Il rapporto dell’Ilo al Summit di Melbourn del G20: 100 milioni senza lavoro, 447 milioni di lavoratori poveri che vivono con 2 dollari al giorno. E la BM, che tanto ha contribuito all’indebitamento dei Paesi, scopre l’acqua calda.
di Marina Zenobio
E’ paradossale che sia proprio la Banca Mondiale a dirsi preoccupata per i crescenti livelli di disoccupazione nei paesi industrializzati. Lo ha fatto a Melbourn dove si riuniscono, oggi e domani, i Ministri del lavoro del G20, il Gruppo, appunto, dei paesi industrializzati.
Secondo il rapporto G20 labour markets: outlook, key challenges and policy responses, preso in considerazione della BM ed elaborato dall’Ilo (Organizzazione mondiale del laoro), nei relativi paesi oggetto di studio ci sono 100 milioni di persone senza lavoro e 447 milioni di “lavoratori poveri” costretti a vivere con meno di 2 dollari al giorno. Un problema, quello della mancanza di lavoro che, se non vengono attuate misure per contrastarlo, persisterà almeno fino al 2018, minacciando la ripresa economica.
“Non ci sono dubbi che si tratta di una crisi globale”, ha scoperto il direttore del settore lavoro della BM Nigel Twose, aggiungendo che il rapporto rende quanto mai evidente la scarsità di lavoro, e di lavoro di qualità. E per uscire dalla crisi è necessario creare, entro l’inizio del 2030, non meno di 600 milioni di posti di lavoro. Il rapporto ha anche riportato la preoccupazione per la crescente differenza salariare e di entrate tra i paesi membri del G20.
Tra i paesi ad economia crescente che meglio sono intervenuti nella creazione di posti di lavoro, ci sono il Brasile e la Cina ma, in generale, la situazione non ispira ottimismo. Niger Twose ha anche scoperto che “Sembra proprio che ci aspettano tempi molto difficili”.
La ricetta magica, consigliata da Twose, richiede lo sforzo congiunto dei ministri del lavoro con altri dipartimenti e con la partecipazione del settore privato.
E’ paradossale, dicevamo all’inizio, che sia proprio la BM a dirsi preoccupata per l’andamento negativo dell’occupazione. Quella stessa Banca Mondiale che, nel corso dei decenni scorso, insieme a Fondo Monetario Internazionale hanno imposto e continuano ad imporre, ai paesi che hanno fatto richiesta di crediti, condizioni che si basano sul “Consenso di Washington” che, a sua volte, richiede liberalizzazioni (nel commercio, negli investimenti e nel settore finanziario), deregualation e privatizzazioni delle industrie nazionali. Condizioni che hanno portato gli Stati “beneficiari” dei crediti ad una perdita di governo sulla propria economia e ad aumentare il debito nazionale fino al collasso.
Quella stessa Banca Mondiale che ha finanziato progetti di infrastrutture senza tener conto delle implicazioni sociali e ambientali per le popolazioni delle zone coinvolte. Come la costruzione di dighe e centrali idroelettriche finanziate dalla BM che hanno portato alla cacciata di intere popolazioni indigene dalle loro terre, o fallimentari progetti che la stessa realizza, affidandoli a privati, nel campo dei servizi sociali come salute e educazione, e che ha minato il ruolo degli Stati come quali fornitori di quei beni.