Il governo non cancella la “riforma” Gelmini ma ci costruisce la scuola per i docenti meno pagati d’Europa. Più ore di lavoro, competizione, potere ai presidi e alle imprese
di Francesco Locantore
Dopo gli annunci estivi del sottosegretario Reggi, della ministra Giannini e dello stesso Renzi, è stato reso pubblico il rapporto del governo Renzi intitolato “La buona scuola”, con una serie di idee guida per una riforma organica, nonostante il governo abbia deciso di non chiamarla così, della scuola italiana.
Il rapporto consta di ben 136 pagine, è diviso in sei capitoli ed è corredato da un allegato in cui si sintetizzano le dodici proposte che sintetizziamo in due blocchi: (1) reclutamento degli insegnanti, avanzamenti di carriera e gestione dell’organico; (2) intervento sui programmi di studio e alternanza scuola-lavoro.
1 Mai più precari nella scuola, ma insegnanti sempre più poveri e ricattabili
Il primo blocco di proposte riguarda l’annoso problema del reclutamento e l’avanzamento di carriera degli insegnanti. Il governo annuncia l’assunzione a tempo indeterminato dal primo settembre 2015 di tutti i precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e dei vincitori e idonei del concorso di Profumo del 2013 (proposta n. 1). Si tratta di quasi 150mila insegnanti, più o meno corrispondenti al numero di insegnanti tagliati da Berlusconi, Tremonti e Gelmini nel triennio 2008-2011. Questo provvedimento costerebbe, secondo i calcoli del governo, circa tre miliardi di euro l’anno a partire dall’esercizio finanziario 2016 (molto meno nel 2015, visto che si tratterebbe di pagare solo quattro mesi di stipendio, molti dei quali si sarebbero comunque pagati ai precari).
Se questo provvedimento fosse effettivamente realizzato sarebbe da salutare come una vittoria delle lotte dei precari che si stanno battendo da anni per la stabilizzazione, e che hanno portato la questione fino alla Corte di Giustizia europea, di cui è attesa una sentenza di probabile condanna per l’Italia. In Italia infatti non si applica neanche la pur permissiva normativa che impone di non poter sfruttare i lavoratori con contratti a tempo determinato oltre tre anni senza una prospettiva certa di stabilizzazione. L’Italia è anche oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea su questo punto, e certo non farebbe una bella figura Renzi proprio nel semestre di presidenza italiano a mantenere in piedi una situazione simile.
Tuttavia per i costi previsti ci sentiamo di dubitare dell’attuazione di queste pie intenzioni, fino a che non vedremo nero su bianco lo stanziamento delle risorse necessarie. D’altronde mentre si promette per il prossimo anno l’assunzione di un contingente importante di insegnanti, in questo anno scolastico se ne assumono meno di quelli previsti dal Dl Scuola dello scorso anno, visto che la ragioneria non ha autorizzato tutte le assunzioni previste in mancanza della copertura finanziaria.
I nuovi organici previsti dopo l’assunzione dei precari dovrebbero, secondo il governo, essere tali da non ricostituire una massa di insegnanti precari negli anni successivi, potendo far fronte alla copertura delle supplenze “brevi” (proposta n. 3), e potendosi così reclutare i futuri insegnanti attraverso concorsi per abilitati su base regolare in modo da sostituire gli insegnanti che andranno in pensione (proposta n. 2). E’ molto probabile che la soppressione delle graduatorie di istituto, da cui venivano attinti i supplenti brevi, passerà anche attraverso un aumento dell’orario di lavoro dei docenti. Anche se il rapporto non è esplicito su questo tema, si parla di “banca delle ore” da utilizzare nella propria scuola nella rete di scuole a cui si afferisce per coprire le necessità di supplenze temporanee.
La propaganda di Renzi sulle assunzioni dei precari senza dubbio serve a far digerire al corpo docente l’eliminazione degli scatti di anzianità, che verranno sostituiti da scatti di “merito”, attribuiti a non più dei due terzi del corpo docente ogni tre anni sulla base del giudizio del nucleo di valutazione di ciascuna scuola o rete di scuole (proposta n. 4 e 5).
Questo è un affronto inaccettabile che colpisce gli insegnanti meno pagati d’Europa, con gli stipendi fermi dal 2009 (e ancora per tutto il 2015, come annunciato oggi stesso dalla ministra Madia), puntando a dividere i lavoratori, ad asservirli ai capricci dei dirigenti scolastici limitando il diritto costituzionale alla libertà di insegnamento. Questo provvedimento colpirà innanzitutto i precari, gli ultimi arrivati nelle scuole che andranno automaticamente a finire nel terzo non meritevole di prendere gli scatti, ma in generale favorirà un clima di competizione all’interno del corpo docente di ciascuna scuola. La retorica meritocratica con cui viene avanzata questa proposta mostra le sue contraddizioni in modo evidente: che senso ha stabilire per legge che in ciascuna scuola ci sono di terzi di docenti meritevoli e un terzo non meritevole? Sulla base di quali criteri si pensa di poter operare questa distinzione? Le proposte contenute nel rapporto del governo sono le stesse che sono state avanzate negli ultimi anni: da una parte il sistema nazionale di valutazione, che ruota attorno agli assurdi test dell’Invalsi, e dall’altra l’arbitrarietà dei dirigenti e della loro cerchia che andrà a costituire il nucleo di valutazione, con l’apporto dei privati che investono nella scuola.
