Le motivazioni della sentenza choc: gli agenti avrebbero agito con correttezza. La corte punta l’indice contro la figlia di Michele Ferrulli. Una sentenza politica che rischia di fare scuola
di Checchino Antonini
Le motivazioni della sentenza sull’omicidio Ferrulli sembrano più choccanti della sentenza che gelò, l’estate scorsa, le speranze di verità e giustizia di una famiglia che s’è vista uccidere un padre il 30 giugno del 2011. Non ci fu «alcuna gratuita violenza», recita la sentenza resa pubblica oggi, da parte dei quattro poliziotti che, nell’estate del 2011, stavano arrestando il manovale di 51 anni Michele Ferrulli, il quale nel corso dell’ammanettamento a terra morì per un arresto cardiaco. Anzi, gli agenti agirono correttamente cercando di portare in Questura un uomo che aveva «proferito reiterate ingiurie e minacce» nei loro confronti, «dopo essersi rifiutato di fornire i documenti e dopo aver addirittura aggredito uno dei poliziotti». E i «colpi» che subì per essere bloccato erano giustificati «dalla necessità di vincere» la sua «resistenza» a «farsi ammanettare». Così, in oltre duecento pagine di motivazioni depositate, i giudici della prima Corte d’Assise di Milano (presidente Guido Piffer) spiegano le ragioni che li hanno portati ad assolvere i quattro poliziotti, che erano accusati di omicidio preterintenzionale e per i quali il pm Gaetano Ruta aveva chiesto condanne a 7 anni di carcere.
La Corte li ha assolti «perchè il fatto non sussiste», stabilendo che quella sera del 30 giugno 2011 i quattro agenti della volante ‘Monforte Bis’, intervenuti per una segnalazione di schiamazzi in strada in via Varsavia, periferia sud-est di Milano, agirono correttamente. Stando alla perizia medica, l’uomo, che quella sera si trovava vicino ad un bar con due amici romeni e aveva bevuto molto, soffriva di ipertensione e venne colpito, nelle fasi dell’arresto, da una «tempesta emotiva» che provocò l’arresto cardiaco. Nelle motivazioni i giudici chiariscono che gli agenti hanno tenuto una condotta di «contenimento», che era «giustificata dalla legittimità dell’arresto». Secondo la Corte, in realtà, a differenza di quanto contestato dalla Procura i poliziotti non usarono «alcun corpo contundente» e la loro «condotta di percosse consistette nei soli ‘tre colpì e ‘sette colpì», dati in base a tecniche di ammanettamento «in modo non particolarmente violento». Una condotta che rispettò «il principio di proporzione» e la cui «piena legittimità» ne esclude «l’antigiuridicità».
I «colpi» dati dagli agenti poi, scrive la Corte, sono rilevanti solo per la loro «dimensione stressogena», mentre è «dubbia» la loro «efficacia causale sull’evento morte». Tra i tanti «fattori stressogeni», infatti, i giudici elencano: l’arrivo dei poliziotti in via Varsavia, «il contrasto insorto con Ferrulli con la conseguente caduta a terra, l’ammanettamento», la sua «resistenza» all’azione dei poliziotti, la sua «ipertensione cronica» e la sua «ipertrofia cardiaca». In altri termini, secondo la Corte, «non può dirsi provato che se l’ammanettamento fosse stato completato dagli imputati, senza ricorrere, nella sua parte finale» ai «colpi» non si sarebbe verificato «l’arresto cardiaco».
Nelle motivazioni, inoltre, i giudici non risparmiano ‘attacchì all’operato della Procura: il pm ha seguito la «vox populi» che parlava di un uomo «ammazzato di botte», ma «la vox populi è un dato assai pericoloso, perchè il suo acritico recepimento nelle aule di giustizia può essere all’origine delle peggiori degenerazioni della giustizia».
Critiche anche all’«atteggiamento» di Domenica Ferrulli, figlia di Michele, che avrebbe messo in atto un «condizionamento negativo» di alcuni testimoni. In realtà, a sentire la famiglia, il problema è stato quello di vincere l’omertà di una parte del quartiere, come è avvenuto in altri episodi che hanno visto l’irrompere sulla scena di manipoli di tutori dell’ordine violentissimo, dal caso Aldrovandi in poi. La Corte, inoltre, parla di «clamorosi errori di interpretazione» dei filmati girati da alcune persone che erano là quella sera. E «l’invocazione di aiuto» che si sente in uno dei video, spiegano i giudici, «non può di per sè fondare un giudizio di prevedibilità dell’evento lesivo derivante da un effettivo malore, ben potendo essere espressione di una simulazione volta a impedire l’arresto». Per Domenica Ferrulli, assistita come parte civile dall’avvocato Fabio Anselmo, alcune «considerazioni sul mio conto» da parte della Corte sono «gratuite e offensive». I filmati, ha aggiunto, «sono sotto gli occhi di tutti, mio padre è morto chiedendo aiuto e supplicando i poliziotti di smetterla. Sono serena – ha concluso – e vado a testa alta perchè ho fiducia nella giustizia, ride bene chi ride ultimo». La Procura, infatti, molto probabilmente farà ricorso in appello.