelle Commissioni era obbligatoria la presenza di un funzionario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), ma il numero di funzionari disponibili è insufficiente quindi è dato mandato all’agenzia dell’Onu di nominare persone per tale impiego. Ci sono alcune facilitazioni per l’ascolto del richiedente asilo che viene trasferito, come spesso capita, da un centro all’altro per la definizione delle sue pratiche e, salvo richiesta esplicita dello stesso, il colloquio che permette di accedere all’asilo o ad altre forme di protezione, può essere fatto con uno solo dei membri della commissione, possibilmente dello stesso sesso del richiedente. Queste variazioni prevedono una spesa di oltre 9 milioni di euro per il 2014 e per circa 10 milioni e settecento mila euro per il 2015.Altre risorse sono rese poi disponibili per ampliare il sistema di protezione finalizzato all’accoglienza, quasi 51 milioni di euro per il 2014, sempre per il 2014 sono 62 milioni e 700 mila euro i fondi stanziati per “fare fronte alle esigenze straordinarie connesse all’eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale”. Risorse necessarie, certamente, perché ce ne è fortemente bisogno soprattutto in aree del Paese dove la crisi ha pesato in maniera molto rilevante, ma risorse di cui poi è estremamente difficile comprendere l’utilizzo. Alberghi vuoti che anche in bassa stagione vengono riempiti, stabili in disuso ma di proprietà privata, cooperative di servizi che ne traggono proventi. Il tutto, in nome dell’emergenza, senza alcun tipo di quadro sistemico di gestione. Il Ministero dell’Interno persegue un progetto che potrebbe trovare compimento in tempi brevi: la realizzazione di alcun hub, di transito, piccoli o grandi su base regionale, per periodi brevi e poi lo spostamento dei richiedenti che hanno ottenuto forme di protezione nel sistema Sprar, ma nel frattempo questo non avviene e le persone, soprattutto i minori non accompagnati che avrebbero bisogno di tutela particolare e attenta, spariscono per l’Europa. Da ultimo ad alcuni Comuni grandi e piccoli della Sicilia viene permesso per decreto di escludere le “spese connesse alla pressione migratoria” dal Patto di stabilità che si è tenuti a rispettare. Una riduzione che riguarderà non oltre il 50% delle spese sostenute e il cui ammontare verrà deciso, entro il 15 ottobre, Comune per Comune. Aveva in fondo ragione una nota giornalista Rai che 10 anni fa, nel presentare un servizio sugli allora Centri di Permanenza Temporanea (oggi Cie), dichiarava: «Gli immigrati non li vuole nessuno, i soldi degli immigrati li vogliono tutti». Un ragionamento forse ancora più attuale per i profughi