Può succedere che la musica e il canto spalanchino davvero le mura di uno spazio chiuso. E’ appena successo a Genova nell’ambito della 23esima edizione del Festival musicale del Mediterraneo
da Genova, Claudio Marradi
E questa stanza non ha più pareti, ma alberi infiniti… Quelli delle foreste di betulle siberiane della repubblica di Tuva, per la precisione.
Può succedere che la musica e il canto spalanchino davvero le mura di uno spazio chiuso. Succede alle pareti affrescate del Salone del Minor Consiglio di Palazzo Ducale a Genova, con il concerto per sola voce di Sainkho Namtchylak (il video è di repertorio, ndr) nell’ambito della 23esima edizione del Festival musicale del Mediterraneo. Considerata una delle più grandi conoscitrici al mondo di canto armonico, la stessa tecnica che usava Demetrio Stratos, Sainkho è un’autentica sacerdotessa orientale del canto tradizionale xöömej e la sua voce ha caratteristiche timbriche che la rendono unica. Spazia infatti dai suoni acuti a quelli più gravi con un’estensione prodigiosa, acquista singolare intensità per improvvisi cambiamenti di vibrazioni, alternando toni densi e scuti e trasparenze vertiginose. Perché la sua è la voce degli sciamani siberiani, ovvero di un culto antichissimo che ancora coesiste col buddhismo tibetano e col cristianesimo ortodosso, che sono le religioni attualmente maggioritarie in quello spicchio di Asia centrale che appartenne al fu impero sovietico. Sciamana elettronica che con l’ausilio di due giradischi e una consolle da dj evoca, su una base techno e jazz, paesaggi interminabili di catene montuose alte fino a 4 mila metri e laghi alpini, solitudini di pastori erranti di leopardiana memoria e aurore boreali.
Innumerevole esistere le sgorga ora dalla bocca e il suo esile corpo è scosso, come posseduto da tutte quelle presenze che sembrano affollarsi in lei per manifestarsi: lupi e orsi siberiani, prede e predatori, aquile e marmotte, spiriti e demoni dei boschi. Creatura lei stessa tra le creature, infine, gracile come un uccellino, trilla e salta di foglia in foglia in quell’intrico di rami che la sua stessa voce ha intrecciato. Sempre più in alto, sola, irraggiungibile.
E allora forse si, è possibile: in principio, prima ancora del Verbo, fu il Canto.