Se la vita di 3 giovani coloni vale 400 ettari di terra palestinese, la vita della metà dei 2.200 palestinesi uccisi dai raid israeliani dovrebbe valere 132.000 ettari di terra israeliana. Ma importa a qualcuno?
di Robert Fisk *
(Mentre lavoravamo alla traduzione di questo articolo, l’agenzia stampa Nena News ha lanciato la notizia che, nonostante Abbas sia al Cairo per parlare di pace, l’occupazione israeliana in Cisgiordania continua a suon di gare d’appalto, di confische e di demolizioni il cui obiettivo è l’ampliamento delle colonie
Ieri ci sono state marce di protesta a Wadi Fukin, a Nabi Saleh e a Bilin, con scontri tra palestinesi e soldati israeliani che, come si vede dalla foto, non hanno risparmiato in lanci di lacrimogeni. La situazione rende quanto mai attuale questo crudo intervento di Robert Fisk).
Così un altro pezzo di Palestina se ne è andato. Altri quattrocento ettari di terra palestinese rubata dal governo israeliano – “appropriazione” significa rubare, non è vero? – e il mondo ha dato le sue scuse abituali. Gli statunitensi lo hanno trovato “controproducente” per la pace, proprio la stessa reazione che avrebbero se il Messico si prendesse 400 ettari di Texas per costruirci case per i suoi migranti illegali negli Usa! Ma stiamo parlando della “Palestina” (le virgolette sono più che mai necessarie) e Israele è riuscito nel suo ennesimo furto, ma questa volta e il più grande furto di terra in trent’anni, da quando si firmarono gli accordi di Oslo, nel 1993.
Dopo la stretta di mano tra Rabin e Arafat, le promesse della riconsegna dei territorio, il ritiro dei militari e la decisione di lasciare tutte le cose importanti (Gerusalemme, i rifugiati, il diritto al ritorno) alla fine, fin quando l’uno avrebbe avuto fiducia nell’altro al punto che che la soluzione di questi problemi sarebbe stato un gioco da ragazzi, dopo tutti quei fatti non c’è da meravigliarsi che il mondo abbia concesso la sua generosità finanziaria alla coppia. Quest’ultimo furto di terre però non solo riduce la “Palestina” ma ne prosegue l’accerchiamento fatto di cemento intorno a Gerusalemme – affinché i palestinesi restino fuori dalla capitale, che dovrebbe condividere con gli israeliani -, e a Betlemme.
E’ stato illuminante sapere che il consiglio Gush Etzion, che amministra le colonie illegali in Cisgiordania, considera questo furto di terra una punizione per l’assassinio, a giugno, dei tre adolescenti israeliani. “L’obiettivo dell’assassinio dei tre giorni era seminare la paura tra noi, per alterare la nostra vita quotidiana e per mettere in dubbio il nostro diritto (sic) alla terra”, ha dichiarato il consiglio Etzion. “La nostra risposta è rafforzare le colonie”. Questa deve essere la prima volta che la terra di “Palestina” è stata acquisita non tramite scuse sulla sicurezza nazionale – o in nome della personale autorità di Dio -, ma per vendetta. Ed evidenzia un interessante precedente: se una innocente vita israeliana – crudelmente presa – vale circa 130 ettari di terra, allora una innocente vita palestinese – anch’essa crudelmente presa – senza dubbio deve avere ugual valore. E se la metà dei 2.200 palestinesi morti a Gaza il mese scorso – ed è una cifra sottostimata – era composta da innocenti, di conseguenza i palestinesi ora avrebbero diritto a oltre 132.000 ettari di terra di Israele, in realtà molto di più. Ma al di là di quanto questo potrebbe essere “controproducente”, sono sicuro che gli Stati Uniti non lo avrebbero mai tollerato. Israele prende terra, i palestinesi perdono terra, è così che funziona, e così è stato dal 1948, e così continuerà.
Non ci sarà mai una “Palestina”, e l’ultimo furto territoriale è solo un altro piccolo punto da segnare nel Libro del dolore che i palestinesi sono costretti a leggere, mentre i loro sogni di diventare Stato svaniscono. Nabil Abu Rudeineh, portavoce del “presidente” palestinese Mahmud Abbas, ha detto che per il suo leader e per le “forze moderate” di Palestina, la decisione di Israele è stata “una pugnalata alle spalle”, ma è dire poco. Abbas ha le spalle piene di ferite da pugnale. Ma che altro si aspettava dopo aver scritto un libro sulle relazioni palestinesi-israeliane senza usare neanche una volta la parola “occupazione”?
Così siamo tornati al gioco di sempre. Abbas non può negoziare con nessuno, a meno che non parli a nome di Hamas così come per l’Autorità palestinese. Lo sa Israele. Lo sanno gli Stati Uniti. Lo sa l’Unione Europea. Però ogni volta che Abbas cerca di mettere insieme un governo di unità nazionale, tutti gridiamo che Hamas è un’organizzazione “terroristica” che vuole la distruzione di Israele – anche se Israele ha usato le stesse accuse contro Arafat e, in quei giorni, ha aiutato Hamas a costruire più moschee a Gaza e Cisgiordania come contrappeso a Fatah e a tutti gli altri “terroristi” presenti fino a Beirut.
Nei sommari di ogni articolo che racconta questa storia dovrebbe esserci scritto: “Palestina addio”.
* De The Independent 6 settembre 2014 (traduzione di Marina Zenobio)