Se un uomo stupra una donna mentre è ubriaco potrebbe ottenere uno sconto di pena per “minore gravità” del fatto.
di Marina Zenobio
Sei ubriaco? Stupra tranquillamente, tanto poi avrai le attenuanti. E’ questo il messaggio che rischia di passare dopo la sentenza n. 39445 depositata ieri dalla Corte Suprema di Cassazione, che ha riconosciuto le attenuanti per un uomo già condannato in appello nel 2013 dal Tribunale di Venezia – ma senza attenuanti per “minore gravità che si applicano, per esempio, in caso di stupro considerato dalla giurisprudenza incompleto – per violenza domestica e ripetuti abusi sessuali sulla moglie.
Le attenuanti di “minore gravità” dell’atto, sono invece state riconosciute dagli ermellini della terza sezione penale perché gli abusi, secondo la Cassazione e per quanto dichiarato dallo stupratore, sono stati consumati mentre l’uomo era sotto i fumi dell’alcool. Una tesi che ha trovato la forte opposizione del procuratore generale, Pietro Gaeta, che ha sollecitato l’inammissibilità dell’istanza. Ma sta di fatto che i giudici di piazza Cavour hanno annullato, con rinvio “limitatamente alla ravvisabilità dell’ipotesi attenuata”, la condanna inflitta allo stupratore dalla Corte d’Appello di Venezia, che ora dovrà riesaminare il caso per valutare se sia “ravvisabile l’attenuante per il fatto di minor gravità”.
Ci sarà quindi un nuovo esame in appello del processo, dove i difensori faranno valere questa nuova sentenza sperando di ottenere un verdetto più morbido visto che, scrive la Cassazione, “è mancata, quanto alle caratteristiche del fatto, un’analisi complessiva dello stesso in particolare con riferimento alla valutazione delle ripercussioni delle condotte, anche sul piano psichico, sulla vittima essendosi i giudici di appello limitati a descrivere il fatto contestato -per stessa definizione normativa -, di violenza, senza tuttavia analizzarne, come necessario, gli effetti”.
Definizioni difficile da capire, non solo da punto di vista semantico, ma anche da un punto di vista umano, in un momento storico in cui la violenza contro le donne è venuta faticosamente alla ribalta, grazie anche ai tanti centri antiviolenza attivi sul territorio nazionale, mentre le istituzioni, centrali e locali, si sperticano nel proporre leggi e linee guida per la prevenzione di un fenomeno che, bisogna sempre ricordarlo, ha le sue radici in un sistema culturale patriarcale, dove gli stereotipi di genere sono come un virus che infetta i nostri e le nostre ragazze fin dall’infanzia.
E adesso cosa ci dice questa sentenza della Cassazione? Che sono possibili riduzione di pene anche laddove la violenza sessuale fosse stata completa, che è già una aberrazione in sé questa sola distinzione, perché i giudici di Piazza Cavour hanno sentenziato che “così come l’assenza di un rapporto sessuale completo non può, per ciò solo, consentire di ritenere sussistente l’attenuante, simmetricamente la presenza dello stesso rapporto completo non può, per ciò solo, escludere che l’attenuante sia concedibile, dovendo effettuarsi una valutazione del fatto nella sua complessità”.
Cavilli, interpretazioni legali sulla pelle delle donne in un paese dove il femminicidio – estremo epilogo di storie di violenze e abusi per anni perpetrati contro le donne, nella maggior parte dei casi dai partner – riporta cifre emergenziali: 2.203 le donne uccise dal 2000 al 2012; 154 da agosto dell’anno scorso.
Per Maria Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa, questa sentenza “sembra una istigazione a delinquere, uno sminuire l’importanza di un delitto così efferato come lo stupro” e denuncia che “ancora più preoccupante è il completo disinteresse da parte della politica verso la violenza contro le donne”. Invita quindi tutte le associazioni che si occupano di violenza di genere “a parlare, a denunciare questa situazione perché nel silenzio si moltiplicano i delitti peggiori” e sentenze di questo tipo non preannunciano niente di buono.