Per il governo è di interesse strategico nazionale. Per i privati è inutile, a meno ché a pagare non siano gli italiani nella bolletta di luce e gas. Storia di una beffa.
di Massimo Lauria
Ci sono voluti 10 anni per realizzarlo e 900 milioni di euro d’investimento. Tempi e costi spropositatamente alti sui quali nessuna banca privata ha voluto scommettere. Ma ora parte di quell’investimento sarà pagato dai cittadini, scaricato sulle loro bollette. Si tratta del rigassificatore Olt, situato a 12 miglia dalla costa tra Pisa e Livorno. L’ennesima opera inutile – l’impianto è fermo -, nessun operatore privato in vista, ma il governo lo considera di interesse strategico nazionale. Ed è proprio questa definizione a far sì che a sostenere i costi saranno i contribuenti nella bolletta di luce e gas.
L’ipotesi di assegnare al rigassificatore lo status di interesse strategico nazionale era già stata ventilata mesi fa dal vice ministro Claudio De Vincenti. Ora il governo ha deciso di renderla effettiva, attraverso l’Autorità per l’energia. Perché? La logica direbbe perché l’Italia ha deciso di investire nel mercato del gas liquefatto (Gnl), comprandolo a condizioni più convenienti e affrancandosi dai grandi gasdotti governati da monopolisti del settore. Ma questa ipotesi cozza decisamente, ad esempio, con il via libera del Tap (il grande gasdotto che sta costruendo la British Petroleum) di passaggio in Puglia.
Certo le vicende ucraine e l’esigenza di slegarsi dal gas russo, potrebbero rappresentare una motivazione più che valida per rilanciare il rigassificatore, la cui capacità potenziale è di 3,7 miliardi di mc all’anno – ovvero il 4% del fabbisogno nazionale. Ma dal giorno della sua inaugurazione non ha ancora chiuso nemmeno un contratto, rigassificando solo il gas liquido acquistato per il collaudo della struttura.
Il sospetto che la decisione sia stata presa per altre ragioni, magari meno nobili e poco lungimiranti è forte. Si vuole tentare di coprire in parte un investimento fallimentare, in termini strategici ed economici, che riguarda gli amministratori di società vicini ai partiti della maggioranza di governo? A realizzare il pessimo affare, infatti, è stata nel 2003 la piccola società Iride insieme alla controllata Olt (Offshore Lng Toscana). Iride al tempo era una azienda del gas di proprietà dei comuni di Genova e Torino, trasformatasi nella multi utility quotata Iren dopo la fusione con Enia. Entrambe le aziende oggi si trovano nel paradosso di dover rispondere della mancata copertura dell’investimento. Anche perché, a parte un paio di istituti pubblici – la Bei (Banca europea degli investimenti) e la Sace (di proprietà della Cassa depositi e prestiti) – nessuna istituto di credito ha voluto intervenire nel pessimo affare.
Nel tempo l’idea si è rivelata disastrosa, perché l’impianto è costato almeno tre volte il costo previsto (da 300/400 milioni di euro si è arrivati a 900 milioni), perché doveva essere terminato tra il 2008 e il 2009 (l’inaugurazione è avvenuta nel dicembre 2013), e soprattutto perché finora il rigassificatore non ha mai funzionato. Nessun privato si è ancora dimostrato realmente interessato ad un impianto che presenta anche diversi problemi logistici per l’attracco delle navi.
Secondo quanto ha scritto il Corsera nel maggio scorso, l’amministratore delegato di Olt, Valter Pallano, giurava che i privati fossero interessati, ma in attesa di capire gli sviluppi del piano normativo. Tradotto significa che prima di mettere mano al portafoglio, il pubblico (ovvero noi attraverso le bollette di luce e gas) deve intervenire per ripagare parte dell’investimento.
Quella rassicurazione, che ha tutta l’aria di una beffa, oggi è arrivata. Per il rigassificatore di Livorno il riconoscimento di interesse strategico vale in prima battuta 45 milioni di euro. Gli altri arriveranno. E saranno i cittadini a pagarli sulla bolletta, a cui si aggiunge l’ulteriore stangata dei prezzi di luce e gas annunciati meno di ventiquattro ore fa.