Durante la dittatura Jorge Troccoli fu uno dei boia del “Plan Condor”, tra le sue vittime sei cittadini italo-uruguayani. Da anni viveva tranquillo a Marina di Camerota
di Marina Zenobio
Jorge Troccoli , ex capitano della marina uruguayana e ex capo del Fusna (servizi segreti della marina militare), è stato messo sotto accusa in Italia per le sue responsabilità nella scomparsa di sei cittadini italo-uruguayani, avvenute negli anni più bui del “Plan Condor”, tra gli anni ’70 e ’80.
L’atto di notifica, firmata dal pubblico ministero Giancarlo Capaldo della procura di Roma, è stato recapitato al “torturador”, come viene definito nel suo paese, nella cittadina campana di Marina di Camerota, dove Troccoli vive, travestito da tranquillo pensionato amante dei cani, dal 2007.
Quello fu l’anno in cui fuggì dall’Uruguay per venire in Italia, quando a Montevideo fu processato e condannato, per violazione dei diritti umani, il dittatore Gregorio Álvarez, di cui Troccoli (nella foto) fu tra i più fedeli collaboratori. Anche lui era imputato nello stesso processo per il trasferimento illegale di prigionieri politici tra Argentina e Uruguay durante la dittatura. Nel 2000, grazie alle sue origini italiane, ottenne prima il passaporto e poi la cittadinanza italiana. Il mandato che pendeva sul “torturador” era però internazionale, venne quindi arrestato alla fine del 2008 per essere estradato in Uruguay. Ma passò pochi giorni in carcere perché, il 14 gennaio del 2009, una serie di ingiustificati ritardi tra ambasciate per la notifica dei documenti necessari all’estradizione, costrinsero il Tribunale del riesame di Roma a risolvere il giudizio con la sua scarcerazione. Prima però di spiegare cosa è cambiato, perché ora Troccoli è di nuovo sotto processo in Italia, è bene ricordare che cosa è stata l’operazione Condor.
Il Plan Condor
Negli anni ’70, una massiccia operazione di politica estera statunitense, portò al coordinamento delle forze armate e repressive tra le dittature dell’America Latina – Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay, Perù e Ecuador – integrate con le agenzie di intelligence locali. Un’internazionale contro ogni forma di proteste o di insurrezione che utilizzava metodi di repressione illegali e che gli Stati Uniti battezzarono Plan Condor.
I suoi obiettivi erano:
– condividere le informazioni ottenute nei rispettivi servizi segreti;
– eliminare l’attività armata dei guerriglieri comunisti;
– controllare le frontiere per evitare che chi fosse stato ricercato nel suo paese potesse trovare asilo nei paesi confinanti;
– formare quadri all’interno delle forze di sicurezza affinché potessero operare in tutta l’America Latina o in altre parti del mondo;
– addestramento per rintracciare gli oppositori, sequestrarli e torturarli;
– lottare per mantenere vivi nelle società coinvolte i valori “occidentali, umanisti e cristiani”.
Gli oppositori politici – militanti, attivisti, religiosi, professionisti, insegnanti, lavoratori, studenti – considerati di sinistra potevano essere arrestati in qualsiasi paese. La ricerca e il loro sequestro erano a carico di squadre di polizia, militari vestiti da civili, paramilitari che viaggiavano in veicoli senza targhe. Attraversavano quartieri, città, paesi cercando guerriglieri e attivisti presumibilmente di sinistra. Una volta sequestrati questi uomini, donne ma anche adolescenti, erano condotti in prigioni clandestine dove venivano sottoposti a torture, fisiche e psicologiche, per estorcere informazioni. Chi non moriva sotto le torture aveva comunque scarse possibilità di rimanere vivo. Una generazione di latinoamericani sterminata. Moltissime vittime del Plan Condor sono “scomparse” nel nulla e chiaramente di tutto questo “procedimento” scientificamente studiato, non doveva rimanere traccia ufficiale alcuna.
Troccoli e l’ira del Leviatano
Jorge Nestor Fernandez Troccoli, questo il suo nome completo, ora cittadino italiano, è stato uno dei responsabili del Plan Condor in Uruguay. Un boia, e mica uno qualunque. Non solo non ha mai abiurato ma, nel 1996, ha persino scritto un libro “La ira de Leviatán” (L’ira del Leviatano) con cui rivendica i suoi crimini e pretende di essere riconosciuto come un servitore dello stato, di una patria dove gli anticorpi, i militari, dovevano farsi carico di combattere l’infezione democratica a qualunque prezzo. “Come se – scrisse tempo fa Gennaro Carotenuto – la picana elettrica, il vomito del supplizio, la diarrea degli sfinteri dei torturandi incontrollati per il terrore, il liquido seminale degli stupri, il sangue delle ferite che sgorgava a fiotti, le ossa spezzate di quel sant’Uffizio moderno, i cadaveri putridi o i corpi ancora vivi gettati nel grande fiume, non lo avessero in nessun modo schizzato, macchiato, insozzato”.
Il boia a nuovo giudizio
Tornando ai giorni nostri, la Procura di Roma ha deciso di riaprire il “caso Troccoli” perché tra le vittime del boia ci sarebbero anche sei cittadini italo-uruguayani, e quindi l’ex capitano di marina potrà essere giudicato in Italia.
Capaldo ha istruito un’inchiesta penale contro 70 membri delle forze repressive dei paesi dell’America Latina che facevano parte del Plan Condor, tra cui alcuni uruguayani. In tal senso il pm ritiene che Troccoli partecipò attivamente al piano criminale per fermare ed eliminare gli oppositori dei regimi dell’epoca. L’avvocato di Jorge Troccoli, Alfonso Domingo Scarano, ha già affermato che al processo il suo assistito di dichiarerà innocente. Un innocente che ha scritto un libro rivendicando il suo criminale operato.
Il giudice per le indagini preliminari, Alessandro Arturi, ha recentemente accettato lo Stato uruguayano, lo Stato italiano e i familiari delle vittime come querelanti nel processo penale contro i militari e i civili sudamericani per i crimini commessi nel quadro del “Plan Condor”. Il magistrato ha fissato udienza per il prossimo 6 ottobre, quando si deciderà formalmente la data per l’inizio del processo a cui si è arrivati grazie ad una inchiesta iniziata dal Giancarlo Capaldo nel 1998. L’investigazione ha riguardato i crimini perpetrati contro cittadini italiani durante gli anni ’70.
Dopo aver completato l’indagine, il pubblico ministero ha richiesto un procedimento penale per sequestro di persona aggravato e omicidio plurimo contro altri trenta tra ex militari e civili, compreso il dittatore Gregorio Álvarez già detenuto nel suo paese, per l’omicidio di 23 cittadini, di cui 13 italo-uruguayani.