Escher in mostra a Roma, Frida Khalo e Diego Rivera al Palazzo Ducale di Genova: artisti diversi eccetto per il fatto di essere fonte d’inesauribile merchandising
di Maurizio Zuccari
Sono appena state inaugurate due grandi mostre in Italia, diversissime ma accomunate da un tratto distintivo. Escher al chiostro del Bramante, a Roma (fino al 22 febbraio) e Frida Kahlo e Diego Rivera al Palazzo Ducale di Genova (fino all’8 febbraio): nell’un caso come nell’altro le opere dei rispettivi artisti sono note pure a chi non è uso a masticare arte, riconoscibili anche se non se ne conosce il nome. Che, in entrambi i casi e forse loro malgrado, sono divenuti icone pop (nel senso di popolari) del loro tempo e fonte d’inesauribile merchandising nel nostro.
Maurits Cornelis Escher (1878-1972) è messo in mostra da Marco Bussagli al chiostro del Bramante con 150 lavori, tra i quali alcuni dei più noti, come Mano con sfera riflettente, Giorno e notte, Atro mondo II, Casa di scale. Litografie gran parte provenienti dalla collezione Federico Giudiceandrea accanto a opere comparative coi grandi del tempo di cui è stato figlio (Duchamp, De Chirico, Balla e altri esponenti del futurismo e divisionismo italiano), fino a sopravanzarlo nettamente. Proiettandosi in un altrove multidimensionale dove l’immagine si frantuma in infiniti mondi possibili e si fa specchio d’una natura a cui la fantasia fatica a stare dietro. Un percorso antologico minore, se vogliamo, ma proprio per questo utile a mostrare aspetti meno noti del grande incisore e grafico olandese, l’abbrivio del suo operare.
Il percorso della mostra intende seguire lo sguardo di Escher posato sugli scorci del nostro paese come sulle piccole cose, dai soffioni agli scarabei, dalle foglie alle cavallette, ai cristalli che osservava e riproduceva come straordinarie architetture naturali. Facendosi, attraverso i suoi disegni, mago della suggestione iperrealista e della relatività, compenetrando nei suoi mondi simultanei immagini bi e tridimensionali e ricerca psicologica e filosofica tanto in voga nella società del tempo. È una spinta, quella verso una natura e un paesaggio che si fanno magia e gioco, che nasce quando gli occhi di Escher abbandonano le piatte latitudini nordiche per incontrare i declivi del Belpaese, i suoi tagli di luce e le sue molteplici sfaccettature umane. Così, il meraviglioso e l’inconsueto nasce nella mente e nel cuore di Escher grazie allo stupore provato per la bellezza del paesaggio italiano, dalla campagna senese ai monti d’Abruzzo, ai paesi del meridione calabro: Tropea e Santa Severina , i tetti di Morano e le rocce antropomorfe di Pentadattilo. È nei borghi arroccati e in questi scorci che scorge le geometrie dei volumi, e grandi spazi come forme minime si pongono alla radice di un percorso artistico che s’avventura e si perde in giochi intellettuali dove la fantasia regna infine sovrana.
Di tutt’altro tenore la mostra a Palazzo Ducale di Genova che racconta invece il rapporto intimo e artistico della coppia messicana in 130 opere e vuole essere il giusto corollario all’antologica conclusa alle Scuderie del Quirinale di Roma che ha inquadrato l’opera della Kahlo nel contesto della avanguardie internazionali del proprio tempo. Curata da Helga Prignitz-Poda, con Christina Kahlo (pronipote di Frida) e Juan Coronel Rivera (nipote di Diego) l’esposizione genovese narra il legame d’arte e di vita di quella definita “l’unione di un elefante con una colomba”: un travagliatissimo rapporto sentimentale e politico, oltre che artistico. Pittore uscito dall’accademia col suo impareggiabile tratto naif, muralista affermato e assai celebrato al suo tempo Rivera; sua musa e poi moglie, giunta alla pittura e alla politica per caso, per la disgrazia d’un incidente che la rese storpia e impossibilitata a partorire Frida (i suoi aborti, accanto ai tradimenti di Diego, ampiamente ricambiati, saranno il suo cruccio maggiore), il loro è un percorso disgiunto dove dolori e passioni, forza e disperazione si accomunano.
Di Frida sono esposti in particolare i suoi autoritratti su olio, masonite, alluminio, come Diego in my mind, Self portrait wearing a velvet dress, Diego and I, Self portrait in a sun flower (che dipinge pochi giorni prima di morire), ma anche abiti, disegni e il corsetto in gesso sul quale dipinge falce e martello col proprio feto morto. Di Diego sono presenti in larga parte grandi ritratti: Dama Oaxaqueña, Natasha Gelman, Calla lilly vendors, Nudo di Frida. In mostra anche la ricostruzione di In the arsenal, il murale dipinto nel 1928 nel cortile del ministero della Pubblica istruzione a Città del Messico. Dove la sua futura moglie, con indosso una camicia rossa e la stella a cinque punte, distribuisce armi ai combattenti, mentre Tina Modotti passa una cartucciera a un soldato aprendo la grande ballata sulla rivoluzione messicana. Altra icona, oltre che del proprio tempo, di un’arte davvero rivoluzionaria e popolare, non artefatta e costruita al chiuso d’una stanza e d’una mente, per quanto prodigiosa.
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