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Nazismo, la memoria selettiva dello Spiegel e della Stampa

Il settimanale tedesco (tradotto da noi dal quotidiano degli Agnelli) “scopre” i boia di Auschwitz in Germania Est. Dimenticando il ruolo di Peron, del Vaticano e degli Stati uniti

di Federigo Borromeo

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Una notizia apparsa su La Stampa che riprende un pezzo apparso sul tedesco “Spiegel”: Ancora 30 nazisti in vita. I boia di Auschwitz coperti dalla Germania Est.

Il quotidiano torinese nell’articolo di Tonia Mastrobuoni ci informa con enfasi. “Ex nazisti ricattati e reclutati dai comunisti come agenti segreti: non è fantascienza, è successo per decenni. E poteva accadere solo a Berlino, crocevia mondiale di spie durante la Guerra fredda, ma anche capitale di uno dei regimi più cinici del Patto di Varsavia, quello della Germania Est. Lo racconta questa settimana lo «Spiegel», citando il caso di alcuni ex pezzi grossi delle SS cui sarebbero stati risparmiati processi e condanne in cambio dei loro servizi da agenti segreti. E il fatto più incredibile è che molti sono ancora vivi, ma i tribunali tedeschi non riescono a condannarli”.

Sono fatti che riteniamo essere presumibilmente veri e della cosa siamo assolutamente incazzati. Un solo nazista delle SS protetto, a qualunque titolo e qualunque possa essere stata la motivazione, è una evenienza orrenda e riprovevole. Ma lo Spiegel e la Stampa peccano sia di memoria che di intendimento.

La Stampa scrive sua sponte che fatti del genere potevano accadere solo a Berlino capitale di uno dei regimi più cinici del Patto di Varsavia: una sorta di superlativo assoluto del Male.

Eppure nella materia la vicenda avvenuta non è il superlativo assoluto! Si vuole ricordare l’infamia di come andò allora la fuga protetta di CENTINAIA E CENTINAIA di gerarchi hitleriani e di SS dopo la seconda Guerra mondiale? Per gli inglesi e per gli americani fu veramente una valutazione bestialmente cinica: i nazisti avevano in comune l’odio per il marxismo e per il comunismo, un cemento più forte che l’aver combattuto strenuamente fino a pochi mesi prima contro la Germania nazionalsocialista. In molti casi i mediatori della fuga col rilascio di passaporti farlocchi furono le autorità del Vaticano.

Così scriveva Alessandra Coppola sul Corriere della Sera il 22 giugno 2005 “La fuga in Sudamerica Josef Mengele comincia a prepararla nell’aprile 1948: il Terzo Reich è caduto e per il medico del campo di sterminio di Auschwitz l’Europa tornata alla democrazia non è più un luogo sicuro. Dopo i primi tempi di clandestinità, il dottore dei Lager si decide a lasciare il vecchio continente. E si procura ciò che gli serve. Un nuovo nome: diventa l’altoatesino Helmut Gregor. Un nuovo documento: carta d’identità numero 114 con il timbro del comune di Termeno, Bolzano. Un aiuto per imbarcarsi destinazione Buenos Aires: glielo darà l’ufficio di Genova della Delegazione argentina di Immigrazione in Europa. Uno dei punti d’appoggio della rete creata dal presidente Juan Domingo Perón per accogliere sulle rive del Río de la Plata migliaia di criminali di guerra. Il 25 maggio 1949 il dottor Mengele sale a Genova sulla «North King», il 22 giugno 1949 è al sicuro, dall’altra parte dell’Oceano. Di questo arrivo oggi esiste una nuova testimonianza: una scheda di immigrazione a nome Helmut Gregor conservata negli archivi argentini e riemersa tra polvere e armadi sigillati grazie a un ordine del ministro degli Interni di Buenos Aires, Anibal Fernández. A impegnarsi per l’apertura dei registri che quasi sessant’anni fa annotarono l’ingresso di Adolf Eichmann, Klaus Barbie, Martin Bormann, Erich Priebke e altre migliaia di nazisti più o meno noti in Argentina è stato il presidente Néstor Kirchner. (…) Tutti nuovi tasselli da inserire in una storia che in Argentina ha in gran parte ricostruito il giornalista Uki Goñi (è stato proprio il suo La auténtica Odessa , pubblicato nel dicembre 2002, a spingere il centro Simon Wiesenthal a chiedere l’apertura degli archivi). Nel libro Goñi racconta di alcune riunioni alla Casa Rosada – in particolare ce n’è una ben documentata del dicembre ’47 – tra Perón e nazisti tedeschi, francesi e belgi per la creazione di una rete di assistenza ai criminali in fuga, con basi in sei Paesi europei tra cui l’Italia. L’organizzazione poteva contare sul sostegno di alcuni settori della Chiesa cattolica.