Se questo provvedimento dovesse vedere la luce, come è probabile visto che, a differenza delle stabilizzazioni, non ha costi per lo Stato (anzi, è probabile che si realizzino risparmi rispetto al sistema degli scatti di anzianità), la funzione docente come l’abbiamo conosciuta finora ne risulterà stravolta. Altro che incentivo alla formazione e all’aggiornamento! Non è difficile prevedere la corsa ad accumulare punti di valutazione attraverso il mercato dei master privati, ad impegnarsi in progetti e progettini di gradimento del dirigente anziché nella didattica per gli studenti, ad orientare la didattica alla performance nei quiz Invalsi… La già difficile collaborazione tra docenti di materie diverse per una didattica interdisciplinare sarebbe minata dalla concorrenza interindividuale per rientrare nei due terzi di docenti graziati dallo scatto di merito triennale.
2 La scuola dell’autonomia al servizio del profitto privato
La retorica della meritocrazia è il pilastro su cui si fonda anche il secondo blocco di proposte del governo Renzi che va sotto il titolo della valorizzazione dell’autonomia delle scuole. In concreto il governo Renzi propone di dare ancora maggiore potere ai dirigenti delle singole scuole nel decidere addirittura sui docenti da utilizzare nella didattica sulla base di un registro nazionale dei docenti che riporti i curriculum formativi di ciascuno (proposta n. 6), di aumentarne la discrezionalità attraverso l’abolizione di una serie di “procedure burocratiche” (proposta n. 7).
Gli organi collegiali verrebbero stravolti, come era già intenzione dei governi precedenti che hanno sostenuto la proposta di legge Aprea, respinta dai movimenti della scuola in particolare nell’autunno 2012. Gli organi di gestione effettiva della scuola saranno il dirigente, il nucleo di valutazione e il consiglio dell’Istituzione scolastica, mentre al collegio (consiglio) dei docenti rimarrebbe la sola competenza della programmazione didattica. Nessuna menzione è fatta del consiglio di classe e dell’assemblea degli studenti, previsti dall’attuale normativa.
Il governo Renzi intende intervenire anche sui programmi delle scuole, valorizzando da una parte la musica, la storia dell’arte (niente da eccepire) e l’educazione fisica (non ci eravamo resi conto dell’enorme problema dell’obesità infantile… proposta n. 9), dall’altro riproponendo sotto altri nomi le tre “i” di berlusconiana memoria: inglese, informatica (coding) e imprese (economia, proposta n. 10). Si dice di voler valorizzare le attività di laboratorio, dimenticando che la recente riforma delle superiori avanzata dalla Gelmini ha compresso le ore di laboratorio, di storia dell’arte finanche nei licei artistici, il diritto e l’economia. Perché non partire proprio dall’abrogazione di quella riforma e dalla restituzione delle ore tolte specialmente alle scuole tecniche e professionali? Per i tecnici e professionali invece c’è in serbo la proposta dell’alternanza obbligatoria tra scuola e lavoro negli ultimi tre anni del percorso scolastico (proposta n. 11), ovviamente attraverso stage non retribuiti e senza alcuna garanzia di assunzione al termine, grazie anche al Jobs Act di cui lo stesso governo Renzi è promotore.
Le imprese ringraziano per questo regalo ulteriore, d’altronde queste saranno direttamente coinvolte nella gestione del sistema di istruzione pubblico, attraverso i piani di digitalizzazione delle scuole (proposta n. 8), al finanziamento diretto con incentivi fiscali e all’utilizzo delle strutture negli orari pomeridiani (proposta n. 12). Senza contare che la valorizzazione dell’autonomia fino al parossismo di poter diversificare gli indirizzi culturali di ciascuna scuola (questo il senso della possibilità dei presidi di potersi scegliere l’organico), apre alla diversificazione delle scuole in base alle esigenze delle imprese che le finanzieranno, alla competizione tra scuole per attrarre i finanziamenti privati e gli alunni provenienti da famiglie più facoltose, in spregio ad una istruzione di qualità per tutte e tutti.
In conclusione, il progetto del governo Renzi è un progetto di ampia portata di liberalizzazione del sistema di istruzione per adattarlo alle esigenze del mercato capitalistico, un attacco senza precedenti ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola ma anche agli studenti e alle studentesse, reso ancora più insidioso dalle promesse di stabilizzazione dei precari e di reinvestimento nell’istruzione, che sono tutte da verificare alla prova dei fatti e che cozzano con le politiche di austerità che il governo continua a perseguire in Italia e in Europa.
Il governo ha aperto con questo rapporto una consultazione di due mesi nella scuola e nella società. Come è già stato fatto su altri temi, questa consultazione sarà finta, si millanteranno migliaia di email e tweet ricevuti a sostegno delle proposte del presidente del consiglio. Il dissenso delle persone in carne ed ossa dovrà esprimersi visibilmente nelle scuole e nelle piazze in questo autunno. Occorre mobilitarsi, a partire dalle assemblee previste in questi giorni (a Roma il 15 settembre), nei collegi e nelle assemblee scuola per scuola, e convergere con uno sciopero unitario dei sindacati della scuola sulla data di mobilitazione nazionale lanciata dagli studenti per il prossimo 10 ottobre.