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Milazzo, la raffineria brucia ancora

Un abitante di Milazzo, consigliere dei Verdi, pubblica eloquenti fotografie. A Milazzo è l’inferno da due giorni

di Alessio Di Florio

foto Giuseppe Marano

A Milazzo è l’inferno. Le foto che pubblichiamo, scattate stamattina dal consiglere dei Verdi, Giuseppe Marano, non lasciano adito a dubbi sul disastro ambientale che sconvolge da due giorni una delle più inquinate, e poco note, zone dell’Isola. E’ vero che le fiamme erano state domate dopo le dieci del mattino di sabato, ma è anche vero che in quel momento c’erano ancora migliaia di litri di virgin nafta in un serbatoio ancora rovente nonostante la bagnatura delle pareti dall’esterno. Infatti una parte del serbatoio ha ceduto provocando nuove fiamme e colorando il cielo di Milazzo ancora di nero. In un comunicato di un anno fa Marano (recentemente querelato per le sue prese di posizione dalla società), poneva forti interrogativi facendo riferimento ad una delibera del “Comitato Tecnico Regionale” che aveva espresso “parere negativo” sull’analisi di rischio presentato dalla raffineria. La Federazione dei Verdi in in comunicato stampa stamattina annuncia il ricorso alle vie legali aggiungendo che ci sarebbe ancora un “rilascio di inquinanti di natura idrocarburica”

L’incidente che ha colpito la raffineria di Milazzo è apparso subito di grande portata, producendo un’enorme nube che per diverse ore è stata visibile anche a notevole distanza. L’incidente, secondo il comandante dei Vigili del Fuoco di Messina, Salvatore Rizzo, causato dal contatto tra l’aria e il prodotto infiammabile contenuto all’interno (avvenuto probabilmente per un cedimento del soffitto), è avvenuto in piena notte. Soprattutto sui social network, qualcuno segnalò già dal pomeriggio di venerdì un fortissimo odore nella zona. Il responsabile comunicazione della raffineria Luca Franceschini ha confermato che “si era rovinato il tetto del serbatoio e la nostra squadra d’emergenza era già intervenuta nel pomeriggio”. Il sostituto procuratore di Barcellona Francesco Massara ha disposto il sequestro dell’area e ha aperto un’inchiesta sulle cause dell’esplosione.

L’incendio al serbatoio Tk513 è avvenuto in un’area alquanto travagliata: a Milazzo è stato individuato un SIN, Sito d’Interesse Nazionale, così definito in quanto l’area è considerata fortemente inquinata e la sua bonifica prioritaria (nel caso di Milazzo di “area industriale ed area marina antistante, di arenile e di discariche”), perimetrato con Decreto del Ministero dell’Ambiente dell’11 ottobre 1996. I SIN in Italia erano 57 fin quando il governo Monti ne ha declassati 18. portando il numero totale a 39. Il Sin di Milazzo ha “resistito” alla declassificazione ed è rimasto nell’elenco. Tutto il comprensorio del Mela, nel quale si trova Milazzo, risulta da analisi e studi scientifici a grave rischio ambientale: uno studio dell’Università di Messina riporta che un monitoraggio tra 272 studenti delle scuole medie della zona ha rivelato l’eccessiva presenza di metalli pesanti nel sangue, ovvero nickel, cromo e cadmio, provocati da inquinamento industriale (il responsabile scientifico dello studio individua come “probabile fonte di emissione dei metalli” un’altra industria presente nella zona). Nickel e cromo avranno effetti soltanto in futuro mentre, secondo lo studio, il cadmio avrebbe già danneggiato la salute degli studenti monitorati in quanto le ecografie evidenziano una “media del volume testicolare” “significativamente ridotta”.

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Ci sono alcuni precedenti dell’incendio di sabato. In un’occasione la perdita di nafta durante il rifornimento da una nave pare abbia portato un’alunna del vicino Istituto d’Arte a ricorrere alle cure del pronto soccorso e altri avevano sentito nausea e bruciore ad occhi e gola. Ma l’ultimo incidente grave risale soltanto al 1993 quando morirono anche 7 operai. Il coordinamento No Triv Sicilia, chiamando pesantemente in causa Renzi, riporta che quello del 27 settembre sarebbe il terzo incidente del 2004 alla raffineria di Milazzo. “26 Febbraio 2014; un incendio è divampato nell’impianto “power former” della raffineria “Isab Sud”, azienda ad oggi interamente controllata dal gruppo russo Lukoil, nella zona industriale di Priolo, Siracusa. 15 marzo 2014; un incendio di vaste proporzioni è divampato nel settore “coking 1” all’interno della raffineria Eni di Gela. 26 settembre 2014; un gravissimo incendio è divampato alla raffineria “Mediterranea” di Milazzo (partecipata in quota paritaria da Eni e Kuwait Petroleum Italia)” scrivono gli attivisti.

Le autorità locali hanno rassicurato sui possibili impatti ambientali e non hanno disposto alcuna evacuazione, anche se tra la popolazione alcune testimonianze ci riportano che molti hanno spontaneamente lasciato le proprie case: il referente provinciale dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente Giuseppe Falliti ha affermato che c’è stato “un esodo biblico verso luoghi imprecisati ritenuti autonomamente sicuri e questo dopo un ridicolo tam-tam telefonico tra parenti ed amici”. In un comunicato di Federpetroli si è affermato che il Comune di Milazzo e la Prefettura avevano comunicato che non c’era alcun allarme rosso e che “non vi sono situazioni dannose per l’ambiente e l’aria circostante” aggiungendo che “La Raffineria di Milazzo dopo gli interventi negli anni scorsi sull’ammodernamento delle infrastrutture, risulta una delle più all’avanguardia a livello europeo con impianti di raffinazione di alta efficenza tecnologica”. Ma gli ambientalisti sono fortissimamente critici e alzano la voce verso la raffineria. Il dottor Falliti di Medici per l’Ambiente attacca la gestione dell’emergenza da parte delle Autorità e chiede, tra le altre, la chiusura di alcune industrie inquinanti della zona, riconversione e bonifica dell’area industriale, controlli immediati sulle attività agricole.

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