A presiedere il Governo italiano non era certo un tedesco della DDR, uomo del KGB, ma Alcide De Gasperi, oggi quasi santificato, su cui bisognerebbe centuplicare la dose delle deprecazioni e delle vituperazioni che la brava articolista della Stampa opera nei confronti dell’allora Governo della DDR! O no?

E che dire del Vaticano? Dei sospetti di una linea estremante comprensiva di Pio XII verso il nazionalsocialismo sono stati scritti volumi e volumi di storia. Ma c’è una certezza su una linea filonazista di un cardinale che diventerà Paolo VI, Montini (con Siri), che favorirà da Genova dove era metropolita, la fuga via nave dei nazisti, tramite la cosiddetta “Rattenlinien”.

Vi furono due principali vie di fuga: la rete organizzata del vescovo Alöis Hudal era specializzata nella fuga dei criminali di guerra tedeschi; una seconda specializzata per gli ustascia croati, diretta e coordinata da Padre Krunoslav Draganović, segretario dell’Istituto Croato di San Girolamo. I nazisti nel 1947, dettero vita ad un’organizzazione dal nome O.D.E.SS.A, acronimo che sta per Organisation der Ehemaligen SS-Angehörigen (in tedesco Organizzazione degli ex-membri delle SS). Tale organizzazione aveva ingenti capitali, accumulati e per lo più sottratti alle vittime dell’Olocausto, all’estero e produceva documenti falsi o lasciapassare per evacuare i membri in paesi sudamericani. La maggior parte dei fuggitivi raggiungeva clandestinamente l’Italia e attraverso lasciapassare concessi dalla Croce Rossa Internazionale o del Vaticano arrivava in America latina, dove il caudillo Peròn li accoglieva a braccia aperte.

Fuggirono così, tra i tanti: Gerhard Bohne, medico nazista che operò nel castello di Hartheim; Ante Pavelic, dittatore croato; Bilanovic Sakic, responsabile del campo di concentramento di Jasenovac; Franz Stangl, comandante del campo di concentramento di Treblinka; Josef Mengele; Adolf Eichmann; Erich Priebke; Klaus Barbie, Il boia di Lione; Walter Rauff, l’inventore dei camion-camera a gas; Eduard Roschmann, l’ex comandante del ghetto di Riga; Alois Brunner, responsabile dello sterminio di oltre 140 000 israeliti.

Lo Spiegel e la Stampa sono un bel po’ smemorati come quello di Collegno.

Forse sarebbe il caso di rivedere il precorso negazionista che sta portando alla santificazione di Paolo VI e alla beatificazione di De Gasperi. Nessuna demonizzazione, per carità, ma una aderenza alla storia. La ricostruzione agiografica, integralista e ideologica della storia ci fa veramente schifo ed è il Medioevo che vogliamo respingere…Un sogno impossibile: e se il nuovo Papa liberasse il segreto sui documenti del silenzio e/o complicità tra nazifascismo e Vaticano in un percorso che comincia con Hitler, poi si snocciola con Mengele e poi ancora con Videla e Pinochet?

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